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Dal Giappone: Veronica

Written by Veronica Marocco

Oggi ospitiamo Veronica che ci scrive dal Giappone e ci racconta con ironia di cosa ha significato per lei diventare una expat wife, ovvero una moglie al seguito: un vero e proprio shock culturale.  La ritrovate sul suo blog Veronica in Translation.

Il Giappone, e Tokyo nella fattispecie, non erano certo la nostra prima esperienza: il Sud della Francia prima (che però non ci sembrava neppure un espatrio) e quasi quattro anni a Hong Kong poi, ci avranno pure insegnato qualcosa, ci siamo detti.

L’occasione era troppo importante per mio marito, impiegato in una grande catena di alberghi, e anche se eravamo coscienti che io avrei potuto avere delle difficoltà a ricollocarmi in un ambiente lavorativo giapponese, non abbiamo esitato troppo di fronte a questa nuova esperienza da expat.

giappone

Del fatto che io, col mio Dependant Visa incollato al passaporto, sarei diventata una Moglie al Seguito, e dunque un esemplare animale collocato in un punto non altissimo della catena alimentare, mi sono resa conto relativamente presto.

Già avevo percepito qualche indizio al Consolato Giapponese di Hong Kong, dove ci eravamo recati a Settembre scorso una volta ricevute le nostre Eligibility Letters, per trasformarle nel visto vero e proprio. Riempiendo uno dei moduli, alla voce “Professione”, poiché avevo già dato le dimissioni dal mio posto di lavoro di Hong Kong, mi venne naturale scrivere ‘Unemployed’. L’impiegata mi guardò con un mezzo sorriso.

-Unemployed? (Disoccupata?)

-Yes, I have already left my job here, and for now I didn’t find a new one in Japan yet. (Sì. ho già lasciato il mio lavoro qui e per ora non ne ho trovato ancora uno nuovo in Giappone.)

-Ok. So, it’s “Housewife” that you have to write here. (Ok, quindi è “Casalinga” che deve scrivere.) 

Ah, ecco. Benissimo. Cioè, niente in contrario, ma io non faccio la casalinga. Vabbè, pace, datemi questo visto e non se ne parla più. Sarà per questo che in Giappone non si parla di disoccupazione femminile. Male che vada, sei una shufu*.

Questo mi dissi.

Arrivati a Tokyo, non parlando Giapponese non ho potuto “ritrovare” il mio posto negli Eventi e nel Marketing, ed ho cominciato a lavorare come freelance con qualche scuola, insegnando Francese e Italiano (cosa che nel passato avevo sempre fatto, un po’ per arrotondare, un po’ per far fruttare i miei studi, e lasciare una porticina aperta su un possibile sbocco lavorativo parallelo, ma anche e soprattutto per passione).

Mi sono dunque iscritta ad un corso di Giapponese intensivo (quattro ore al giorno, dal lunedì al venerdì, lacrime e sangue inclusi nel prezzo) per poter approfittare al meglio del forzato anno sabbatico. In fondo, male che vada imparo il Giapponese, no?

Quando siamo andati ad aprire il conto in banca, seppure in una banca occidentale con personale perfettamente English speaking, l’impiegato continuava a chiedere a mio marito di chiedere a sua moglie (una me medesima allibita e fumante seduta davanti a lui) la carta d’identità, il passaporto, una copia del visto…

Episodi eclatanti a parte, la sensazione di essere un pacco al seguito un po’ rimane: nessuno si aspetta che io lavori, e si stupiscono quando parlo della mia ricerca, del fatto che io mandi dei CV. A scuola, a parte gli studenti stranieri, tutte le altre ragazze della mia età sono Mogli al Seguito che vengono a scuola per passare il tempo (mentre io sudo prima dei compiti in classe, in un inspiegabile ritorno ai miei peggiori anni di gioventù). Qualcuno mi ha anche suggerito di prendere un cucciolo, visto che finalmente (?) hai smesso di lavorare, come se fosse stato un capriccio di gioventù. Qualcun altro pensa che io sia una privilegiata, e che comunque non abbia bisogno di andare in ufficio in realtà, confermando ancora una volta che il mestiere di fare i conti in tasca agli altri non conosce pensionamento.

giapponese per principianti

giapponese per principianti

In Asia questi sono episodi comuni, soprattutto nei paesi più tradizionalisti, ma neppure gli Expat se ne stupiscono più di tanto, così come una certa idea della moglie è diventata uno stereotipo. Molte donne, vista la difficoltà nel trovare un lavoro, rimangono a casa e si occupano, quando ce ne sono, dei bambini e di tutta la gestione domestica. A dire il vero alcune sono contente, altre si adattano, altre si deprimono. Non è sempre facile trovare un nuovo posto per sé quando si fanno traslochi internazionali ogni due o tre anni e avere un lavoro, un “job title” a volte può aiutare a definire se stessi.

Io sto riuscendo a trasformare questa situazione in un anno di studio, di transizione e di riflessione su quelli che sono i miei veri desideri, le cose che davvero amo fare. Ho imparato finalmente a cucinare qualcosa di più elaborato della pasta al tonno, cosa di cui mio marito è felicissimo.

Lavorare mi manca davvero tanto, ma non nego che non avere più quella che io chiamo “la palla di angoscia” sullo stomaco la domenica sera al pensiero di cosa mi aspetta l’indomani sia di conforto.

Certo è che il Giappone rimane il paese più particolare, più distante dai nostri canoni in cui finora abbiamo vissuto. Un paese che molti pensano modernissimo e all’avanguardia, ma che in realtà a volte sembra fermo agli anni Novanta; un paese dai mille paesaggi, dalle mille cucine che non vediamo l’ora di esplorare. Un paese su cui c’è molto da dire e da scrivere, e che mi ha fatto venire voglia di riaprire un mio blog, dopo anni di abbandono della tastiera (se non a fini lavorativi).

Noi Mogli al Seguito, a volte viste come un accessorio nullafacente, siamo in realtà forti, flessibili, creative. Sappiamo traslocare, imparare nuove lingue, specializzarci in burocrazie estere a volte incomprensibili, rimodellare le nostre vite, trovare soluzioni ai piccoli problemi quotidiani, sempre nuovi. Ogni tanto ci commuoviamo in qualche aeroporto, poi però saliamo la scaletta con fare deciso: ce la faremo, comunque vada, anche questa volta. Per il resto, c’è Skype.

Veronica, Giappone.

*shufu significa casalinga in giapponese.

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Author

Veronica Marocco

Amante dei viaggi e dei libri, con la mia laurea in Lingue e il mio lavoro in hotel, quando pensavo alla possibilita' di partire dall"Italia la mia immaginazione si fermava a Londra...e invece dopo due anni in Francia, nel 2011 scendo dalla scaletta di un aereo che mi porta dritta a Hong Kong, per quasi quattro anni. Nel 2014 la seconda tappa del tour asiatico: Tokyo, immensa, calma e caotica al tempo stesso. Dopo due anni nella megalopoli giapponese, nuova destinazione è Taipei, capitale dell'isola di Taiwan, che rimarrà nei nostri cuori: qui è nata Beatrice, la nostra bambina. Nel 2019 siamo arrivati a Shanghai, per poi tornare in Europa, in Francia, nell'estate del 2020. Per l'inizio del 2022, quando ormai credevo sarei rimasta europea, e dopo essere diventati quattro, accogliendo Francesco (nato a Nizza), un nuovo biglietto aereo diceva Doha, Qatar. Un bel giro del mondo del quale proverò a raccontare.

12 Comments

  • “Qualcuno mi ha anche suggerito di prendere un cucciolo, visto che finalmente (?) hai smesso di lavorare, come se fosse stato un capriccio di gioventù. Qualcun altro pensa che io sia una privilegiata, e che comunque non abbia bisogno di andare in ufficio in realtà, confermando ancora una volta che il mestiere di fare i conti in tasca agli altri non conosce pensionamento.”

    Veronica mi hai incantata, hai riassunto alcune tematiche con grande armonia ed intelligenza.
    Grazie per questo post bellissimo! 🙂

  • la tua situazione non è per nulla facile, se si è da sempre abituati a lavorare, ad avere una certa indipendenza, lasciare tutto per fare la casalinga deve essere veramente dura. Non vedo l’ora di leggere i tuoi racconti del Giappone! Micio suocero ci ha lavorato per due anni e mi ha spiegato che ci sono tre livelli diversi di conoscenza della lingua e che anche i giapponesi imparano a leggere e scrivere all’ultimo livello solo all’università. Chissà se è ancora così!

    • E’ ancora cosi!
      Per fortuna, dopo un anno di CV, lotte e sbattimenti, ho trovato lavoro!
      E devo ammettere che mi sento proprio meglio 🙂

  • Ciao Veronica, il tuo post mi ha fatto riflettere: sono anch’io una moglie al seguito, ex-insegnante, tornata studentessa qui in UK e ora, a studi conclusi e senza una attivita’ lavorativa, come dovrei definirmi ufficialmente??? Non ne ho la men che pallida idea…. Quando qualcuno mi chiede’E ora cosa fai?’ Rispondo semplicemente ‘I enjoy Welsh life!/ Mi godo la vita in Galles!’Ma arrivera’ il momento tanto temuto in cui dovro’ decidere come definirmi…
    Grazie per il tuo post!

    • Ciao Laura, grazie a te!
      Io dopo un anno ho trovato lavoro (non full time, ma va bene così’) e sono contenta, ma e’ stata una lotta. Non avendo bambini poi, a volte sembra ancora più’ difficile ‘giustificare’ una permanenza a casa…
      Anyway, in bocca al lupo e enjoy Welsh!!

  • Moglie al seguito a rapporto! Ho lasciato il lavoro in Italia 2 anni fa per andare a Kuala Lumpur a seguito del fidanzato (ora marito) e 2 settimane fa ho di nuovo lasciato il lavoro causa imminente trasferimento a Doha..si ricomincia la festa!
    Non ho particolari problemi a definirmi temporaneamente “casalinga” però a lungo andar, dopo che hai esplorato i dintorni, supermercati e imparato a cucinare, a meno che non ci siano bimbi al seguito, è bello avere un’occupazione vera e propria!
    Per ora mi preparo al doppio trasloco intercontinentale (Malesia-Italia e Italia-Qatar)..sigh!

    • Ciao Chiara, scusa per questa risposta tardiva!
      Conosco i traslochi/scatoloni/shipments… io ho preso il tempo da casalinga come un’opportunita’ di formazione e riflessione personale. E’ stato bello ma non nego di essere contenta di essere tornata a lavoro!

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