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Partorire a Budapest di Giulia dall’Ungheria

Giulia è un’Italo-Olandese sposata con un Italo-Inglese e residente ora in Ungheria, dopo aver vissuto ad Edimburgo, Amsterdam, Utrecht, Rotterdam e Roma. Il suo terzo bambino è nato proprio a Budapest ed ecco qui la sua esperienza con la sanità ungherese in questo momento così importante e unico per ogni mamma. Potete seguirla sul sito blog No Telly Today

Avete presente tutti quei bei barattolini sterili ben sigillati che siamo costrette a riempire numerose volte durante la gravidanza per l’esame delle urine? Li avete focalizzati? Bene, adesso scordateveli! A Budapest è tutta un’altra cosa. Che vi troviate dentro una lussuosa clinica privata, o dentro un ospedale pubblico, ad attendervi in bagno troverete, sempre e comunque, una pila di bicchieri di plastica (sì proprio come quelli della pizzeria a taglio sotto casa), dovrete semplicemente urinarci dentro e consegnarlo con il contenuto traballante all’infermiere di turno e sperare che nel frattempo nessuno cominci a starnutire nelle vicinanze. 

E quell’orribile bibita al sapore d’arancia che mi hanno fatto bere in Italia per la curva glicemica quando aspettavo la mia prima bambina? Ricordo ancora con orrore la corsa al bagno dopo averlo ingerito, purtroppo finii per affrescare le pareti del bagno di arancione (spero per voi che non sappiate quello di cui sto parlando, so che molti medici non la fanno fare). Mi ero ripromessa di non ripetere mai più quella tortura di test ma guarda caso a Budapest, in uno di quei famosi bicchieri di plastica di cui vi parlavo prima, mi avevano trovato dello zucchero nelle urine e quindi dopo 4 anni mi sono sottoposta nuovamente a quel temuto esame. Fortunatamente qui la fanno semplice, mi hanno dato uno dei soliti bicchieri e hanno mischiato l’acqua insieme a miliardi di cucchiaini di zucchero e hanno controllato che me lo bevessi tutto fino all’ultima goccia. Fortunatamente tutto ok!

Poi è arrivata la richiesta di fare un’ecografia per avere la stima del peso ed ero molto contenta perché sarebbe stata un’occasione in più per vedere il mio bambino ed invece mi si è complicata la vita. Il bambino era troppo grosso e la testa troppo larga. Secondo il ginecologo non sarei riuscita a partorire naturalmente ed era assolutamente necessario un cesareo.

Mi sentivo in trappola! Non potevo più prendere l’aereo. A quel punto dopo aver pianto per un bel po’, ho pensato ai miei due parti precedenti senza episiotomia, ho guardato i miei fianchi larghi e ho scritto e mandato quelle “misure impossibili” al mio ginecologo e ad un ginecologo olandese amico di mio padre ed entrambi mi hanno detto che loro in quei casi avrebbero comunque optato per un parto naturale.

L’unica alternativa che mi era rimasta era di pregare il ginecologo ungherese per essere indotta il prima possibile, dato che ero comunque a 39 settimane, e lui ha accettato la mia richiesta.

La “bellezza” di scegliere di farsi ricoverare in un ospedale universitario è che oltre al dottore di turno avrai almeno altre 4 o 5 aspiranti medici che assistono a tutte le parti più interessanti. Una di queste parti interessanti riguardava l’inserimento di un palloncino sgonfio nel canale cervicale che poi viene gonfiato e che serve a favorire  la dilatazione senza intervenire con farmaci (suona bene detto così ma dato che si tratta di una nuova tecnica non sapevano bene come fare ed è stata una semi tortura).

Il mio palloncino ed io abbiamo dormito egregiamente quella notte ma la mattina mi ha abbandonato e io sono stata portata con grande emozione nella sala parto.

E poi ho conosciuto la mia fantastica ostetrica che era addirittura incinta. Una donna forte, competente, rassicurante e che fortunatamente parlava bene anche l’inglese. Mi ha portato nella nuova e moderna sala parto e mi ha spiegato passo passo quello che avrebbe fatto. Prima sono stata depilata, poi è stata la volta della purga, della doccia calda e infine mi hanno attaccato alla flebo contenente la temutissima ossitocina.

L’ostetrica come prima cosa mi ha spiegato il funzionamento della palla, non so se avete presente, alcune persone la usano perfino al posto delle sedie. In passato con le contrazioni cercavo di camminare il più possibile perché era l’unico modo in cui riuscivo a controllare il dolore invece sulla palla potevo dondolarmi durante le contrazioni riuscendo così a risparmiare energie.
Ogni tanto arrivava il ginecologo che invece di incoraggiarmi mi diceva “tanto non ce la farai e finiremo comunque col fare un cesareo” abbassava il flusso di ossitocina ed usciva. Tornava l’ostetrica e lo aumentava nuovamente.

Ad un certo punto chiedo l’epidurale e niente, sembrano essere contrari e non me la fanno. L’ostetrica mi dice comunque che non manca molto ma nel frattempo per il dolore comincio a perdere il controllo. La cosa positiva era il fatto che nessuno capisse l’italiano (o almeno spero!). Io continuavo a dire a mio marito di non parlarmi in Inglese perché se no avrei rischiato di commentare quello che pensavo in una lingua che avrebbero capito.

A quel punto mi fanno stendere sul letto e mi dicono la frase più odiata quando si vuole partorire, “non spingere”! Io, che ero stata così pacata durante gli altri due parti grazie alla beneamata epidurale, mi ritrovavo a rivestire i panni dell’esorcista. Inutile dire che a quel punto grazie alle mie urla avevo richiamato l’interesse degli studenti che avevano cominciato ad affollare la sala (fortunatamente non ero in grado di intendere e volere e quindi ho saputo di questa folla solo in un momento successivo). I miei insulti erano tutti per il ginecologo che in quel momento ai miei occhi era il male assoluto perché sentivo che in cuor vedeva ancora possibile la possibilità di un cesareo. Quindi ogni volta che mi toccava la pancia io lo cacciavo via a male parole nella mia lingua madre.

Insomma morale della favola Mr. Darcy era davvero un bel vitellino, 4.4 kg e 58 cm di altezza. Il ginecologo appena terminato il parto si è andato a buttare sul divano e continuava a ripetere a tutti il peso del bimbo. Tutto bene quel che finisce bene ma comunque se mi avessero fatto l’epidurale quello sarebbe stato sicuramente il parto più bello grazie alle attenzioni dell’ostetrica.

Inutile dire che è stato amore a prima vista con Mr. Darcy! Me l’hanno appoggiato sulla pancia appena nato e poi l’hanno portato a fare controlli. Poi me l’hanno riportato per farlo attaccare al seno per poi riprenderselo per tenerlo tutta la notte perché dicevano che aveva freddo. Non vi dico la voglia di piangere! L’unica cosa che volevo, anche se questa volta ero molto più dolorante, era dormire nel letto stretta a quel “piccolo” fagottino.

Invece si trovava in un nido alquanto particolare. Una stanza molto piccola con scaffali inclinati dove poggiavano i bambini tutti infagottati (ho chiesto ad altre mamme che hanno partorito a Budapest se anche i loro figli fossero stati messi sugli scaffali ma sembra che lo facciano solo in quell’ospedale specifico).

Fortunatamente ero riuscita a prenotare una stanza per me con il bagno e un’area dove poter cambiare il pannolino e fortunatamente altre mamme mi avevano consigliato di portarmi acqua e carta igienica perché non vengono forniti dall’ospedale. A colazione e a cena mi portavano il vassoio con il cibo in camera ma senza posate, quindi ho poi dovuto chiedere a mio marito di portarmele (a quanto pare in altri ospedali pubblici è il paziente che deve alzarsi a prendere il proprio vassoio per il cibo e si deve cambiare da solo le lenzuola). Le infermiere sono state gentilissime e comunicavamo a gesti. Durante la notte una di loro aveva notato la mia luce accesa ed era venuta a portarmi degli antidolorifici.

Passata la prima notte al mattino Mr. Darcy era nuovamente con me. Devo dire che a quel punto non vedevo l’ora che arrivasse l’orario delle visite per far vedere il fagottino ad Elizabeth, Viola, mio marito e alla mia mamma che era venuta appositamente a Budapest per aiutarmi con la gestione delle bimbe al momento del parto (parlo di fagottino perché tutti i bambini appena nati vengono messi in una specie di involucro morbido che si stringe sulla parte davanti per farli sentire come se fossero ancora nella pancia).  Purtroppo però non sapevo che sarei dovuta rimanere dietro ad una barriera senza far avvicinare nessuno al bambino. Inoltre il corridoio era minuscolo quindi c’era una ressa di mamme e dopo un saluto con la mano me ne andai sconsolata nella mia stanza sperando che il tempo passasse il più velocemente possibile. Ho allora deciso di evitare di vederci nuovamente in quelle condizioni perché le bimbe ci stavano troppo male.

Accanto alla stanza delle infermiere si trovava una bilancia dove ogni volta che Mr. Darcy si attaccava al seno dovevo scrivere i grammi acquisiti. Poi finalmente siamo stati dimessi ma a me non è stato fatto neanche un controllo in quei giorni, solo al bambino.

Una volta arrivata a casa, ci è venuta a visitare a casa una sorta di infermiera che viene ad assicurarsi che ci siano le condizioni adatte ad accogliere un bambino, a rispondere ai dubbi dei genitori, a capire se i genitori in questione sappiano cosa fare con un neonato e ad assicurarsi che sia stato scelto un pediatra che controlli il bambino nel suo percorso di crescita. Se fossi stata al mio primo figlio sarebbe stata sicuramente un validissimo aiuto, se avessi parlato l’Ungherese.

Insomma alla fine mi sono ripresa molto velocemente dal parto ma poi ho dovuto affrontare la burocrazia ungherese e le problematiche relative al nome. In Ungheria c’è una lista limitata di nomi a cui attingere e se sei straniero e vuoi chiamare tuo figlio in un altro modo devi chiedere un’autorizzazione alla tua ambasciata o se sei ungherese e vuoi dare un nome alternativo devi partorire all’estero (una mia amica di qui è andata in Spagna a partorire!).

Mr. Darcy è nato il 15/10/2015 alle 15:15 all’ospedale Semmelweis I di Budapest.

partorire a budapest

E voi che esperienza avete avuto nel vostro parto in espatrio?

Giulia, Ungheria.

Foto in anteprima presa da Unsplash.
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