Reinventarsi

Un nuovo lavoro all’estero: reinventarsi la vita dopo l’espatrio

Written by Amiche di fuso

Oggi vi racconto di come ho ottenuto un nuovo lavoro all’estero.

Quando sono arrivata negli USA per seguire mio marito, non avevo un’occupazione in quanto il mio visto non mi permetteva di avere un lavoro all’estero.

D’altra parte la mia laurea scientifica in farmacia qui non valeva niente, se non come generico titolo di studio universitario. Mi ero anche informata sui passi da fare per riconoscere la mia laurea, ma avrei dovuto parlare un inglese decente e allora il mio non lo era affatto.

Poi avevo finito da poco di studiare per i vari concorsi che avevo dato negli ultimi anni in Italia per avere finalmente il mio agognato posto a tempo indeterminato ed ero un po’ nauseata dalla chimica e dai libri scientifici in generale.

Insomma, avevo accantonato l’idea con un “ci penserò!”, già poco convinto in partenza. Perché se mi mancava lavorare, e con esso i colleghi e anche il rapporto umano con molti clienti, non mi mancavano affatto le ore trascorse in piedi dietro un bancone e soprattutto le notti di turno.

Invece, poiché mi ero messa a studiare l’inglese ed i corsi erano all’università di Pittsburgh, dove allora vivevo, ero andata al dipartimento di Italiano dell’università a curiosare e a scambiare due parole in una lingua che conoscevo.

Erano gli anni novanta, non c’erano ancora i giornali online e Whatsapp e Facebook che ora permettono di scambiarsi idee in tempo reale. Ero sola e potevo parlare solo con mio marito. Insomma ero in crisi d’astinenza da rapporti umani.

Lì avevo incontrato la direttrice del dipartimento che mi aveva accolta benissimo. Le sarò piaciuta, perché subito mi aveva detto che avevano bisogno di me come lecturer e che avrebbero loro fatto il cambio del visto perché potessi essere in regola per un lavoro all’estero. Era già deciso che avrei iniziato con l’anno nuovo, ma a Pittsburgh alla fine non ho mai insegnato.

A gennaio era nata Francesca e per un po’ di anni avevo fatto la mamma ringraziando mille volte il fatto di averne avuto la possibilità, che non avrei mai avuto se fossi rimasta in Italia.

Poi c’è stato il trasferimento a Milwaukee e Francesca ha cominciato ad andare a scuola. Qui a Milwaukee c’è un bel gruppo di italiani o, se non proprio italiani, persone legate alla cultura italiana e ben due università con programmi di italiano.

Qualche tempo dopo il mio trasferimento, una di queste persone che si stava per trasferire in Italia, mi aveva chiesto se me la sentissi di insegnare italiano e prendermi carico degli allievi che lei avrebbe lasciato indietro. E così ho iniziato ad insegnare italiano privatamente.

Dopo alcuni anni un’altra persona, ora mia carissima amica e collega, conosciuta attraverso il gruppo di italiani, mentre ero in Italia in vacanza mi ha telefonato, chiedendomi se volessi sostituire un altro collega tornato in Italia temporaneamente ad una delle due università: Marquette. E così ho fatto il colloquio e sono stata assunta. E sono rimasta, perché il collega non è più tornato dall’Italia. Per tutti questi anni ho continuato ad insegnare lì.

Negli ultimi anni poi ho anche cercato di abbracciare le nuove tecnologie e l’evoluzione dell’insegnamento, sviluppando due corsi di lingua online per l’università che insegno durante l’estate.

Questa è la mia storia.

Cosa mi ha insegnato? Per prima cosa che bisogna evolvere, cambiare e buttarsi a provare cose nuove ed essere all’estero ti obbliga a farlo a prescindere. Io avevo avuto solo esperienza come insegnante di chimica e sono finita ad insegnare lingua.

Comunque è anche vero che non tutti quelli che parlano bene e correttamente italiano o un’altra lingua possono insegnarla. Bisogna che piaccia insegnare, bisogna imparare la didattica studiandola e bisogna superare le frustrazioni che si affacciano comunque all’ennesimo “il zio” o “oggi ando a classe” che ti obbligano a indossare abiti sempre con le maniche lunghe per evitare che la pelle d’oca che esce ad ogni strafalcione, sia troppo evidente.

Ma sono state molte di più le volte in cui sono stata premiata dei miei sforzi ed è un regalo quando gli studenti si ricordano di me e mi ringraziano e mi scrivono per ringraziarmi.

Un’altra cosa che questa esperienza di lavoro all’estero mi ha insegnato è che qui non servono raccomandazioni, ma non ci sono neanche graduatorie e se vogliono te, diventa facile assumere proprio te e non un altro.

Ho imparato anche l’umiltà e a riconoscere i miei limiti. Sono una lecturer, non sarò mai niente altro perché i titoli americani valgono di più di quelli degli altri stati e solo con il dottorato di ricerca preso qui puoi diventare professore. Lo sanno le mie colleghe e amiche che se hanno voluto fare carriera. Si sono dovute rimettere a studiare per prenderlo. Io non l’ho fatto, il dottorato non l’ho preso. Avrei dovuto iniziare prima e non mi porterebbe nessun vantaggio a questo punto della vita perché non sono nella posizione di potermi trasferire in un’altra città per inseguire la mia carriera.

Questo non vuol dire che ho smesso di studiare. Ho sempre la voglia di imparare cose nuove e devo pure farlo se voglio rimanere aggiornata.

Da quello che avete letto fino qui sembrerebbe davvero una storia senza lati negativi. Quella storia che fa prendere la valigia e partire all’avventura…calma però!

Per prima cosa negli anni ho insegnato un corso o due all’anno. Se non fosse stato per mio marito, non sarei sopravvissuta da sola monetariamente parlando. Per seconda cosa, qui i posti a tempo indeterminato sono un sogno per quasi tutti. L’unica sicurezza ce l’hanno i professori con il “tenure track”. Tutti gli altri sono sottoposti alla roulette del numero degli studenti che si iscriveranno ai corsi e al cambiamento di direzione che alcune università intraprendono, togliendo fondi ai dipartimenti o tagliando i numeri di crediti in un determinato soggetto accademico necessari alla laurea.

Queste politiche possono drasticamente abbassare il numero di studenti che si iscrivono a determinati corsi e diminuiscono il numero di insegnanti necessari. Puoi essere bravissimo nel tuo lavoro, esserti fatto un mazzo incredibile, ed essere benvoluto da tutti che sei fuori, senza molti complimenti. E a me è successo.

E mi ha mandato in crisi l’anno scorso. Ero arrabbiata e solo io ne ho risentito, entrando in una crisi che non avevo provato neanche quando avevo lasciato il lavoro per venire negli USA. Mi sono fatta del male da sola e non ho ottenuto niente con la mia rabbia. Per fortuna sono fondamentalmente una persona positiva e dopo un po’ mi sono tirata fuori dalla spirale di autocommiserazione. Poi, mentre pensavo di godermela un po’ con un lungo periodo in Italia, sono stata richiamata ad insegnare e a tempo pieno in corsi che non avevo mai tenuto prima. Poi i miei corsi online estivi ed il resto è storia di questi giorni.

E` infatti successo di nuovo. Pensavo di essere fuori di nuovo, ma questa volta senza rabbia, solo rassegnata che le cose vanno così e che non è “colpa” mia. Invece sono stata richiamata di nuovo e questa volta dall’altra università della città. Nuovi corsi, nuovi libri, nuovi colleghi e nuove sfide! Sto provando un misto di eccitazione e preoccupazione, ma tutto molto positivo. Forse vedere la vita e le cose come un bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto serve! Anche qui una sostituzione per un semestre, poi vedremo. Io progetti che mi frullano in testa ne ho sempre… Vi farò sapere, intanto voi fate il tifo per me! E non dimenticate che trovare un nuovo lavoro all’estero è possibile!

Claudia, Wisconsin

PS: di oggi è la notizia che mi hanno riconfermata per la primavera e ne sono così felice!!! Un passetto alla volta si va avanti.

Claudia ha collaborato con Amiche di fuso da settembre 2015 a dicembre 2019. Potete continuare a seguirla su Un’alessandrina in America

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Amiche di fuso

Amiche di fuso è un progetto editoriale nato per dare voce alle storie di diverse donne, e non solo, alle prese con la vita all'estero. Vengono messi in luce gli aspetti pratici, reali ed emotivi che questa esperienza comporta e nei quali è facile identificarsi. I comuni denominatori sono la curiosità, l'amicizia e l'appoggio reciproco.

11 Comments

  • Io ho 52 anni e non me la sento proprio di emigrare ma se solo ne avessi 10 in meno credo lo farei, non tanto per me, ma per i miei due figli (12 anni e quasi 8). Loro se ne dovranno andare, da questo Paese che lentamente muore. Dovranno volare via…..

    • Io sono tua coetanea, e capisco che alla “nostra eta`” e con figli dell’eta` dei tuoi diventi difficile pensare di cambiare vita. Succede a me al contrario: fino a qualche anno fa pensavo al ritorno in Italia..ora che ho qui una figlia che cresce non lo farei piu`. L’importante a mio avviso e` che i nostri figli vedano che non molliamo, perche` l’esempio che vedono in noi e` la cosa piu` importante. E` il regalo che gli facciamo. Un abbraccio.

  • Ciao Claudia, mi è piaciuto molto leggere della tua esperienza. Sincera e realistica. Io invece sono ancora in alto mare, ma ho tanti sogni e progetti. In bocca al lupo per questa nuova esperienza. Un abbraccio, Lara

    • Lara, l’importante e` avere i sogni! Poi siamo in due momenti di vita diversa. Io sono molto piu` avanti negli anni di te e ho una figlia grande. Ho iniziato a lavorare fuori casa quando lei era in 5a elementare. Fino ad allora tanto volontariato a scuola, incontri con le mamme per non sentirsi un pesce fuor d’acqua e qualche lezione a casa per poter avere quei due soldini miei ( anche se mio marito non mi ha mai fatto sentire come una che non contribuiva al menage familiare…non sarei piu` qui con lui se lo avesse fatto 😉 ) vedrai che i sogni si avvereranno. Un bacio!

  • Grazie Claudia, è esattamente quello che sto vivendo io, studio, vado a scuola di tedesco, aiuto altri immigrati ma ho tanti progetti in testa. Grazie per la tua testimonianza, mi sento sollevata. Un abbraccio dalla Tedeschia

  • Complimenti! Capisco perfettamente la spirale di rabbia quando ti lasciano a casa anche se non per colpa tua. Ci sono cascata pure io sei mesi fa e ci ho messo un po’ a riprendermi. Ora ci riprovo e con l’occasione provo a deviare un po’ la rotta partendo dal volontariato, un passetto alla volta 😉

  • Cara Claudia, mi piace l’ottimismo con cui presenti la tua storia e capisco che il tuo intento sia quello di incoraggiare altre persone. Sono anche sicura che hai affrontato questo nuovo lavoro con passione, curiosità e serietà. Peró permettimi di far notare che insegnare le lingue è una professione. Mi dispiace vedere come tante persone ci si improvvisano solo perché madrelinga. Agli insegnanti di professione non sarebbe ínvece mai concesso improvvisarsi farmacisti o biologi, quindi fa un po’ male vedere una bella professione tanto sminuita. è un peccato che sia una professione in cui trovarsi al posto giusto nel momento giusto conti molto di più che l’essere preparati ed avere esperienza.
    Non voglio mettere in dubbio la tua buona fede, ma il messggio che trapela da questo post é che se proprio non si sa cosa fare dopo aver seguito il marito all’estero si può sempre provare con l’insegnamento

    • Cara Laformicascalza, posso solo dirti che se mi hanno assunta in 2 universita` vorra` dire che potevano farlo legalmente. Non ho avuto bisogno di raccomandazioni ne` ho tolto il posto ad altre persone che ne avevano piu` diritto di me: sono una lettrice laureata e madrelingua. Sto al mio posto: posso solo insegnare lingua e non letteratura o storia o altri corsi a cui, se hai letto il mio post, neanche un insegnante di lettere laureato in italia potrebbe ambire. Non credo di sminuire la professione dell’insegnante, in cui metto una passione immensa e tanto lavoro e non e` mio intento incoraggiare altre persone a fare lo stesso anche perche` chi assume ( che e` di solito il capo del dipartimento di lingue) sapra` capire se chi ha davanti e` in grado di fare il proprio lavoro bene o no. Se tu dici che e` quello il messaggio che trapela dal mio post, devo avere sbagliato qualcosa e me ne scuso con chi ha letto il mio post

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