Reinventarsi

Appuntamento da Twitter

Written by Amiche di fuso

Cercare lavoro a San Francisco è stato duro e la mia ricerca è durata per mesi. Mesi e mesi di domande che spesso non hanno mai ricevuto risposta o che, in molti altri casi, hanno ricevuto risposta negativa.
Fino a che un giorno mi capita sott’occhio un annuncio nella pagina facebook del San Francisco Museum and Historical Society, di cui tra l’altro ero diventata follower, un po’ per caso, qualche tempo prima.
Cercasi storico di formazione che conosca bene San Francisco e sia magari anche un city blog writer – leggo nell’annuncio in inglese.
Lo leggo e lo rileggo altre cento volte e ogni volta gli occhi mi si fanno più grandi. Pare descriva proprio me: storica dell’arte di formazione, appassionata di San Francisco e city blog writer da tre anni a questa parte.
In venti minuti netti rispondo via e-mail all’annuncio inviando una breve descrizione del mio lavoro pregresso con tanti bei link al mio blog e il mio curriculum allegato. Faccio il tutto con mio figlio che gioca tranquillo sotto al tavolo. Dopo neanche mezz’ora ricevo la risposta in cui mi dicono che sono molto interessati e vorrebbero parlarmi telefonicamente al più presto.
Ho il mio primo colloquio telefonico in inglese dopo un paio di giorni, di sera. Sono agitatissima ma lo nascondo abbastanza bene e cerco essenzialmente di fare una buona impressione. Durante la telefonata scopro anche che cosa dovrei andare a fare: la start up in questione sta progettando una applicazione per il telefono che dovrebbe guidare i turisti nella visita della città grazie a dei percorsi prestabiliti con mappe e video disponibili. E si tratta di un progetto che coinvolge numerose città in tutto il mondo: Lisbona, Londra, Roma, New York e Los Angeles, insieme a San Francisco. In ogni città stanno cercando 5 ricercatori che possano trovare delle notizie curiose e inedite relative a questi luoghi. Più ne so e più sento che voglio fare parte di questo progetto!

Al termine della telefonata pero’, mi sento dire la classica quanto terribile frase: Ti faremo sapere…  e poi silenzio fu, per un paio di settimane.

Fino a che mi arriva la mail tanto attesa in cui mi viene comunicato che sono interessati ad avermi nel loro progetto e vorrebbero incontrarmi al più presto… DA TWITTER. Dico… TWITTER!
E fu così che in un lunedì qualunque, di mattina, misi piede in uno dei colossi del web, Twitter, per il mio primo colloquio di lavoro lontano dal mondo dell’università.

Vivere a San Francisco significa diventare familiari con la vista dei palazzi di Yahoo, Adobe Reader, Dolby o Zinga. E peggio è se si va fuori città, verso sud, nella famosissima Silicon Valley dove ci si sorprende ad ogni angolo, scoprendo gli edifici di Facebook, Google o Skype, giusto per dirne alcuni… Ad ogni modo, “diventare familiari con…” non significa avere la possibilità di mettere piede in questi luoghi quasi mitologici. Quindi per me, entrare da Twitter è stato come finire nel mondo di Alice nel Paese delle Meraviglie.
Sono su Market Street, la strada più centrale e trafficata della città, nel downtown di San Francisco… e nel via vai di gente che entra ed esce da Twitter, ci sono anch’io! Io che sono stata chiamata perché sono una ricercatrice e una city blog writer!
Varco la soglia d’ingresso e mi rendo conto di essere finita in un altro mondo: architettura minimalista, installazioni di arte contemporanea a temi geometrici sulle pareti, tutto il resto è nero e lucido… Al centro, solo un grande bancone quadrato, dietro al quale si erge una donnona, di colore, con giacca nera e camicia bianca sotto, che parla con una guardia, anche lei donna, di colore, in divisa.
La prima cosa che mi sorprende, e tanto anche – ma pensandoci ora mi sembra talmente scontata! – è questa sicurezza all’ingresso. Twitter è blindatissima! E chi lo avrebbe mai detto?!
La donna dietro al bancone mi chiede un documento di identità, poi scrive qualcosa sul computer e controlla qualcos’altro, contatta al telefono qualcuno, poi mi stampa un’etichetta con il mio nome scritto sopra e la data, e poi me la consegna. Il mio nome è scritto sbagliato (e te pareva?). Con un certo disappunto, per quella R che mi va di traverso ogni volta, mi attacco l’etichetta alla camicia e proseguo verso gli ascensori. Ci arrivo davanti, entro nel primo che arriva e mi accorgo che non ci sono pulsanti. No, dico, niente pulsanti! Solo uno schermo digitale in alto, sul quale non ho alcun controllo.
La donna al bancone mi chiede a quale piano ho l’appuntamento, io rispondo e lei replica dicendo che sarà l’ascensore G a portarmi a destinazione.
Al quarto piano l’ascensore si ferma, come per magia, ed io scendo. Una porta a vetri mi separa da quello spazio lavorativo condiviso, che si chiama Runway, di cui mi aveva parlato il capo via mail.
Oltrepasso quella porta e scopro un altro mondo ancora.
E’ tutto buio, sembra di essere nel foyer di un teatro prima di un importante concerto. C’è solo un altro bancone con una segretaria illuminata dal basso e alle sue spalle non posso non notare una lavagna interattiva multimediale con varie scritte.
Mi presento, la segretaria punta lo sguardo all’etichetta attaccata sulla mia camicia e poi mi invita ad accomodarmi nel salotto e mi dice anche che posso servirmi da sola: ci sono caffé, bevande e spuntini vari a disposizione di tutti.
Da seduta, comincio a guardarmi attorno. Adesso  mi sento Pinocchio nel Paese dei Balocchi…
Alla mia sinistra, una sala da riunioni tutta trasparente con tre giovani dentro, seduti di fronte ad un tavolo, che scrivono tutti al computer.
Dietro di me, una saletta chiamata Zenith, con una porta a vetro dietro alla quale vedo due ragazzi intenti a pensare, proporre e scrivere su una lavagna bianca. E di fronte a me c’è quello che a me sembra un igloo… e che invece online definiscono un incubator space

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Incubator Space da Twitter (Photo credits: Soyouknowbetter.com)

E dentro ci vedo stravaccati sul divano un paio di giovani, intenti a lavorare. In quel momento realizzo anche che non sento nessuno parlare: è tutto insonorizzato!!

A quel punto arriva il mio capo. E’ un bell’uomo, alto e magro, avrà solo qualche anno più di me. Mi alzo dal divano, gli stringo la mano e lui mi guida attraverso l’open space e mi spiega che qui lavorano, una a fianco all’altra, tante start up diverse. Mi chiede che ne penso ed io non posso che dire quanto sono impressionata!
Quella sala è talmente grande che non riesco a vederne la fine… e tutte le finestre danno sui grattacieli circostanti. Noto le biciclette parcheggiate sul piano da un lato e una fila interminabile di tavoli, sopra ai quali stanno altrettanti computer di dimensioni esagerate. Davanti allo schermo, tante persone che, ancora, pensano e scrivono.
Questo brulichio di idee in questo luogo così giovane e pieno di attività mi colpisce dritta al cuore.
Poi noi ci spostiamo in un’altra sala, un po’ più piccola nella quale ci sono altre persone che parlano tra di loro e qui il capo mi mostra il progetto su cui stanno lavorando. Mi dice che io dovrò condurre una ricerca sulla storia di San Francisco. In pratica mi pagano per fare quello che solitamente faccio quando scrivo nel mio blog condividendo le mie scoperte sulla città, per pura gloria. Mi pagano per andare in biblioteca e nutrire la mia curiosità verso questa città che amo così tanto e che risulta essere una fonte inesauribile di storia mozzafiato.

Il capo mi chiede se sono più interessata ad un’area di San Francisco piuttosto che ad un’altra. Gli dico che mi piacerebbe lavorare sul quartiere di Mission che conosco meglio, ma quello è già stato preso da un altro ricercatore…
Allora ci penso un attimo e mi propongo per il quartiere italiano, North Beach, sebbene sia una delle zone che non frequento mai perché mi sembra tutto tranne che davvero italiana. Mai decisione presa così su due piedi fu così azzeccata!
Questo lavoro, seppur temporaneo e mal pagato rispetto alla mole di lavoro svolto, mi ha permesso di scoprire tutto il fascino di questo quartiere, la sua storia complessa dai suoi inizi ad oggi, tutti gli strati di letteratura, arte, cultura e spettacolo che si perdono nelle insegne dei locali di terza generazione italiana o nelle vetrine affollate che luccicano davanti alle folle di turisti. Grazie a questo lavoro ho riscoperto l’essenza di North Beach e mi sono innamorata per la prima volta di questa zona della città che avevo visto e rivisto così tante volte senza mai riuscire a capirla veramente.
Per qualche mese mi sono quindi ritrovata a rivestire i panni della ricercatrice che si muove per la città alla ricerca di notizie inedite sul passato e il presente di San Francisco e ad indossare i nuovi panni della giornalista in erba che intervista artisti di arte contemporanea che ancora lavorano a North Beach, manager di locali storici come il City Lights Bookstore della Beat Generation, o del Caffè Trieste che ancora oggi ospita personaggi celebri del mondo della letteratura e dell’arte, o ancora del Café Zoetrope di Francis Coppola. Un’esperienza meravigliosa per una italiana curiosa di San Francisco e l’occasione per cominciare a credere sul serio nel sogno americano di cui avevo tanto sentito parlare…

Sabina, California

Ha collaborato con Amiche di Fuso da Luglio 2014 a Settembre 2016

Per la foto di copertina: Getty Images/AFP, Justin Sullivan

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Amiche di fuso

Amiche di fuso è un progetto editoriale nato per dare voce alle storie di diverse donne, e non solo, alle prese con la vita all'estero. Vengono messi in luce gli aspetti pratici, reali ed emotivi che questa esperienza comporta e nei quali è facile identificarsi. I comuni denominatori sono la curiosità, l'amicizia e l'appoggio reciproco.

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