Family&Kids

Lo sguardo ingenuo del bambino espatriato

Written by Drusilla Melbourne

Il bambino espatriato lo riconosci da quel suo sguardo profondo, ingenuo, curioso, vero e talvolta un po’ disorientato, ma sempre sereno. Questo è lo sguardo dei miei figli, dei loro amichetti conosciuti in Kuwait, di tutti quei bambini che frequentavano la loro scuola, il nostro club e che incontravamo quotidianamente.
L’ingenuità deriva dal fatto che i bambini espatriati in Kuwait crescono in una realtà non reale, sotto quella campana di vetro che non corrisponde al mondo vero, si tratta di un contesto ovattato e protetto nel quale credo, almeno in parte, crescano un po’ tutti i bambini.
Questi bambini talvolta sono confusi per i continui cambiamenti e per questo nei loro occhi possiamo leggere quel leggero senso di disorientamento. L’espatriato in Kuwait è una persona di passaggio in questo paese, ogni tre/quattro anni cambia destinazione. Ecco che il cambio di un Paese trascina con sé una nuova realtà da affrontare, nuovi persone con le quali stringere rapporti di amicizia, nuova scuola, insegnanti nuovi, cultura e tradizioni del paese ospitante spesso molto differenti. Tutto ciò, però, alimenta la curiosità di questi bambini. L’affrontare una novità significa mettersi in gioco, avere voglia di scoprire, desiderare di conoscere, partecipare attivamente alla vita che li circonda. Difficilmente sono bambini annoiati, è più facile che siano energici e vulcanici.

spirito di avventura
Oggi, dopo più di sette mesi di vita trascorsa in Italia e cinque mesi di scuola qui, osservando con attenzione gli sguardi dei miei figli, noto qualcosa di diverso. Riccardo ha solo quattro anni, si sta godendo solo il meglio da questo passaggio italiano, forse non comprende proprio tutto o forse è il suo carattere determinato che lo rende così sicuro di sé. Ma in Tommaso ho notato qualcosa di diverso rispetto a quando eravamo in Kuwait. Il suo sguardo è un pochettino meno luminoso, poco curioso, meno ingenuo, sicuramente più smarrito.
Affrontare un cambiamento è molto difficile, ancora di più se si tratta di un bambino di poco meno di sei anni che è stato costretto a mollare scuola, maestre e amici che da ormai tre anni frequentava.
In questi ultimi mesi ho cercato di osservare con attenzione i comportamenti di Tommaso, mio figlio grande che frequenta il grade 1. Ho notato in lui un grande cambiamento da quando frequenta questa scuola, un cambiamento che sicuramente va attribuito anche al cambio di età, ma che secondo me è dovuto, almeno in parte, alla diversa realtà che sta vivendo. Oggi Tommaso è un bambino un pochettino più insicuro, meno socievole e sorridente, un pizzico più scontroso e ribelle.
Io e Tommaso chiacchieriamo tanto, ce la raccontiamo sul tempo, su quello che fa a scuola, sui suoi nuovi amichetti e nel mezzo di chiacchiere futili ci infilo, con destrezza, domande importanti che mi servono a capire il suo vero stato d’animo. E’ per questo che da un: “tesoro hai visto che bellissimo cielo rosa c’è stamattina?” sono poi andata a parare su: “ma chi ti manca più di tutti in questo momento?”.
La sua risposta è stata come uno schiaffo in faccia: “Jason!”. Io che mi aspettavo di sentire come risposta “il daddy”, invece no! Jason è stato uno dei suoi migliori amici in Kuwait. Lui è libanese, un bambino molto intelligente, già capace di leggere e scrivere lo scorso anno al Reception, molto spesso leader della classe, un bambino vivace, ma molto educato e dolce. Confesso che all’inizio non lo amavo molto, mi sembrava un bambino un po’ troppo sicuro di sé e leader del gruppo, ma con il tempo ho capito che mi sbagliavo completamente!
Qualche giorno dopo sono tornata alla carica con le domande, ho cercato di capire se nella sua classe o nella scuola esiste un bambino al quale è legato come a Jason. Pare di no, purtroppo! O meglio, uno c’è, ma spesso non è a scuola perché i genitori viaggiano molto e il prossimo anno si trasferiranno in America.
Come vi dicevo all’inizio ho tenuto sotto osservazione Tommaso e i suoi amici mentre giocano appena arrivati a scuola, quando escono da scuola, mentre si fermano a correre e giocare al parco alla fine delle lezioni.
Ho notato grandi differenze tra i bambini italiani cresciuti in Italia e bambini italiani cresciuti in un contesto internazionale. Quello che sto per scrivere non vuole essere una critica, ma solo una serie di osservazioni da madre in un contesto ben definito che non rappresenta ovviamente tutta la realtà italiana.
Ho notato bambini molto esuberanti, spesso un po’ arroganti e presuntuosi. Numerosi sono i bulletti che si divertono a “spaventare” i più piccoli e innocenti. L’appartenenza ad un gruppo pare sia fondamentale; come è normale giocare a fare la lotta sferrando calci e pugni a destra e manca.
Questa cosa mi ha colpito da subito. Ok, io sono femmina e non posso capire, ma la mia domanda è: “perché Tommaso non ha mai giocato alla lotta o non si è mai preoccupato di appartenere ad un gruppo in Kuwait mentre qui in Italia pare sia una questione di vita o di morte?”. Credo si sia trovato costretto ad adattarsi alla condizione generale.
Quando entravo nel play ground della “The English School” a Kuwait City vedevo correre, saltare e inseguirsi decine di bambini, ma non mi è mai capitato di vederli picchiarsi o sentirli parlare di lotte e gruppi.
Con il tempo ho capito che l’amichetto Jason non era un vero e proprio leader, ma un bambino molto intelligente che conosceva molto bene le sue potenzialità e le sfruttava con gli amichetti. La sua leadership era temporanea, valeva un giorno o poco più e poi cedeva lo scettro agli altri, ad esempio al suo amichetto Tommaso che era bravo a nuotare, che non esitava a sorridere e giocare con tutti. Poi arrivava il turno di un’altro bambino. Insomma, ogni bambino era leader in base alle proprie capacità fisiche o intellettive. Questo gioco di “passaggio di potere” era gestito dai bambini stessi.
Quello che mi manca del Kuwait, e che purtroppo non vedo qui in Italia, è la voglia di mettersi in gioco e sfidarsi in classe. Tommaso e Freya erano sempre in lotta per chi otteneva più “happy faces”, per chi riusciva ad avere prima il riconoscimento “Best of the Week” o per chi riusciva a nuotare fino in fondo alla vasca e tornare indietro. Tra loro c’è sempre stata una competizione sana e genuina che li aiutava a crescere e renderli forti. Credo che questa cosa stia mancando molto a mio figlio. Non ha ancora trovato una figura di riferimento tra i suoi compagni che sia capace di guidarlo e aiutarlo a credere di più in se stesso.
Naturalmente questi sono solo miei pensieri e mie impressioni, non voglio criticare tutti i bambini italiani che abbiamo incontrato qui in Italia, ma devo dire che tranne un paio di eccezioni tutti gli altri mi hanno lasciato un po’ di amaro in bocca.

sguardo felice

Non mi piacciono le lotte fisiche tra bambini.
Odio la competizione non volta a crescere o insegnare qualcosa di utile.
Non sopporto il bullismo, lo trovo così inutile, stupido e controproducente per il bambino che subisce. E mio figlio Tommaso è uno che subisce, ma col sorriso, perché non ha il coraggio di opporsi per paura di non entrare a far parte del gruppo. E’ qui che sto lottando: “tesoro, ricordati che è meglio non far parte di un gruppo di gente stupida e incapace di parlare, ma solo di picchiare”. La mia lotta quotidiana è questa. E non venitemi a dire che subire il bulletto di turno gli servirà ad affrontare il mondo quando sarà grande, non credo proprio che bambini di nemmeno sei anni abbiano bisogno di sfidarsi a pugni e calci o sottomettere i più piccoli o deboli. Io credo di più nelle sfide intelligenti.
Sarò una sognatrice, sarò un’illusa, ma io voglio credere in un mondo dove i bambini si “sfidano” per le loro capacità. Dove l’agonismo esiste, ma è sano e produttivo. Dove il leader non è quello che picchia più forte e duro.
Non ditemi che non esiste perché mio figlio in questo mondo ci ha vissuto fino allo scorso anno.
In questa scuola ci sono, anche se pochi, bambini che come noi sono di passaggio perché i genitori li portano in giro per il mondo. Ecco, questi bambini si riconoscono immediatamente, basta osservare i loro comportamenti e guardarli negli occhi per trovare il loro sguardo ingenuo, curioso e un po’ disorientato!

P.S. Per non commettere differenze, vi scrivo che mio figlio Riccardo, il piccolo, si è ben amalgamato alla realtà attuale e gira per il play ground picchiando duro i grandi, per difendere il fratello!

Drusilla, in transito

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Author

Drusilla Melbourne

Expat per amore. Mamma di due terribili quanto adorabili maschi.
Nata nell’afosa e nebbiosa pianura padana, cresciuta con la voglia di andarmene a scoprire il mondo. Fidanzata da sempre con un imprevedibile uomo che mi ha portato prima in Libia, poi in Kuwait ed ora in Arabia Saudita. Appassionata della vita expat. Amo scoprire nuove culture, relazionarmi con nuovi mondi, leggere, pasticciare con i miei figli e vivere circondata dalla natura.

21 Comments

  • Mi vengono in mente due considerazioni. Una è che molti bambini imparano dai genitori che le botte sono il modo per imporsi (e qui mi viene in mente mio padre che proibiva i cartoni con i robot perché insegnavano la violenza e poi ci pensava lui a insegnarla picchiando).
    L’altra è che anche i bambini che non le hanno prese a casa e che non si picchiano mai qualche volta, magari una nella vita, è bene che lo facciano. È una prova che fanno, sperimentano tutto, capiscono che non è una cosa buona e smettono.
    L’esperienza personale è insostituibile. Anche per mia figlia è stato così. Lei e il suo caro amico hanno passato un pomeriggio a darsele, giocando, sotto sorveglianza delle mamme, poi non l’hanno più fatto.

    • Vero Luciano, l’esperienza sicuramente aiuta a capire e poi a decidere cosa è giusto e cosa invece è sbagliato. Ma ciò che mi fa male è vedere dei bambini che devono assolutamente giocare alla lotta e imporsi fisicamente su altri bambini che sono meno “forti”, alti o forzuti. Non so…mi lascia un po’ di amaro in bocca questa necessità di predominare fisicamente sugli altri, nel mondo dei bambini naturalmente perché sto parlando di cinquenni.

  • Ho notato la stessa cosa in mio figlio Andrea Maria. Qui é piú nervoso e aggressivo. Ha imparato modi di dire da bulletto arrogante e a scuola si é creato un piccolo gruppetto di fighters che non mi piace affatto. A Doha non era tollerato un atteggiamento simile nella scuola né nel compound fove vivevamo. Si giocava insieme.

      • Il tuo testo mi sembra molto interessante, ma anche confuso…dici di odiare le lotte ma poi ti lodi che tuo figlio piccolo picchia forte.

        Io vivo a Pechino insegnando teatro e ti capisco sulla differenza, ma concordo in parte con Luciano..che dice che si impara dai genitori e che una volta nella vita si fa, tipo in cina nessuno si picchia da piccolo, ma poi c’e’ un tasso di violenze domestiche incredibile quindi forse…picchiettarsi da piccoli ci fa capire direttamente cosa va bene e cosa fa male..

  • Ho letto queto post tre volte prima di intervenire. L’ho letto sapendo che sei una persona solare, tranquilla e una mamma eccellente … non condivido quasi niente. Perdonami. E’ vero che per ogni mamma e papà è tutto sempre nuovo e ogni figlio è “figlio unico” anche quando se ne hanno 10. Tommaso è cresciuto e si trova in una classe di bambini cresciuti anche loro, Tommaso è maschio e il confronto principale sarà con altri maschi, se non impara a difendersi, anche “menando” si troverà in difficoltà. Le mamme (io per prima) insegnano ai loro bambini che non devono mescolarsi coi bulletti (altri piccoli di 6 anni) che bisogna usare le parole, il ragionamento non i pugni … fanno bene per carità, ma il mondo dei bimbi non funziona mai così. Cominciano ad emergere, a imporsi, a fare sfoggio della loro personalità, sai cosa penso? non c’è niente di male se si menano, c’è di male quando si mettono in gruppo e picchiano il bambino più debole, questo ovviamente è sbagliato, ma se un bimbo si difende anche fisicamente non lo trovo scandaloso. Un bambino che cambia nazione, amici, riferimenti, frequentemente, non può (io credo) permettersi il lusso di attaccarsi troppo alla situazione che vive ed è normale che abbia nostalgia di quello che conosceva e gli dava sicurezza. Non credo dipenda dalla latitudine, i bambini a volte sono vivaci a volte selvaggi dovunque, i bambini a volte reagiscono in un modo e a volte in un altro, persino nello stesso contesto. Il tuo bambino cresce e comincia a dover sfidare il mondo, è una lotta che durerà tutta la vita e tu potrai solo osservare, qualche volta supportare e consigliare… I bambini che girano il mondo hanno gli occhi luminosi, i bambini che non girano il mondo hanno gli occhi luminosi. Le mamme di tutti i bambini si preoccupano sempre, giustamente e meno male.

  • Oddio Drusilla, questo tuo post mi sconforta. Matilde, che normalmente noi chiamiamo Bossy o Ruler a seconda delle situazioni (tanto per farti capire il dolce caratterino che ha mia figlia….), quando è a scuola è serena, felice, sorridente, dolce a detta della maestra e soprattutto parla, ride, scherza e gioca. Quando vado a prenderla, piange perché vorrebbe restare di più. Se è malata piange perché vorrebbe andare a scuola. L’idea che tra tre mesi saremo in Italia e lei, verosimilmente, inizierà a frequentare un ambiente simile a quello che descrivi o di cui ho letto negli altri commenti, mi terrorizza. O meglio, mi preoccupa perché appunto, già normalmente lei sa essere capetta decisa e volitiva, figuriamoci se viene inserita in un ambiente che è tutto bulli e fighters. 🙁

  • Ciao, è la prima volta che intervengo qui, perché in genere preferisco i blog personali, ma la cosa che scrivi mi spinge a dire la mia. Forse ho frainteso, e nel caso me ne scuso, ma se quello che scrivi avviene nella scuola dei tuoi figli, il problema mi sembra della scuola più e prima che degli alunni. Mi spiego se fare a botte e prevaricare i più piccoli o indifesi è un comportamento accettato o tollerato, allora sono gli insegnanti e gli educatori a non svolgere correttamente il loro compito. I bambini possono essere vivaci, aggressivi e anche maleducati, vanno però guidati e corretti. Quanto al bimbo expat esente da certe mancanze, non saprei, i miei figli vanno a scuola con bambini di varie nazionalitá e mi pare conti molto di più il carattere. Forse sbaglio

    • ecco anche io mi sentirei che il problema e’ nella scuola o nei bambini che frequentano quella scuola. Bea a Wawa andava all asilo pubblico sottocasa. All inizio non partecipava ai giochi di gruppo, le insegnanti mi han detto non si preoccupi…poche settmane dopo partecipava a tutti i giochi. La andavo a rpendere ed era sempre felicissima. mi raccontava di cosa faceva, dei compagni. Non vedeva l’ora di abbracciare le maestre la mattina. Da quando siamo qui a Houston intanto ha avuto un periodo di fortissima aggressivita’ fisica )che ho attribuito allo scossone nervoso di ritrovarsi senza piu il suo mondo intorno) ma nel nuovo asilo, per quanto sulla carta sia tutto un occuparsi dell’invididualita’ dei bambini, pane amore e fantasia, di reale c’e’ che quando vado a prendere la bimba e’ felice di rivedermi e manco saluta le maestre se non glielo chiedo io di farlo, mi ha detto ‘le maestre sono tutte fredde” (ha usato questa parola) tranne Miss Mimi (che effettivamente e’ anche secondo me l’unica calorosa) , le ho chiesto molte volte se ha fatto amicizia con altri bambini, ‘no, non parlo con nessuno”. Quando arrivo la vedo sempre o che gioca sola o con la sorellina. Il giorno che sono arrivate ero li’ presente e non c’e’ stata nessuna presentazione, nessun cercare di far parlare i bambini con lei..insomma sulla carta tutti aperti all’integrazione e i bambini sono di tutti i colori e anche molti bilingue (brasiliani, messicani, canadesi del quebec) ma in pratica nessuno sforzo di dire ai bambini di cercare di parlare con i nuovi arrivati…le tre bambine latinos nella classe di bea se ne stanno sempre fra di loro a parlare in spagnolo. Insomma ho scelto questo posto perche’ era il meno peggio trai 5 che avevano spazio a meta’ anno per entrambe ma ogni giorno che ce le porto mi sento morire perche’ tutti i giorni mi chiedono quando rivedranno robert e isa, marysia e julcia e tutti i bambini di wawa, la loro babysitter olga…non pretendevo che un nuovo asilo potesse sostituire il mondo che amano e a cui appartengono, ma non mi aspettavo che non gli apportasse nessun nuovo elemento positivo

    • Anch’io mi sento d’accordo che il problema sia alla base più del sistema educativo, della scuola e in un certo qual modo anche della famiglia. Credo che Drusilla facesse un analisi dei bambini che si è trovata come compagni dei figli, ma certo che il problema vero non sono i bimbi stessi e credo che anche lei concordi. Io posso parlare della mia esperienza. Premetto che mio figlio ha iniziato la Primary all’estero e non ho quindi esperienze scolastiche recenti italiane. Mio figlio è di indole un bambino molto vivace e fisico con tendenza ad essere aggressivo per risolvere i problemi. Già in Reception (pre school-5 anni ) avevamo avuto molti problemi perché il sistema educativo inglese della scuola internazionale che frequenta, dà veramente molta importanza al rispetto per gli altri ed alla gentilezza. E’ stato un percorso spesso difficile, fatto anche di tanti incontri con gli insegnanti, ma posso dire che mio figlio ha fatto suoi, nel corso di questi due anni, questi principi. Non sempre li sposa anche a casa, ma ne ha capito almeno il valore all’interno della comunità e da mesi non abbiamo nessun problema e richiamo. Quest’estate, durante le vacanze italiane, ha frequentato il campo solare della scuola pubblica del nostro paese. In soli 10 giorni di frequenza mi è stato restituito un bambino di nuovo molto aggressivo, che prendeva in giro i compagni, che doveva assolutamente avere delle carte di un gioco in voga altrimenti non era accettato dal gruppo maggioritario, che voleva stare solo con i più forti. Ora, mi viene da pensare che sia proprio colpa del sistema educativo in voga in Italia che non stimola una sana competizione e non passa l’idea del far parte di un unica community dove nessuno deve prevaricare l’altro.. Credevo che avvenisse di più nella scuola pubblica ormai priva di mezzi e risorse, mi dà invece molto da pensare il fatto che Drusilla l’abbia riscontrato in una scuola italiana, ma privata ed internazionale. Argomento comunque molto interessante e di cui ci sarebbe da discutere a lungo.

      • Può essere, ciò non toglie che se a scuola è accettato un certo comportamento violento, è sulla scuola che si deve lavorare.
        A me viene anche da pensare che, forse, i vostri figli, seguendo un metodo di stampo più anglosassone sono meno abituati ad atteggiamenti più “focosi” e non sanno gestirli, oltretutto forse, si sentono “diversi” e si trovano in bilico tra ciò che consocno ed il desiderio di omologazione, non credi?
        Anche qui, non ho strumenti e non mi permetto di fare paragoni che non saprei, ma faccio fatica ad immaginare un nazione di bulli.
        Voglio dire, si possono fare tante ipotesi: forse il bambino di cui parliamo semplicemente non ha trovato la sua dimensione, gli manca la sua quotidianità e non ha stimoli per costruirsene un’altra visto che sa di essere in transito.
        Capisco che quando ci si trova in un posto nuovo venga spontaneo fare paragoni e si trovino molti difetti, soprattutto se ci si trova ad essere di ritorno, ma penso sempre che sia meglio valutare una situazione partendo da come ci poniamo noi come prima cosa.
        Detto questo, personalmente, ho molte più remore sulle scuole private italiane che su quelle pubbliche. E non parlo di didattica

    • Ciacco.29 ti ringrazio per i tuoi commenti, interessanti e costruttivi!
      Ricollegandomi al tuo commento successivo, posso dirti che mi sono ritrovata costretta ad inserire i miei figli in una scuola privata in quanto ci troviamo in Italia solo di passaggio per quest’anno, ripartiremo ad agosto e quindi avevo necessità che i figli continuassero il loro percorso in lingua inglese.
      Sicuramente la scuola che stanno frequentando i miei figli attualmente presenta alcune lacune che spero riescano a colmare. Però devo dire che l’animo “focoso” e spesso aggressivo del bambino italiano ha messo decisamente in crisi i miei figli. Sarà forse che hanno sempre e solo frequentato scuole inglesi e bambini stranieri che seguivano lo stesso sistema educativo e quindi non avendo mai visto tanta aggressività non si sono mai posti il problema di picchiare o difendersi?! Sicuramente sarà così. Mi chiedo a cosa serva insegnare ai propri figli il concetto di prevaricare sugli altri fisicamente e non usando il cervello. Sarò ingenua ma sinceramente non mi capacito e non accetto che solo dando le botte puoi diventare un leader.
      Non accetto il fatto che un bambino dell’età di mio figlio debba perdere la sua ingenuità solo per far parte di un gruppo.

      • Guarda in quello che scrivi c’è solo una cosa che trovo spiacevole e non condivisibile ed è quella secondo la quale il bambino italiano in quanto tale è “educato” ad essere un essere violento e prevaricatore. Mi sembra, se posso permettermi, un’opinione paragonabile a quella per cui i tedeschi sono rigidi, i francesi altezzosi, gli inglesi freddi, gli americani bambinoni ingenui e via e via.

  • I miei figli stanno crescendo in Italia e non sono mai stati all’estero, però anche io quotidianamente devo spiegare loro che i bulletti sono da evitare e di non ascoltare le loro prese in giro, ma è dura perchè ti scontri con un sistema che ti impone un modello basato sulla prevaricazione dell’altro. Io continuo e sogno un mondo che, come dici tu, i bambini si “sfidino” per le loro capacità: sarà un utopia? Spero proprio di no!

  • Intervengo nuovamente, voglio precisare che non sono per l’aggressività, non vorrei essere fraintesa, ma che la “sana competizione” non ha una regola precisa, nonostante quello che si pensi e che attribuire al metodo educativo italiano (perchè esiste un metodo educativo italiano standard? e da quando?) l’aggressività dei bambini mi sembra fuorviante. I bambini si menano perchè stanno crescendo e delimitano i loro spazi e s’impongono, gli adulti devono saper intervenire e attenuare queste situazioni, ma è normale che accadano, questo intedevo dire. Che la scuola pubblica italiana sia migliore di quella privata (salvo eccezioni) è risaputo, almeno in Italia. Se la scuola è internazionale, immagino avrà gli stessi metodi educativi anglosassoni, forse non li applica bene … che ne so, ma se esiste il problema va ricercato li, non in tutto il sistema italiano, che tra parentesi ha fatto scuola per anni, vedi Montessori eccetera …

    • Graziella il fatto è che la scuola internazionale può applicare lo stesso sistema educativo ma se i bambini che lo frequentano sono italiani, cresciuti con un’educazione differente e con priorità diverse da quelle degli inglesi è normale che non avrà lo stesso effetto di una scuola inglese frequentata solo da inglesi.
      Con questo non voglio dire che tutto il sistema educativo italiano è sbagliato e che tutti i bambini italiani sono aggressivi, bulli o arroganti però ti assicuro che ho notato una diversità incredibile tra i miei figli qui in Italia e i miei figli in Kuwait. Questa cosa non la dico e penso solo io ma la maggior parte degli espatriati quindi non è solo un mio punto di vista ma probabilmente una visione di chi vive o ha vissuto all’estero ed ha avuto la possibilità di fare il confronto.
      Io non ho i dati per fare un’analisi sociologica d’insieme, ho riportato solo la mia personale esperienza. Con questo posso dire che i miei figli da quando sono in Italia sono cambiati molto, per alcuni versi migliorati per altri peggiorati.
      Poi, ho notato un’altra cosa. In Kuwait gli stimoli che ricevevano i miei figli erano tanti ma arrivavano quasi tutti dalla famiglia perché obiettivamente le cose da fare in quel paese erano decisamente limitate. Qui in Italia abbiamo una vastità di cose da proporre ai nostri figli che mi gira la testa ogni volta che accendo internet. Io sto cercando di far vivere ogni esperienza possibile ai miei figli: teatro, mostre, città, campagna, laboratori di musica, biblioteche e tanto altro ancora. Ma mi dispiace vedere che non sono tante le persone che colgono questi stimoli. La mia domanda è perché? E forse la risposta sta nel fatto che quando vivi sempre nel tuo paese ti abitui a tutto quello che ti circonda e lo guardi con sufficienza mentre se esci dal guscio e poi rientri riesci a mettere a fuoco la bellezza e la potenzialità di ciò che abbiamo. Ma questo argomento meriterebbe un post a parte!
      Grazie Graziella per il tuo contributo.

      • bho? davvero mi viene solo da risponde bho … io ho sempre portato i miei figli a teatro, mostre, cinema, passeggiate in posti bellissimi, fatto fare sport e ho sempre visto altre famiglie fare lo stesso, i miei figli hanno avuto a che fare con prepotenti e con bambini tranquilli, sono cresciuti bene, allontanando i prepotenti, ovvio che io e il padre non siamo rimasti fermi a guardare. del tuo intervento un’affermazione mi ha colpita (negativamente) “la scuola internazionale può applicare lo stesso sistema educativo ma se i bambini che lo frequentano sono italiani, cresciuti con un’educazione differente e con priorità diverse da quelle degli inglesi è normale che non avrà lo stesso effetto di una scuola inglese frequentata solo da inglesi” ma è terribile quello che dici Dru! sta a significare che i bambini italiani sono ineducabili? ma dai ti prego … stai dicendo che gli inglesi crescono educati, perfetti, non aggressivi, intelligenti eccetera in quanto inglesi? ma dai … per favore… voglio attribuire questa affermazione al tuo dispiacere di vedere le difficoltà che tuo figlio deve affrontare…

  • Personalmente come metro ho le vacanze in Italia. La mia sensazione che purtroppo pure tra i piccoletti si stia sviluppando la regole che il più furbo è il più figo! per carità pure ai miei tempi era così. Solo ora è molto più almplificato e si inizia da fin troppo presto. Già alle elementari se non prima, sono super smaliziati. La regola è prendere in giro. Mi è capitato di sentir dire così “ti viene il senso dell’umorismo”…ma una cosa è ridere insieme di una battuta, una cosa è far ridere di me….gli altri. Poi per carità pure durante la festicciola di mia figlia in Italia i maschietti hanno passato il tempo a darsele di santa ragione…e tutti a dire è normale, sono maschi…Mha! Non so. La mia amica che è stata a New York mi ha detto che si hai ragione all’estero almeno da piccolini c’è più attenzione, se da un lato sono super protetti con atmosfera quasi ovattata, dall’altra sono super stimolati con attività manuali…la cultura dei valori. Suo figlio nella mega figa scuola internazionale in italia dove sono rientrati è stato proibito di giocare per un pò in una certa aria, sempre l’altro bimbo obbligava un altro a portargli lo zainetto e un altro ancora a dargli la merendina. Lei mi ha detto: bè il mondo è pieno di s**on*i, quindi meglio che impari in fretta ad averci a che fare. Ebbene io a 5 anni non l’accetto. Preferisco un ambiente chiamiamolo ovattato…per aver a che fare con quelli “duri” c’è tempo. Si vorrei che prima si facesse le ossa, fosse più sicuro, che a 4 anni giocasse e magari imparasse a guadarsi i brava per i comportamenti positivi…

  • Anche io tornando in Italia per le vacanze, in questi anni, ho percepito un’aria di bullismo e figagine che non mi è piaciuta.
    La scuola che frequentano i miei figli qui ad Abidjan è una scuola privata internazionale, ovviamente francese. I bambini che la frequentano sono quasi tutti autoctoni, i miei sono gli unici bianchi, per dire. Ma nonostante la ricchezza (vi giuro, incredibile: veder girare in un paese del terzo mondo macchine da 100mila euro fa effetto), non esiste ostentazione e non è tollerato il bullismo. La scuola insegna loro che sono bambini fortunati a potersi permettere quel tipo di istruzione, pertanto devono tenerlo bene a mente.
    In Italia è onestamente raro che un bambino che frequenta una scuola (pubblica o privata che sia) si senta fortunato di poterlo fare.
    Noi torneremo a fine anno scolastico, a luglio, definitivamente in Italia e a settembre i miei figli cominceranno la scuola italiana (uno in prima e uno in terza): sono oggettivamente preoccupata.
    E mi rattristra che tutta l’apertura culturale che hanno respirato qui, confrontandosi con bimbi di un po’ tutte le nazioni, sarà probabilmente destinata a perdersi in logiche da piccolo paese.
    A volte penso che ci voglia un gruppo di aiuto, quando uno torna in patria dopo essere stato un expat per più di un anno. Chi ha fatto esperienze simili alla mia me lo conferma. Posso dire che ogni tanto mi viene da piangere già da ora?

  • Ciao a tutti,
    vorrei condividere l’esperienza da expat della mia famiglia in Dallas, Texas, facendo alcune riflessioni sull’ambiente scolastico offerto – o meglio imposto – ai bambini qui’.
    Ho un figlio di 6 anni che sta frequentando la Kindergarten e l’impatto, a inizio anno, e’ stato un po’ duro per lui.
    Francamente mi aspettavo un anno tipo daycare, con molto gioco, disegno, e l’insegnamento dei fondamenti dell’ABC, visto che comunque ho una figlia di 9 anni che ci era gia’ passata e pensavo di sapere cosa aspettarmi. Quello che non aspettavo ed e’ accaduto e’ che al terzo giorno di scuola sono andata a prendere mio figlio e non l’ho visto uscire…sono entrata dentro e ho visto una mia vicina di casa che mi ha detto che aveva visto mio figlio entrare nell’ufficio del Preside. Vado li’ e mi ritrovo due impiegate amministrative che mi dicono che in effetti mio figlio e’ nell’ufficio del Preside….nel frattempo mi vede la maestra di mio figlio e mi dice che mio figlio ha ricevuto una botta in testa da un compagnetto mentre erano in fila per uscire e lui ha reagito sbattendogli in testa il suo lunch box…nel frattempo mi risuonava in testa la frase “botta in testa” e ho subito detto che volevo vedere mio figlio. Le due impiegate con faccia imperscrutabile mi dicono che non posso vederlo perche’ mio figlio e l’altro bambino sono dal preside…io perdo la pazienza e, senza urlare (come vorrei) dico con voce molto ferma che io sono la madre e NESSUNO mi puo’ dire che non posso vedere mio figlio. Una delle due va a bussare all’ufficio del preside, e io sto dietro di lei, aspettandomi di vedere mio figlio quantomeno in lacrime… Quando il Preside apre mi vedo mio figlio seduto su una sedia piu’ alta di lui, ha le gambe incrociate come se fosse sul suo sofa di casa e dice al Preside (il bimbo non mi aveva ancora visto) “come le stavo spiegando e’ stata colpa di quell’altro bambino”…mi sembrava di sognare, giuro! Il Preside era sorridente e mi ha spiegato che quando l’altro bambino ha sbattuto sulla testa di mio figlio il lunch box, mio figlio ha reagito facendo lo stesso… Dopo avere concordato con la Preside che il giorno dopo i bimbi si sarebbero, in classe, chiesti reciprocamente scusa, ho messo il bimbo in macchina e gli ho chiesto “Ma perche’ quando quel bambino ti ha fatto male tu non l’hai detto subito alla maestra, come ti avevo gia’ detto di fare?” e lui mi ha risposto “Papa’ stamattina in macchina mi ha detto che se qualche bambino fa il bossy con me e mi picchia una volta io lo devo picchiare tre volte” e la cosa non mi e’ giunta nuova perche’ mio marito mi ha raccontato che questa era la frase che gli diceva suo padre ai tempi della scuola ed era la frase che anche mio padre diceva a mio fratello maggiore… e mio figlio ha aggiunto “…quindi quel bambino e’ fortunato che io l’ho picchiato solo una volta”…La paura di tutti i genitori, di ieri e di oggi, e’ che i nostri figli, a scuola, vengano presi di mira dal bulletto di turno…quindi il modo in cui i nostri figli reagiranno quotidinamente alle provocazioni dei compagni dipende da cio’ che NOI in casa e gli INSEGNANTI a scuola dice loro di fare. Una cosa e’ certa (e su questo ormai io e mio marito siamo d’accordo) e cioe’ che nel sistema scolastico di qui NON e’ consentito giustificare nessun tipo di violenza tra bambini, neanche la violenza fatta per difesa… Quindi se un bambino si comporta da bossy (inteso non solo come dare botte agli altri ma anche come comportamento che tende a escludere sistematicamente un bambino dai giochi o prenderlo in giro) allora il bambino che subisce ma ANCHE gli altri bambini che assistono a questo comportamento possono riportarlo a una maestra…Mi piacerebbe dirvi che mio figlio non e’ piu’ finito nell’ufficio del Preside, ma non posso perche’ e’ successo un’altra volta nel corso dell’anno (Io:”Perche’ hai pestato il piede a quel bambino con tanta forza da fargli male?” e lui “Mamma, erano due giorni che mi prendeva in giro per il mio giubbotto nuovo e allora io, mentre eravamo in fila per il pranzo gli ho pestato il piede…pero’ hai visto che stavolta non gli ho dato botte??)….Ora sono diversi mesi che mio figlio non va a fare “visita” al Preside e mi porta ogni giorno uno sticker con la faccetta sorridente (che la maestra mette nel suo folder per dirmi che il bimbo ha avuto una buona giornata) quindi penso proprio che ormai sia entrato nella filosofia disciplinare imposta dalla scuola…Ma mi sono davvero tranquillizzata solo quando sono andata da “chaperon” alla sua gita scolastica al giardino botanico di Dallas: i bambini, tutti, si sono divertiti moltissimo, ho visto mio figlio giocare con diversi compagnetti e l’ho visto davvero sereno… Pensandoci bene, questa filosofia disciplinare non mi dispiace affatto. Grazie per lo spazio che mi avete dato e scusate se mi sono dilungata. Un abbraccio a tutte le expat e ai creatori del sito di Amiche di Fuso. Ora so che non sono sola nella mia esperienza. Angela, Dallas, Texas.

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