Vivere all'estero

You’re Welcome: Elogio della Casa Imperfetta dell’Expat

È stato il mio primo pensiero quel mercoledì di settembre, dopo aver svuotato la valigia rossa e quella viola nel mio nuovo monolocale di 50 m nella periferia est della Francia. Finalmente una casa tutta mia, la prima Casa Expat in cui ospitare i miei amici.

Avevo 19 anni e sognavo una casa col letto degli ospiti sempre fatto, su cui avrei visto dormire una dopo l’altra quelle persone che avevano lasciato un segno nella mia breve vita. Quel monolocale era perfetto per me, con la sua enorme parete vetrata su un giardino sempre verde, il vino buono al supermercato e il libero accesso al barbecue in cortile. Peccato che fosse poco strategicamente locato nella periferia Est della Francia, un percorso poco battuto dai miei coetanei per mancanza di attrattive, dagli amici più grandi per mancanza di facili collegamenti con l’Italia. E che il bagno non avesse né porta né soffitto, rendendo necessaria una certa intimità per condividere la stessa casa.

I mesi sono passati e qualcuno è stato ospitato su quel letto, attorno a quella tavola, nel Monolocale Imperfetto. Abbiamo fatto campeggi coi sacchi a pelo e cene a lume di candela cominciate con me che busso alla porta dei vicini perché non ho il cavatappi per aprire il vino. Sentirmi sola accadeva spesso, i primi mesi sono stati segnati da una brutta serie di lutti. Non c’era molto da fare: non avevo ancora internet sul cellulare, gli amici lontani erano lontani, gli amici vicini ancora non li avevo. Potevo andare a correre lungo il canale e dare da mangiare alle nutrie: l’ho fatto col sorriso disperato di chi vuole stare meglio a tutti i costi e ha funzionato.

Nel giro di qualche mese mi sono fatta pure degli amici umani, che hanno animato ulteriormente la vita del Monolocale Imperfetto. Eravamo i pochi giovani universitari in quella periferia Est della Francia a non avere come solo interesse l’ubriacarci e fare sesso in giro: questo ci ha uniti più dell’appartenenza politica o dei caratteri compatibili, e ha reso lo scoprire le nostre differenze un interessante esercizio di tolleranza.

Avevo le lacrime agli occhi quando ho chiuso quella porta azzurra per l’ultima volta: sapevo che per qualche anno non avrei più avuto una casa in cui invitare gli amici di prima e gli amici di adesso.

Tu es toujours la bienvenue chez nous.

Allora ho preso la mia valigia e ho cominciato a muovermi io. Ho dormito su divani e in camere degli ospiti. Ho rivisto tutte le persone che avevo ospitato nel Monolocale Imperfetto e ne ho incontrate tante di più. Ho fatto loro posto in quegli appartamenti che non ho mai chiamato casa e nella casa dei miei genitori. Sempre sognando il giorno in cui avrei potuto aprire le porte di un posto  mio, in cui non ci sarebbe stato bisogno di dire “non disturbate”.

Da questo punto di vista, vivere a Roma e Bologna è stata una pugnalata al cuore. Ero nel Paese che aveva visto crescere me e tanti di quelli che consideravo amici. Pensavo che avrebbe facilitato le cose, e invece mi sono sentita ancora più frustrata e sola. Perché tanti amici erano vicini ma non vedevano il punto di spendere un centinaio di euro di treno per restare nello stesso Paese, a volte nemmeno di attraversare la città. Mentre gli amici più lontani combattevano con la mancanza di fondi e di tempo per intraprendere un viaggio di meno di due giorni, e io non me la sentivo di ospitarli più a lungo in uno spazio non mio.

Sentirsi soli un mercoledì sera significava prendere in mano WhatsApp e sentirsi rispondere che c’era il talent show preferito in TV, la cena con le compagne di università e l’aperitivo con quelle di pallavolo, e almeno trecento messaggi su ti-ricordi-Rebecca che era uscita con Davide-che-è-un-control-freak e-a-me-che-me-ne-frega. Non erano solo gli appartamenti che non sentivo casa a essere vuoti: ero io che non riuscivo più a entrare nella quotidianità delle persone a cui volevo bene, per quanto sgomitassi e mandassi giù il groppone scrivendo l’ennesimo messaggio.

Molti di questi avevano case perfette, semplicemente non vedevano la necessità di aprirle. Spesso alzavano gli occhi all’idea della fatica che comportava avere un ospite a dormire o a cena. Ho sentito gente con cui ho pianto lacrime nere di mascara su innumerevoli finali di film al liceo dirmi che avevano la casa che era un casino ed era meglio non vedersi. Come se il caos quotidiano potesse inibire un’amicizia.

È meglio se richiami domani.

Ora è arrivata Londra, e la prima casa che non è solo mia ma che condivido con la persona che ho scelto. Il primo ospite è stata la mia migliore amica americana, che non vedevo da sette anni. È arrivata una settimana dopo che avevamo firmato il contratto, per l’ultima tappa del suo giro d’Europa. Poi sono arrivati i nostri genitori, per una prima e veloce visita di cortesia. A fine ottobre passerà per ben due volte un’amica conosciuta in Francia, già ospite del Monolocale Imperfetto che vola da Londra per una conferenza. Finalmente sono di nuovo abbastanza lontana da non soffrire il non fare parte della quotidianità di quasi nessuno dei miei amici. In una città abbastanza di passaggio da aver investito in un letto degli ospiti confortevole, sapendo che verrà usato.

Sentirmi sola è successo inaspettatamente mercoledì scorso. Una giornata particolarmente pesante, un evento su Brexit che avrebbe offuscato l’umore di chiunque e mi sono trovata al centro di Piccadilly Circus col telefono in mano e un familiare groppone in gola. Ho mandato un messaggio a Valentina dicendo ‘mi sento un po’ così’. Lei mi ha risposto ‘vieni qui’. Ho guardato l’ora, erano le nove di sera. ‘Ma non disturbo?’ . Ha detto che i bambini non dormivano ancora.

Sono arrivata e la porta dell’appartamento era aperta. Dentro c’erano suo marito e un suo amico polacco, di passaggio quella notte prima di un volo da Heathrow la mattina all’alba. Mi sono seduta a chiacchierare con loro, mi hanno versato del vino francese. Vale è arrivata con Teresa, che doveva stampare una cosa. Io l’ho aiutata a finire le pizzette per una festa a scuola. Le bimbe dormivano già, Leo si è addormentato in braccio a lei mentre eravamo sedute sul pavimento della cucina con un bicchiere di vino. Poi ci siamo seduti tutti insieme, due italiane e due polacchi, di passaggio in questa città chi per una notte, chi per qualche mese o anno.

Ho capito finalmente cosa amavo del Monolocale Imperfetto: l’essere circondata da persone disposte a farti spazio nella loro quotidianità. Che hanno case imperfette e spesso a tempo determinato, ma l’idea di preparare il letto degli ospiti alle dieci di sera li riempie di gioia. Persone che capiscono che farsi dare una mano a preparare le pizze per la festa della scuola o a piegare la quinta lavatrice della giornata non è sconveniente, ma un bellissimo modo per entrare in connessione.

Chi si trasferisce cambia città, a volte Paese e lingua, ma soprattutto mentalità. E impara presto ad essere grato per le case con le porte aperte più che per quelle perfette e irraggiungibili.

You’re welcome.

 

Elisa, Inghilterra.

Ha collaborato con Amiche di Fuso da luglio 2017 a dicembre 2018

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Author

Elisa, Abu Dhabi

Nata con i piedi nell’Adriatico e cresciuta sotto le Due Torri, una delle mie prime ricerche su Google è stata “come ci si trasferisce negli Stati Uniti”: i risultati mi hanno convinta dell’importanza fondamentale della libertà di movimento in Europa. Ho vissuto in Francia, a Londra, in Macedonia e ora faccio base ad Abu Dhabi. Mi occupo di sostenibilità, insegno yoga, sono ambasciatrice dello slang parigino di banlieue nei quartieri bene di Londra e della cucina vegana senza glutine in giro per il mondo.

14 Comments

  • Mi hai scaldato il cuore in questa fredda mattina di fine novembre. Quanta verità nelle tue parole! Perché non importa dove ci si trovi; se ti aprono quella porta e ti fanno entrare nella loro semplice e straordinaria quotidianità, ti senti a casa.

  • Hai scritto un post meraviglioso, e che una gran percentuale di expat capirà appieno, ne sono convinta!
    Avere una stanza per gli ospiti e un divano letto è stato il primo criterio con cui abbiamo scelto questo nuovo appartamento per il ri-espatrio a Barcellona.
    Preparare un divano letto mi faceva felice anche quando vivevo in Italia, ma mai come in questi anni di vagabondaggio ho fatto mio il concetto del “mi casa es tu casa”.
    Condivido tantissimo anche il groppone alla gola quando amiche di una vita ti dicono cose come “eh, ma lo sai che da noi c’è solo un divano per dormire”, alla richiesta di un’ospitalità di emergenza per una notte.
    Avere una casa bella e curata ma tenerne le porte chiuse, che senso ha?

    Che bello che tu abbia già trovato la tua “rete di salvezza” per i momenti di solitudine 🙂

    • Sono stata fortunatissima, ho conosciuto due persone fantastiche proprio grazie ad ADF che per giunta abitano vicinissime a me (in distanze londinesi!)

      Preparare il letto degli ospiti è una gioia che ci porteremo ovunque!

  • Mai stata expat, ma forse wannabeexpat si! Comunque dipende anche dall’esempio che hai a casa…dai miei c’era sempre un posto a tavola per l’ospite dell’ultimo minuto e all’occorrenza divani letto e secondi lettini si aprivano senza difficoltá per amici e parenti in visita…la dispensa e la lista della spesa avevano sempre “qualcosa da offrire” e prima di uscire di casa si dava una rassettata generale, che se sali con un amico così non trova il disastro…io e il mio fidanzato abbiamo preso appositamente una casa con una stanza e un bagno in più, tavolo allungabile e un ulteriore divano letto…insomma casa nostra è sempre aperta, anche per gli amici degli amici…vacanzina in Val di Susa Elisa? 😀

    • Volentieri! La Val di Susa mi manca e mio fratello si è trasferito a Torino… 🙂

      Comunque credo che non serva essere expat per capire l’importanza di aprire la porta di casa propria. Nella mia esperienza però è stato l’andarmene dalla città in cui io e la maggior parte dei miei amici (e degli amici dei miei genitori) eravamo cresciuti che mi ha reso possibile ospitare e apprezzare chi lo fa. Oltretutto prima dei 18 anni non era così facile per gli amici più lontani organizzarsi per venire, quindi per me la Francia è stata davvero la prima esperienza pratica di ospitalità.

      Ammiro molto chi, come i tuoi genitori, lo ha fatto per sua indole e non per necessità: credo sia stato un grande arricchimento anche per voi figli!

  • Standing ovation!!!! Piu` le case sono imperfette, piu` non si ha paura di sporcarle, piu` sono vissute: meglio e`! La mia casa e` sempre aperta. Ti aspetto!

  • Confermo. Sono appena rientrata, sono a Roma, conosco qualcuno, ma riuscire a vederlo sembra impossibile, mentre le altre persone hanno la loro routine in cui non ti lasciano o non riescono a farti entrare.
    I nostri primi ospiti sono stati degli amici francesi che hanno passato qui il weekend e che avevano comprato i biglietti aerei ancora prima che noi traslocassimo. E’ venuto qualche collega di mio marito a cena, ma per il resto del tempo ho “solo” la compagnia dei miei bimbi.
    Mi dico sempre che è l’inizio, che è un periodo, che devo avere pazienza…però bho…mi sento parecchio sola.

    • Per me Roma è stata terribile, ti capisco in pieno e mi auguro davvero che tu ti trovi un piccolo gruppo di supporto come è successo a me a Londra. Per esperienza buttati su gruppi expat, vai all’Alliance Française visto che il francese lo parli, cerca gente che capisca il tuo stile di vita e che come te abbia voglia di costruirsi relazioni. Purtroppo non ho amici da passarti, ho lasciato quella città senza averne conosciuti 🙂 ma lo avrei fatto volentieri se avessi potuto! In bocca al lupo e scrivimi se ti senti disperata, ci sarò sempre per una pacca sulla spalla e un caffè quando passo di lì 🙂

  • Come ti capisco!
    Rientrata da quasi un anno, non sono ancora (ma forse non riuscirò mai)a ricreare quelle amicizie così famigliari che hanno tanto scaldato il mio cuore di expat.
    Mi mancano tanto

  • Lacrime commosse sulla metro di Osaka, pensando alla mia vecchia mansarda nel centro di Caen. Scricchiolante, mal isolata, con il pavimento vecchio che ti regalava una scheggia quando meno te l’aspettavi, ma con il divano letto rosso che ha ospitato amici e parenti. È stata il mio nido di dottoranda solitaria prima, e “casa nostra” poi. E con il cambio d’identità della casa, si sono moltiplicate le provenienze degli ospiti del divano rosso. La Normandia era molto più efficace della periferia di Osaka per attirare affetti, e la nostra routine prepariamo il divano letto – qui gli asciugamani – il termostato funziona così – cosa mangi a colazione? era sempre più oliata. E poi…il Giappone, stare in due case separate a 16000km di distanza. Per non parlare del fatto che per semplicità qui la mia dimora è un’anonima stanza/monolocale alla guesthouse per ricercatori e professori della mia università. Sigh.

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