Family&Kids

Ma cosa significa veramente “integrazione”?

Written by Amiche di fuso

Ogni tanto amici o parenti mi chiedono se ci siamo ben integrati. Ma cosa significa davvero essersi integrati?
So dove andare a fare la spesa, so chi contattare quando ho un problema in casa, so dove andare a mangiare. E’ questo “essere integrati”? O, come penso io, c’è molto di più?

Ho delle amiche. Ma mi sono dovuta adattare ad un diverso concetto di amicizia che non è, e forse non sarà mai, come quello a cui ero abituata. A cui eravamo abituati. Devo adattarmi all’idea che nessuna mia amica mi chiamerà mai per dirmi “Sto passando davanti a casa tua, posso venire a prendere un caffè?”. E quindi nemmeno io potrò mai farlo.

In Italia spesso, anziché andare a mangiar fuori, si ordinavano le pizze per mangiarle a casa di uno o dell’altro. Oppure andavamo in pizzeria e dopo si andava a casa di qualcuno a finire la serata. Raramente sono stata invitata a casa di qualcuno qui. Principalmente sono io che invito.

Diverso invece è per i miei figli.

Dopo i primi tragici mesi, la situazione è andata via via migliorando. Perché tragici? Perché innanzitutto per 6 mesi abbiamo vissuto in un hotel quindi non potevamo invitare nessuno. E per noi è stata una sofferenza. E poi c’era l’ostacolo della lingua. All’inizio per loro è stato difficile riuscire a socializzare non parlando la lingua.

la nostra "casa" per i primi 6 mesi

la nostra “casa” per i primi 6 mesi

Per mio figlio, inoltre, la mancanza dell’intervallo è stato motivo di grande frustrazione. Già perché qui, alle medie e al liceo, non esiste l’intervallo di metà mattina come in Italia: tutto filato fino all’ora di pranzo, poi 30 minuti per il pranzo, e poi di nuovo a lezione. E 30 minuti non sono molti. Perché non fanno l’intervallo? Semplice: per evitare contatti fra gli studenti e quindi evitare occasioni di bullismo. Ricordo quando un giorno gli chiesi come andava dato che non mi raccontava mai niente e lui, con tono innervosito, mi rispose “Mamma, cosa pretendi? Facciamo lezione tutto il giorno, senza un intervallo, mangiamo di corsa e poi di nuovo a lezione e alla fine della giornata tutti che corrono a prendere il bus. Cosa dovrei raccontarti?“. L’ho abbracciato e ho capito il suo disagio.
Così pure mia figlia che odiava quel “sentirsi diversa” perché due volte al giorno la sua tutor veniva a prenderla per portarla in un’altra aula o, se c’ero io, andavamo in un’altra stanza a leggere ad alta voce. Cercavo di farle capire che non era diversa, ma migliore perché lei stava imparando un’altra lingua mentre gli altri ne conoscevano una soltanto. Cosa non farebbe una madre per proteggere i propri figli da situazioni di disagio.

Ma con profondo piacere ho notato che sono stati proprio i loro compagni a fare i primi passi, a porgere una mano in soccorso: sono stati invitati ai primi compleanni, ai primi “sleepover“. E pian pianino si sono costruiti la loro cerchia di amici. Alcuni sono passati e andati via, come spesso accade, altri sono rimasti o andati e tornati. Ma sicuramente posso dire che i miei figli si sono perfettamente integrati.

E anche i loro amici si sono perfettamente integrati!!! Eh sì, in casa mia si sentono tutti perfettamente a loro agio e quando arrivano non andrebbero più via. Forse perché si mangia bene, o forse perché qui trovano una famiglia unita. O anche perché è buffo sentire parlare una lingua diversa.

"sleepover" a casa nostra

“sleepover” a casa nostra

Dopo tre anni mi sento di affermare che sono gli adulti ad avere le maggiori difficoltà. I ragazzi si adattano più facilmente. E quando sento qualcuno che dice “Ah, vorrei anche io andare all’estero ma ho i figli e non so come la vivrebbero”, io rispondo sempre allo stesso modo: “Chiediti se TU saresti in grado di farcela perché i tuoi figli ce la faranno di sicuro e più facilmente di quanto immagini. Mentre sono gli adulti che hanno le maggiori difficoltà“.
Certo, io quando vedo i miei figli felici, sono felice anche io con loro. Ma a volte arriva quella homesickness che mi prende la gola e stringe forte, fino quasi a soffocarmi. E in quei momenti ci si sente davvero SOLI.

E alla fine va benissimo integrarsi, ma non bisogna dimenticare le proprie origini, tradizioni ed i propri modi di essere. Non dobbiamo annullarci per adattarci e integrarci perfettamente: va benissimo essere ciò che si è ed essere orgogliosi di essere anche diversi.

cupcakes tricolori

Cupcakes tricolori

Renata, Wisconsin

Ha collaborato con Amiche di Fuso da febbraio 2014 ad aprile 2015

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Author

Amiche di fuso

Amiche di fuso è un progetto editoriale nato per dare voce alle storie di diverse donne, e non solo, alle prese con la vita all'estero. Vengono messi in luce gli aspetti pratici, reali ed emotivi che questa esperienza comporta e nei quali è facile identificarsi. I comuni denominatori sono la curiosità, l'amicizia e l'appoggio reciproco.

12 Comments

  • Concordo al 100% che piu’ si e’ giovani piu’ e’ facile adattarsi e integrarsi… lo vedo semplicemente sulla mia pelle. Quando a 16 anni mi sono trasferita, da sola, a Seattle per studio, e’ stato molto piu’ facile di quando a 24 mi sono trasferita per amore in Australia…. 🙂

  • Hai perfettamente ragione, i bambini poi soprattutto quelli piccoli non sentono il problema dell’integrazione mentre noi adulti, forse avendo già delle abitudini precostituite fatichiamo un pochino, ma lo spirito di sopravvivenza prende il sopravvento 🙂

  • Certo, è vero che i ragazzi si adattano e si abituano prima, ma solo se hanno il sostegno dei genitori. Se tu avessi adottato un atteggiamento diverso, non molto accogliente, credo che avrebbero fatto molto più fatica!

    • Sono d’accordo! Ho letto di recente che l’atteggiamento della famiglia è la ragione principale del buon inserimento dei figli. A volte capita che essi vedano la loro integrazione come un tradire la famiglia di origine, ma questo avviene tanto di più quanto più essa è isolata e “chiusa”, anche linguisticamente. Dunque bravi i bimbi ma anche i genitori!

    • Posso confermarlo: l’altra sera avevamo ospiti italiani a cena che vivono qui da 6 anni ma non ne sono affatto contenti. O meglio: la madre non è felice qui, odia tutto ciò che la circonda. E ho notato lo stesso atteggiamento nei figli sebbene non sapessero cosa odiare davvero. E nemmeno sanno cosa significa davvero vivere in Italia ora. Come porti ora in Italia un ragazzo di 15 anni che è arrivato qui a 9 e dovrebbe affrontare il liceo?
      Quanto siamo importanti noi genitori per la crescita serena dei nostri figli!!!

  • Non ho nessuna idea di cosa significhi integrazione in pratica, So la definizione, ma io mi sono integrata?!! Vivo da 10 anni e più in Svezia e non ci penso mai….e non so se mi sia integrata o meno. Sì, ho ricostruito la mia vita qui, ho un lavoro, colleghi e conoscenti, sono integrata? Chissà! Meno male che non me lo chiedono 🙂

  • Lo chiedo anche a te: ma l’espatrio è il vostro primo spostamento?
    Il fatto è che mi sembra che molti di voi vivano lo choc culturale solo quando vanno all’estero.
    Per me è stato così a 19 anni, quando sono andato fuori per studiare, sempre in Italia. E’ da allora che è finita per sempre l’idea di amicizia che conoscevo, quella che descrivi all’inizio.
    Da allora all’estero ci ho vissuto un solo anno, ma anche in altre città d’Italia non ho più avuto amicizie. E con le persone che conoscevo nella mia città ci siamo anche persi di vista, intanto sono andati via tutti. Ho vissuto in un isolamento totale che è durato finché non è arrivato internet.
    Sono andato via da una città in cui ho vissuto 7 anni e da un’altra in cui ci sono stato per 4 senza salutare nessuno, senza avere nessuno da salutare. Anzi, ci ho trovato un’ostilità tale che quei posti voglio dimenticarli.
    Ora le amicizie le vivo in rete. E’ solo grazie al web che ho potuto colmare questo vuoto.
    Sono in una città in cui mi trovo molto meglio delle precedenti, mia figlia si relazione a scuola e al parco giochi. Noi, comunque, forse abbiamo fatto 2-3 inviti in 3 anni, altro che 6 mesi tragici perché non puoi invitare. Noi in 6 mesi non conoscevamo nessuno, e senza l’ostacolo della lingua.
    Ti voglio fare i miei complimenti perché un risultato come quello della foto (quella dello sleepover) è di tutto rispetto, chissà che lavoro per arrivare ad avere questa integrazione. Soprattutto con gli ostacoli che una scuola fatta così male ti mette.

    E poi, non vorrei essere troppo ripetitivo, ma ti dico ancora che l’idea di una scuola come quella che descrivi mi spaventa e mi fa venire molti dubbi sul mio futuro espatrio.
    Contatto fisico proibito, occasioni di incontro ostacolate, competitività eccessiva. La scuola non serve mica solo a insegnare a leggere, scrivere e far di conto! Il bullismo è un problema e la scuola così non lo risolve, se ne lava le mani. Approfitto per chiedere questa cosa, che è molto importante, a te e a chi vorrà rispondere: ma è così ovunque negli states?

    • No. Mi sono trasferita prima a Venezia e poi a Milano. Sicuramente ho sempre patito per quanto riguarda le amicizie. Ma il “rimpatrio”, anche se solo per weekend o brevi vacanze, era più facile ed economico.
      E di sicuro non c’era un forte cambio culturale e linguistico.
      Trasferirsi all’estero significa cambiare lingua, burocrazia, alimentazione, cultura e il rientro è costoso e difficile. E il concetto di amicizia qui è molto diverso da quello a cui siamo abituati in Italia. E conta, soprattutto a lungo andare.
      Decisamente un’altra cosa.

  • Io mi sono spostata in cinque città diverse in Italia, tanto che quando abbiamo deciso di partire per il Canada i certificati che volevamo raccogliere per portarli con noi erano sparsi ovunque nella penisola! Ho avuto amici ovunque, e quelli della mia giovinezza sono rimasti pochissimi, tutti hanno fatto il tifo per noi ed oggi seguono le nostre vicende su internet…credo che dipenda dal carattere di ognuno di noi. Certo che lo chock di espatriare e trovare tutto diverso(dalle prese elettriche al cibo alla lingua alle abitudini) sia però un’altra cosa rispetto ad un trasloco in patria, anche se in città diverse! Infatti non si è detto nel mio caso ho traslocato ma I’m relocated!!! È diverso eccome!!!
    Io sono in Nova Scotia-Canada e qui la scuola è diversa: 6ore di lezione in 8 ore di scuola, cioè ricreazione di venti minuti e pranzo di un’ora e venti… Non so, mia figlia si sta facendo strada, forse anche perché a 13 anni già parlottava benino l’inglese…certo non è stato facile lasciare gli amici ed è difficile entrare a far parte di gruppi già consolidati, ma lei lotta è qualcosa dopo tre mesi e mezzo già si vede!
    Noi crediamo che prima di criticare bisogna capire (se hanno determinate consolidate abitudini o regole ci sarà un perché?!?) e poi mantenere il meglio dell’italiano e abbracciare il meglio del paese che ti ospita!
    Buona integrazione a tutti!
    Elena, Halifax.

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