#expatimbruttito

La maledizione metafisica dell’emigrato – Come reagire

paranoie emigrato integrazione
Written by Amiche di fuso

Se questo post fosse un film lo farei iniziare con tre scene differenti, ma con lo stesso protagonista, donna o uomo sceglietelo voi. Lui vive in un Paese diverso dal suo, di cui, ormai, dopo vari anni di residenza e lavoro, parla bene la lingua. Eppure, ha un accento e una proprietà di linguaggio che tradiscono il suo non essere francese.
Nella prima scena lui sarebbe a scuola di uno dei suoi figli, colloquio con l’insegnante. Tutto bene, eppure sente questa vaga sensazione di non toccare esattamente i punti che interessano e di non andare oltre la superficie. La maestra è gentile, nulla da dire a riguardo, ma le parole sembrano un po’ di circostanza e andrebbero bene per qualsiasi bimbo.

Nella seconda lei sarebbe sola, telefono in mano e, dall’altra parte, un qualche impiegato di un call center. Non sappiamo se è per l’abbonamento del telefonino, della TV o per riparare un fornello, ma vediamo che lei si spazientisce, vorrebbe altro, fa fatica a ottenere la prestazione, lo sconto o il servizio che vorrebbe.

Nella terza lei è al lavoro, una riunione con varie persone. Si discute, lei parla, interviene, argomenta una sua proposta e poi prendono la parola altri. Dopo cinque minuti lei ripete le stesse cose di prima, un po’ con l’impressione che le parole precedenti non abbiano colpito dove dovevano.

A questo punto le tre scene si riuniscono, c’è un primo piano serrato sullo sguardo e sulla bocca del protagonista che, in tutte e tre le scene pronuncia tra sé e sé le stesse, medesime, parole:

Mi parlerebbero nello stesso modo se fossi francese?

(o inglese, o tedesco, o russo se questa scena si svolgesse altrove)

Per me questa è la vera maledizione dell’expat, dell’emigrato o comunque vogliate chiamarlo. Quel momento in cui ci si finisce a guardarsi dall’alto, proprio nel bel mezzo di una conversazione, perché si inizia a pensare di essere trattati in un modo diverso. Quel momento in cui  vorresti esistessero piani paralleli e poter vivere contemporaneamente un’altra scena in cui sei studente apprendista di vita vera e assisti alla medesima identica conversazione svolta tra due francesi. É la brutta bestia del sentimento di discriminazione.

A me momenti così capitano costantemente, in tutte le situazioni descritte prima e in tante altre. Mi sono sempre capitati. “Mi parlerebbero così se fossi francese?” “Si comporterebbero così se…?” “Avrei ottenuto di più se…” Sono i dubbi che riescono a non farmi dormire la notte, a volte, e a farmi chiedere come sarebbe se invece non fossi proprio mai uscita dalla Brianza velenosa.

Col tempo e con i diversi espatri ho a tratti intuito che questi momenti metafisici sono una debolezza mia, in cui è facile cadere, ma che certo è da sconfiggere. Se fossi in Italia non sarei immune da tali paranoie che, probabilmente, si declinerebbero in “se fossi più figa”, “se mi fossi vestita meglio”, “se fossi amica di”.

Il demone è sempre lo stesso e si attacca alla cosa più visibile , in questo caso l’essere altro.

Col tempo, quando sono in buona, ho sperimentato che essere italiani offre un sacco di risorse per affrontare questa maledizione. “Sa, in Italia siamo abituati a dirci le cose in modo molto diretto” e via la domanda da faccia tosta che non riuscivi a formulare. “Sa, in Italia non sappiamo proprio cosa sia il politically correct” e via con la frecciata più frecciata che ti viene fuori verso il collega di turno. “Sa non sono ancora perfettamente a mio agio con la lingua e non sono sicura di farmi capire bene” e ripetere ancora, e all’infinito, quella domanda a cui proprio non ti vogliono rispondere. Sa, in Italia <inventare cosa a caso> e approfittarne. Oppure giocare nel tempo e sfoggiare sorrisi e complimenti ripetuti per ingraziarsi la persona, ” che, sa, in Italia è normale  essere solari e farci complimenti”.

Pero’, nella mia esperienza, cercare di evitare fino all ultimo il “vi state comportando in maniera diversa perché non sono francese”. Questa è la bomba H da usare solo una volta ogni 5 anni, con adeguata coscienza di quello che si sta facendo e in situazioni che non creino gravi danni se ti si ritorcono contro. Il rischio è di essere bollata come quella che si auto discrimina, sorta di lettera scarlatta non bella da portare, se si punta alla fantomatica integrazione e soprattutto alla propria pace interiore.

(A me per dire è successo solo due volte di farlo. Una dicendo “mi tratta così perchè non sono frequentante” e mi è andata di gran culo. La seconda “se fossi britannica sarebbe diverso” invece ho finito per cambiare Paese).

Poi, vi dico, questo film un finale per ora non ce l’ha. Ci sono questi sprazzi di autocoscienza, a cui mi attacco in queste serate da post, quando allo stesso tempo so che, stessi qua pure per sempre, per francese non mi scambierebbe comunque nessuno. Mi rileggo e mi prometto che non ci ricascherò nelle mie paranoie da emigrato, ma so che ricapiterà. Mi aggrappo al pensiero che sti antidoti funzionino, e faccio il tifo che sia così.

Anna, Francia

Ha collaborato con Amiche di Fuso da giugno 2014 ad agosto 2016

Credits immagine: Leon Ritskin @ Flickr

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Amiche di fuso

Amiche di fuso è un progetto editoriale nato per dare voce alle storie di diverse donne, e non solo, alle prese con la vita all'estero. Vengono messi in luce gli aspetti pratici, reali ed emotivi che questa esperienza comporta e nei quali è facile identificarsi. I comuni denominatori sono la curiosità, l'amicizia e l'appoggio reciproco.

16 Comments

  • Io non mi sento discriminata per la mia nazionalità, cosa che per fortuna non esiste granché in Australia, però mi sento diversa per il fatto che non sono madrelingua inglese. A volte mi capita che dico una cosa e capiscono l’opposto oppure che dopo un secondo ripetono ciò che io ho detto.
    Pian piano sto imparando a non fare allusioni ma a spiegare bene cosa intendo ma sono prolissa rispetto a quanto sanno essere sintetici gli inglesi e così non mi ascoltano fino alla fine.
    Il risultato è che inizio una frase e poi mi blocco o taccio del tutto… Ma ci sto lavorando 😉

    • Eh ti capisco, in parte è anche il mio problema. Pero’ il confine é labile, e mi ci attorciglio. Mi trattano cosi perchè non mi esprimo correttamente, o perchè il non esprimermi correttamente rende evidente che non sono indigena?

  • Ciao Anna, non potevo non commentare al tuo post perche’ mi hai fatto riafforare tanti momenti di “discrimazione” che ho vissuto nei miei anni in Francia nonostante il mio francese fosse veramente buono (sono nata in Francia, ci ho vissuto fino all’eta’ di 4 anni). Mi hanno letteralmente umiliata e non sai quante volte, con la loro frase del cavolo “oh oh, si sente un piccolo accento italiano….” “oh, ma si sente proprio che sei italiana” oppure con le telefonate assurde ai vari uffici in cui nel dire i numeri facevano apposta a non capire anzi, non si sforzavano minimamente di farsi un po’ d’orecchio per un accento un pochino diverso. Sono esperienze che non ho MAI e dico MAI vissuto ne’ in Irlanda (dove sono approdata con un inglese scolastico), dove tutti si sforzavano di capirmi, mi aiutavano e venivano incontro (sia sul lavoro che nella vita di tutti i giorni) e nemmeno mai qui in Inghilterra, dove cmq sono arrivata con un inglese ben rodato. Anzi, qui addirittura, se per caso mi scuso per il mio inglese non perfetto (metto le mani avanti per paura di essere trattata male come in Francia!), mi lodano e mi fanno i complimenti e mi dicono pure che invidiano il mio poter parlare piu’ lingue. Per cui scusami ma non credo sia la maledizione dell’emigrato, ma dipenda dalla cultura del paese ospitante. Proprio ieri sera abbiamo riso io e mio marito guardando il video di Brignano su youtube, dove fa umorismo sui francesi, guardandolo io e mio marito ci siamo sentiti sollevati, perche’ ha detto sacrosante verita’ che solo chi ha vissuto in Francia puo’ capire al 100%. Se hai voglia di farti due risate ti lascio il link (https://www.youtube.com/watch?v=YpobnGv-0SM)! Grazie per la condivisione della tua esperienza, vai a testa alta perche’ tu hai molto da insegnare a tutti gli altri e ti confermo che sia io che mio marito siamo pienamente convinti che a noi ci hanno trattato diversamente in tante circonstanze solo perche’ non eravamo francesi. Come diceva lui spesso ” per i francesi c’e’ una risposta , per me ce n’era un’altra”. Merde de merde! 😉

    • Ciao Fabiana,
      grazie del bel commento. Quello che dici mi parla assai e noi dovremmo incontrarci per raccontarci le nostre storie perchè io invece la peggio esperienza l’ho avuta in Gran Bretagna (dove cmq tornerei pure domani, perchè la mia cultura dentro è mille volte più anglofona che francofona e ogni singolo giorno mi manca il pub) Penso che ci divertireemo un sacco a scambiare le storie!
      Io trovo che la cultura francese sia davvero complessa e un po’ loro ce l’hanno proprio inculcato dentro forte forte come cultura sto reagire a cio’ che non è lingua perfetta. E’ che – io credo – non ce la fanno: tipo dopo X anni alcuni miei colleghi ancora mi chiamano Ana nelle email. Mi voglion bene la doppia n, non ce la fanno proprio a percepirla/ricordarla.
      In inghilterra quello che è successo a me, nonostante un inglese molto buono – infintiamente migliore del francese che non proprio avevo arrivando qua, è di sclerare totalmente per tutti quei sottintesi, quella genitlezza che invece era mengreghismo, quei ‘fine’ che poi non erano ‘fine’.
      Quindi non so. Non difendo i francesi tout court e ho i miei bei dubbi a crescere i miei figli qua. Piuttosto mi chiedo se ci sia davvero una morale, o se non sia lo stato in cui ci troviamo noi in una certa esperienza, se non siano le aspettative, la fortuna, il caso, un singola persona che ci cambia la giornata, e tutto il vario ed eventuale che ci va insieme.
      Insomma, in definitiva, boh! Un abbraccio

  • Ciao Anna, bel post! Ora devo per forza dire la mia 🙂 Fortunatamente non ho mai vissuto situazioni palesemente discriminatorie da nessuna parte (ho vissuto a Dublino e a Versailles per diversi anni), però capisco la sensazione che descrivi.
    Anche se il mio inglese non era il massimo, una volta approdata in Irlanda, non ho mai percepito nessuna sensazione di discriminazione per non essere madrelingua, solamente una certa impotenza ad esprimermi in certe situazioni, ma quello è normale.
    Invece ricordo perfettamente due episodi che mi sono accaduti appena arrivata in Francia. Il primo è stato quando ho salutato una vicina di casa dicendo semplicemente “Bonjour”, lei mi ha risposto “Da dove vieni?” e io ci sono rimasta malissimo perché era evidente che non fossi francese anche da una semplicissima parola!!! Lì ho realizzato che non sarei mai “diventata francese” neanche se fossi rimasta per tutta la vita in Francia.
    Il secondo episodio è stato quando, salita sull’autobus -nella disperata ricerca delle parole giuste- ho chiesto un biglietto senza prima dire “Bonjour”. Cascasse il mondo! L’autista mi ha urlato dandomi della maleducata: “Non si dice Bonjour?!?”. Inutile dire che ci sono rimasta malissimo. Insomma, l’accoglienza non è stata delle migliori, ma devo dire che una volta che ho capito certe loro dinamiche sociali, le formule di cortesia e mi sono sforzata di parlare la lingua, ho incontrato persone per lo più gentili (nell’amministrazione, negli ospedali, nei negozi…), che erano ben disposte ad aiutarmi se non riuscivo ad esprimermi bene.
    Un saluto, Laura

    • Grazie Laura. ‘Ora devo per forza dire la mia’ é la cosa più bella che si possa dire dopo un post! Si’, mi vedo la tua esperienza, anche io inciampo e spesso nelle lore formule di cortesia, bla bla. Questa è davvero una differenza culturale. Io credo che quello che ci (mi) frega un po’ e’ che il francese è in fondo cosi simile, anche in costruzione frae etc, che certe cose le vediamo superflue. e poi appunto tutte ste tiritere di rituali, tra baci e strette di mano, ahah di cose di cui parlare che ne sarebbero. Comunque una volta ho letto uno studio in cui mostravano che gli italiano sono quelli che suonano meno cortesi in una lingua straniera (sicuramente in inglese) perchè – ed è vero – da noi la gentilezza passa più per intonazione, sorriso etc che per quello che diciamo. Detto cio’, e qua è la francofonia che si fa sentire, quest’estate in italia mi parevan tutti maleducati!

      • Ahaha è vero, poi ti abitui ai rituali di cortesia e gli altri che non li seguono ti sembrano sgarbati! 😀 Comunque sono d’accordo con la tua riflessione sulle “formule superflue” in italiano. Per me se chiedi con un tono/modo gentile non risulti maleducato -anche se non parti per forza con un buongiorno… Che so un cordiale: “un caffè per favore”, o “mi farebbe un caffè?”

    • A me il fatto di essere identificata alla prima parola non come straniera, ma come napoletana, succede praticamente ogni volta che incontro degli italiani all’estero, e il tono non é sempre lusinghiero nella scoperta della mia provenienza… Mentre in generale nei paesi dove ho vissuto/visitato, il mio accento italiano é sempre classificato come “molto carino”, e sembra fare simpatia… tanto meglio, cosi distolgo l’attenzione dagli errori che spesso faccio in un’altra lingua! ma la frustrazione di voler dire qualcosa e non avere le parole adatte e incisive per farlo mi capita spesso, soprattutto con i madrelingua inglesi e francesi a lavoro, mentre loro naturalmente riescono ad esprimere il concetto con 3 parole che tu conoscevi benissimo, ma non avresti mai messo insieme 🙁

      • Ahhh anche il discorso accento tra italiani all’estero è un tasto dolente. Per qualche motivo mi sono quasi sempre trovata a lavorare principalmente con milanesi (e dintorni), romani e sardi. Una percentuale -sufficientemente fastidiosa- di questi appena sentono il mio accento emiliano non riescono a resistere alla tentazione di imitarlo… di solito pure male. La prima volta gliela abbuono anche, ma alla lunga… Davvero pessimi!!! Non so nemmeno come rispondere in queste situazioni. Consigli? Scusate l’off-topic. >_<

  • Simpaticissimo il tuo post Anna. Qui il fatto di avere un accento italiano e’ invece considerato un vezzo e ti guardano con curiosita’ e un po’ di invidia… Poi pero’ vogliono farmi capire che loro l’italiano lo conoscono e sbottano con il solito ‘CIAOO BELLLLA’ che non sopporto e mi metto a spiegare che questa e’ una impersonification e che in realta’ il ciao bella non lo dice piu’ nessuno e che nemmeno i pizzicotti sul sedere i nostri uomini li danno piu’…. 😉

  • Ah Anna come ti capisco! Vivo in Francia dal 2006, sono laureata in lingue e quando sono venuta qui avevo già una buona conoscenza del francese. Pourtant l’accento italiano ce l’ho anche quasi dopo dieci anni di vita in Francia e non faccio niente per perderlo: non mi sforzo a pronunciare le loro E chiuse o i loro AN EN IN ON UN in modo perfetto. Ho subito anche diverse discriminazioni per il mio accento (a volte lo prendono per un accento rumeno o russo non so se vi è già capitato). La prima discriminazione l’ho avuta quando avevo inviato la candidatura per un lavoro (chargée de clientèle) e la responsabile mi ha chiamato e mi ha detto che non poteva assumermi perché “il mio accento avrebbe OFFESO i clienti dell’azienda”. O una volta quando ho sostituito una collega alla reception e la responsabile mi ha chiesto di fare un caffé per lei e quando ha visto un espresso nella tazza me l’ha quasi gettato in faccia e mi ha detto:
    -Guardi che io non sono italiana!
    Ovviamente me ne sono andata da quell’azienda non dando le dimissioni ma chiedendo una rupture conventionnelle che mi garantiva la disoccupazione. Con il tempo ho imparato ad adattarmi al loro modo di interagire poco diplomatico (trovo che gli italiani sono molto più diplomatici e cercano di evitare i conflitti) ed a volte agressivo. Perché queste frasi di cortesia vuote che usano -al bonjour, ça va? avevo diritto tutti i giorni- solo che poi non ascoltano neanche la risposta: quando rispondi ça va bien et toi? sono già in un’altra stanza! Quindi queste frasi sono inutili e quando pronunciano i mio nome mettendo l’accento sulla A lo pronuncio nuovamente e correttamente. Chi se ne frega! Una cosa che ho imparato qui è che bisogna farsi sentire e mettere i puntini sulle I se vuoi essere rispettato e quando gli parli con un tono più deciso ed agressivo abbassano la coda e fanno meno i malins :-). Come i bulletti che se gli fai capire che hanno a che fare con uno più forte di loro diventano degli agnellini 😉

  • Nata in Brasile da due brasiliani di prima generazione (naturalizzati), avevo ingombranti nome e cognome italiani che nessuno riusciva a pronunciare o scrivere correttamente e c’erano già poche possibilità di amalgamarmi nel posto in cui son nata ma imparare l’italiano da piccola fu la botta che mi spinta del tutto fuori dal contesto in cui crescevo.
    In Italia, difficilmente ho avuto problemi a farmi capire da studentessa e negli anni, pure l’accento va diminuendo ma c’è, in ogni luogo, un modo di riconoscere i “simili” che vale anche per le nazionalità, religioni, culture, ecc. E questo “modo” spesso viene usato appunto per escludere l’expat del caso.
    Ricordo quando traducevo in una sorta di simultanea in inglese le riunioni di genitori per delle altre mamme straniere – che d’italiano capivano proprio nulla o quasi – e loro avevano davvero tanto da domandare! L’insegnante non ne fu affatto contenta della mia iniziativa e le altre mamme italiane ancor meno!!!
    La lingua del posto in cui vivi è davvero il miglior biglietto da visita che puoi presentare quando sei un’expat.

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