Ci sono cose che ti aspetti quando ti trasferisci in un altro Paese. Primo fra tutti il cultural shock, ovvero il ritrovarsi improvvisamente immersi in una cultura completamente diversa da quella in cui sei cresciuto.
Quando non hai guardato gli stessi programmi TV, non hai ascoltato le stesse boy band e non hai perso la testa sullo stesso sportivo dallo sguardo ammiccante e dagli addominali infuocati, si hanno pochi appigli per una conversazione a cuore aperto sulle memorie d’infanzia, o per capirsi a suon di citazioni che il più delle volte a uno dei due non dicono niente.
Ricordo ancora il sollievo con cui, atterrata a San Francisco nel luglio 2010, ho scoperto che nessuno, ma proprio nessuno, conosceva Waka Waka di Shakira. Essendo Shakira un’artista internazionale, pensavo che la canzone considerata l’inno dei Mondiali Sudafricani girasse anche sulle radio americane. E invece no, mi toccò subito adeguarmi a Taylor Swift, che Shakira a malapena sapevano chi fosse.
Fu così che entrò nella mia vita il Primo Corollario del Cultural Shock da Espatrio: anche ciò che sembra internazionalmente valido può diventare assolutamente provinciale una volta varcati gli italici (o europei) confini. Che, nel caso di Waka Waka, non è affatto un peccato.
Ma io sono una figlia degli anni Novanta. Ho indossato improbabili maglioni con pupazzi in rilievo, avevo un taglio di capelli improponibile e tute di colori imbarazzanti. Però sono cresciuta con gli internazionalissimi cartoni Disney, Disney come Disneyland che è a Parigi, Orlando e pure Hong Kong, con la Sleeping Beauty e Cinderella e tutti i Seven Dwarfs.
Va da sé che quando un mese fa mi hanno invitata ad un Disney Party ero felice come una Pasqua. Zero cultural shock. Zero richieste di aiuto dal pubblico come le prime volte che ho giocato a Cards Against Humanity e ho dovuto imparare almeno quindici nomi di junk food e 20 personaggi TV di cui non avevo mai sentito parlare in vita mia.
La cultura Disney è la mia cultura.
Sono cresciuta sguazzandoci dentro e ogni citazione ad essa mi fa immediatamente spuntare il sorriso. Pensare a un costume? Facilissimo. Rischio di sentirmi un pesce fuor d’acqua a metà serata? Molto basso.
È fatta, ho pensato. Finalmente una festa che unisce tutti noi bambini degli anni Novanta, madrelingua anglofoni e non, sotto un’unica, luccicante bandiera che ha la forma del castello della Bella Addormentata o delle orecchie di Topolino.
In teoria.
In pratica, non avevo fatto i conti con due particolari. Il primo, era che la festa era composta al 90% da professionisti della film industry con un livello di creatività medio a metà tra Andy Warhol e Alexander McQueen.
Quando sono entrata alla festa, la prima persona che ho visto indossava una enorme testa da Mushu di cartapesta. Quello vestito da Ade aveva incorporato delle lucine dentro alle fiamme di carta velina e fil di ferro.
Roba che il mio travestimento da Edna Mode era la cosa più banale nel raggio di due piani di scale.
Il secondo particolare era proprio il Primo Corollario del Cultural Shock da Espatrio, che questa volta mi si è rivoltato contro.
Negli anni Novanta non esistevano ancora i DVD, ma le videocassette. Che, va da sé, in Italia erano in Italiano. Italiani erano i dialoghi e i nomi dei personaggi. E della maggior parte di loro non avevo la benché minima idea di quale fosse il corrispettivo inglese.
Tutti conosciamo i classici: il gatto Romeo che è Thomas O’Malley, il mitico Pippo che per gli amici inglesi è Goofy, il Mad Hatter, Tinkerbell e il mogio asinello Eeyore amico di Winnie The Pooh. Ma al loro fianco ci sono una serie di personaggi ben più difficili da nominare se non si sono visti i film originali.
Crudelia De Mon diventa Cruella De Vil. Semola della Spada nella Roccia è Wart, il gufo Anacleto è in realtà Archimede, Maga Magò è Madame Mim. Il dolcissimo Tippete si chiama in realtà Thumper. Le fate della Bella Addormentata Flora e Fauna ti fanno quasi abbassare la guardia, ma Serenella è ovviamente Merryweather e ritorna la confusione. E vogliamo parlare di Peggy, la cagnolina a fianco di Pongo, che nell’originale si chiama Perdita?
Perdita de che?!?
Nonostante riconoscessi tutti i costumi e avessi visto tutti i film, l’averlo fatto in una lingua diversa rendeva comunque le cose meno scorrevoli di quanto mi aspettassi. Ci mettevo quell’attimo di troppo a cogliere le citazioni non perché non le capissi, ma perché dovevo ricollegarle a un immaginario di ricordi in una lingua diversa.
Finché, numerose ore e litri di birra dopo, non è arrivato il momento del karaoke Disney. Ed è stato lì, più che in ogni altro momento, che mi sono sentita come in una bolla di vetro. Il mondo attorno a me era così chiaro, eppure non riuscivo a comunicarci.
Perché delle canzoni che gli cantavano a squarciagola, io conoscevo il testo a memoria, ma in un’altra lingua.
Per quanto alcuni ritornelli li sapessi anche in inglese, la vera essenza del cantare in gruppo le canzoni che ci hanno visto crescere mi era preclusa. Perché io non ho painted with the colours of the wind, io ho pitturato con il vento e i suoi color diffondendo un po’ d’amore nel mio cuor. Non ho seen the love tonight, perché l’amore avvolgerà i sogni e la realtà. E the circle of life è per me una giostra che va, questa vita che gira insieme a noi e non si ferma mai.
E se sulla carta sembra una differenza da poco, in pratica la nostalgia del testo che senti essere quello vero aumenta ad ogni strofa.
Improvvisamente mi sono ricordata di quel giorno del 2010 in cui gli altri ragazzi italiani si guardavano spaesati quando nessun ragazzino americano si univa al coro di waka-waka eh eh.
All’epoca ero sollevata di lasciarmi alle spalle quella hit ossessiva e banale, e pur avendone constatato l’esistenza, non avevo capito appieno il significato del Primo Corollario del Cultural Shock da Espatrio. Ovvero che anche le cose più famigliari, in un altro contesto linguistico o culturale, possono sembrarti improvvisamente aliene.
Le ultime due canzoni le ho cantate a squarciagola in italiano, ripromettendomi che nei prossimi mesi le canticchierò anche in inglese, finché anche quelle non faranno parte della mia vita come la versione che ascoltavo da bambina. Anche questa è integrazione, anche questo è un passo per rendere il mio bagaglio culturale più internazionale ed accessibile a tutte le persone con origini linguistiche diverse che incontro lungo il mio cammino.
In fondo per me è mille volte più facile imparare venti canzoni che costruire una gigantesca testa da Mushu di cartapesta.
Elisa, Inghilterra
Ha collaborato con Amiche di Fuso da luglio 2017 a dicembre 2018
Credits immagini: Pinterest e cattivi-disney.wikia.com
Non ti dico le lotte tra me e i miei figli cresciuti finora con Disney in francese e spagnolo, mentre per me le canzoni sono solo ed esclusivamente in italiano!!!
Ahah penso che per me sarà difficilissimo infatti! Farò ostracismo a qualunque DVD non Italiano 😛
Perdita però è un nome orrendo
Povera Peggy!
Lo so, mi ha spezzato il cuore scoprirlo!
Petizione per dare alla povera Peggy un nome decente!
Una sera in Francia io, un italiano e una portoghese decidiamo di guardare gli Aristogatti, in inglese. Siamo rimasti shockati quando abbiamo scoperto che Romeo non si chiama Romeo e che quindi non è neanche er mejo del Colosseo!! Per non parlare del fatto che per qualche assurdo motivo i nomi dei micini in italiano sono comunque francesi ma sono stati cambiati tutti! Insomma ci siamo rimasti talmente male che per noi era come vedere un film sconosciuto 🙁
Stessa cosa il genio di Aladdin… Per carità Robin Williams sarà stato bravissimo ma per me se non è Gigi Proietti non fa ridere!
È proprio vero che per il resto dici, va beh non sono cresciuta qui e non posso conoscere tutti i personaggi dello spettacolo ecc., ma per una cosa internazionale come la Disney ti senti completamente spaesato.
P. S.: io luglio del 2010 in Nuova Zelanda… Vado a Zumba e cosa mettono? Waka waka…. Noooooooo
Esatto Maria, ero preparata a tutto ma alla Disney noooooo!
PS: Io l’avrei usata come scusa per scappare da Zumba 😛