#expatimbruttito Reinventarsi

Lavorare in UK, ovvero l’Incubo del Networking

Written by Elisa, Abu Dhabi

Faccio coming out: sono un’introversa. Pur non avendo problemi a parlare in pubblico e una certa facilità a fare amicizia, a fine giornata ho proprio bisogno di azzerare le relazioni umane e ricaricarmi in completa solitudine.

Se ve lo chiedete, sì, sono tra quelli che provano un certo sollievo all’idea che nella metropolitana di Londra non ci si guardi nemmeno negli occhi. Per quanto sia convinta che il negozio di vicinato sia un bene meraviglioso, tiro un sospiro di sollievo ora che la spesa online mi dispensa dai dieci minuti di conversazione con la Signora Maria (o Madame Michu) e dai relativi sudori freddi lungo la schiena.

Metteteci poi che faccio un lavoro abbastanza impegnativo. Sono in ufficio tra le nove e le undici ore al giorno. Devo costantemente mediare tra esigenze diversissime di persone che non vedono al di là del proprio naso. Un po’ per indole e un po’ per ruolo, sono spesso anche confidente di chi lavora con me, e questo significa che molte delle mie pause pranzo e caffè si tramutano in sedute da Lucy Van Pelt invece che in un momento di calma.

Spesso arrivo in ufficio un paio d’ore prima degli altri e vado via un paio d’ore dopo, ed è solo in quelle quattro ore che effettivamente lavoro.

Va da sè che quando l’orologio suona le 20 io sento davvero il bisogno di andare a casa e acciambellarmi sul divano con un CD di Bedřich Smetana e un libro che mi faccia rilassare.

E invece no.

Perché in UK non basta arrivare in ufficio alle otto, smarcare dieci to-do list e compilare almeno tre report e assessment a settimana. Non basta avere un colloquio di sviluppo ogni mese, partecipare al Secret Santa e ricordarsi la card per ogni compleanno, matrimonio o battesimo nel corso dell’anno. Non serve a nulla mostrarsi disponibili ad aiutare e perdere un’ora e mezza di lavoro per stare ad ascoltare un collega che ha problemi con una persona di un altro dipartimento con cui però tu sei riuscita a lavorare.

Quando alle 20 le luci dell’ufficio si spengono, si accendono quelle del molto più gettonato networking. Ed è qui che il gioco si fa duro. Le introverse che vorrebbero nascondersi sotto chili di coperta pelosa e calzini di spugna, devono tirare fuori le unghie i tacchi i bicchieri le loro doti di PR, indossare il sorriso di circostanza e lanciarsi nella vasca degli squali senza nemmeno un hobby nerd da portarsi dietro come consolazione.

Il networking in UK è roba seria. La maggior parte delle opportunità di cambio carriera vengono da qui. Complice un ambiente di lavoro mooolto giovane, ho colleghi che escono quasi ogni sera. Fanno cose, vedono gente. D’altronde se hai meno di trent’anni e una stanza in appartamento condiviso non è che la prospettiva di stare a casa sia così hygge, eh. Se uno immagina i giovani professionisti londinesi come novelli Carrie Bradshaw, lavorare dal loro appartamentino con cabina armadio e vista sul Big Ben, è il caso che si faccia un giro a vedere che topaie ti rifilano per millecinquecento pound al mese in zona uno e due.

Quindi okay, giovani colleghi, vi capisco. Anche io e il mio ragazzo dividiamo un appartamento grande come la cucina dei miei genitori. Ma per quanto a volte la prospettiva di uscire da quei venti metri quadri sia allettante, io soffro di Sacro Rifiuto del Networking.

Il Sacro Rifiuto del Networking è la sindrome che colpisce chi, dopo 12 ore nella stessa stanza con altre quindici persone, piuttosto che andarci al pub modererebbe i commenti della pagina Facebook di Salvini. Se all’idea di rivedere i colleghi del progetto di due mesi fa al suddetto pub, invece che pensare “how exciting!” pensate “echimelofaffa’?”, probabilmente ne soffrite anche voi.

Che poi non è che non mi faccia piacere vedere gente dopo il lavoro, anzi. È che mi fa piacere vedere pure altra gente. Tipo che ho delle amiche qui a Londra, ma chiamatelo, se volete, cross-job networking. Ricerca in altri campi. Fuga dalla realtà. Ma la verità è che soffro di Sacro Rifiuto del Networking e mi vedrei pure con Dexter pur di non avere le stesse facce attorno a me pure dopo cena.

E quindi dopo essermi alzata alle sei, aver fatto dalle due alle tre ore di commuting, aver lavorato, ascoltato, smarcato to-do list e compilato report. Si aspettano che io zompi in una tuta glitterata, trinchi un paio di pinte di alcolici scadenti e canti a memoria tutte le hit degli ultimi quindici anni. Ma io no. Io vorrei zompare in un pigiama che profuma di lavanda. Ascoltare Mozart per sentirmi più intelligente. Vorrei farmi fare un lunghissimo massaggio ai piedi e cenare senza parlare con nessuno. Vorrei che il mio ragazzo facesse Networking tutte le sere e tornasse quando sono già a letto. Così potrei guardare un’intera stagione di Cucine da Incubo senza che nessuno protesti perché vorrebbe guardare qualcos’altro.

E invece cosa faccio? Mi adatto. Ma non senza strappare qualche condizione a mio favore. Tipo che lavoro un paio d’ore più degli altri. Arrivo al pub quando sono già tutti ubriachi come delle mine. Troppo distratti per accorgersi che a) indosso ancora gli stessi vestiti che avevo a lavoro e b) sto bevendo the verde invece che sidro.

Nonostante io soffra di Sacro Rifiuto del Networking, i miei colleghi si sono affezionati a me. Sono quella che il sabato mattina gli ricorda cosa hanno fatto. E che in qualsiasi altro giorno della settimana dispensa the verde e paracetamolo. La cura per i sintomi post-sbronza. Da me sanno di poter scroccare cibo solido, che tamponi la quantità di liquidi che hanno ingerito. E quella volta al mese in cui mi convinco a bere anche io, diventa speciale per tutti.

Sono passati vari mesi, e per me il Networking è rimasto molto difficile. Non in sé e per sé, ma perché avviene in quel momento della giornata in cui vorrei solo spegnere i recettori e ricaricare le batterie.

In attesa di trovare circoli di networking tra le 7 e le 10 di mattina, continuo a versare the verde nelle bottiglie da una pinta senza che nessuno se ne accorga.

Cheers!

Elisa, Inghilterra

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Author

Elisa, Abu Dhabi

Nata con i piedi nell’Adriatico e cresciuta sotto le Due Torri, una delle mie prime ricerche su Google è stata “come ci si trasferisce negli Stati Uniti”: i risultati mi hanno convinta dell’importanza fondamentale della libertà di movimento in Europa. Ho vissuto in Francia, a Londra, in Macedonia e ora faccio base ad Abu Dhabi. Mi occupo di sostenibilità, insegno yoga, sono ambasciatrice dello slang parigino di banlieue nei quartieri bene di Londra e della cucina vegana senza glutine in giro per il mondo.

7 Comments

  • Anche in Australia il networking è importantissimo e direi quasi necessario per fare cambi o salti di carriera. Neanche a me piace sacrificare il mio tempo libero con i colleghi – ci passo già abbastanza tempo insieme – perciò ne approfitto per fare networking durante l’orario di lavoro e a eventi collegati al lavoro.

    • Quello anche io, ma qui davvero non basta…. credo sia una questione di industria visto che siamo tutti freelance e di fatto queste sono occasioni per prendere nuovi lavori in futuro!

  • Sono con te! Vivevo con ansia la cosa a Bruxelles. Nel mio caso però a me piaceva molto uscire a fare gli aperitivi (pure io vivevo poi in una topaia- letteralmente, perché avevo i topi in casa). Il problema era LA GENTE che trovavo nei locali. Ovvero, dopo 10 ore alla scrivania io volevo uscire e parlare di cose sceme, invece spesso mi trovavo incastrata da amici di amici di amici che invece di “come ti chiami?” mi chiedevano “in che DG lavori?” (ovvero direzione generale della Commissione Europea). E giù a parlare ancora e solo di lavoro. Un’amica che aveva lo stesso problema aveva preso a rispondere cose come “Faccio la controllora sul bus” o “insegno in un asilo” solo per evitare queste domande…

    • Io ho il problema contrario: dopo cinque minuti di chièandatoalettoconchi mi sale lo sbadiglio e passo per la quacchera di turno. Mi viene proprio voglia di buttarla sulla politica internazionale, ma dopo che una se ne è uscita con “Who’s Ronald Reagan anyways?” ho capito che era una battaglia persa!

  • Mi è venuta l’ansia solo a leggere questo post. Sentirmi costretta a vedere i colleghi anche dopo mille ore in ufficio, no!
    Ma mi chiedo: dici che questa pratica è importantissima per fare salti di carriera, ma in che senso? Cioè, quando dici che si esce insieme ai colleghi d’ufficio, intendi che pure i capi vengono con voi? In caso contrario non capisco in che modo l’uscita al pub con i colleghi possa facilitare un avanzamento di carriera (e qui mi vengono in mente gli aperitivi milanesi con i colleghi, che in realtà non mi hanno mai apportato granché, se non lamentarci del lavoro e far crescere il malumore 😀 )

    • Nel mio campo siamo tutti freelance, quindi il collega di oggi può raccomandarti per un lavoro domani. In più si esce in mezzo ad altra gente che lavora nel campo, quindi senti di opportunità qui e là…

      • Ah ok, se siete freelance è un altro discorso 🙂 Pensavo a una situazione più classica con i colleghi di ufficio, ma dipendenti. Allora ti capisco!

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