Il limbo expat. Quel periodo in cui tieni il piede in due scarpe: il Paese in cui vivevi e il Paese in cui vivrai. In cui hai due sim telefoniche, in cui vendi i mobili della vecchia casa mentre cerchi già quella nuova, e in cui non ti senti veramente a casa da nessuna parte.
Io ho vissuto nel limbo tra Londra ed Abu Dhabi per un anno, da Agosto 2023 a Settembre 2024.
L’offerta di lavoro per Abu Dhabi mi è arrivata assieme al test di gravidanza positivo: ero disposta a dare una chance agli Emirati dal punto di vista lavorativo, ma volevo partorire in Regno Unito. Volevo un parto in casa e volevo essere vicina al mio network di supporto. Inoltre, mio marito aveva appena iniziato un nuovo lavoro a Londra.
Cosi ci siamo imbarcati in un lungo periodo di limbo: io ho passato quattro mesi ad Abu Dhabi vivendo con la mia manager, mentre lui rimaneva a Londra. Ci siamo visti ogni due settimane, abbiamo familiarizzato con la nostra nuova città, ma ci siamo anche goduti gli ultimi mesi con i nostri amici londinesi, e siamo diventati una famiglia di tre nell’appartamento che avevamo comprato immaginando di ristrutturarlo e restarci a lungo.
E invece al posto di architetti e muratori abbiamo tirato fuori i contatti di agenti immobiliari e traslocatori. Se da un lato avere un anno per prepararci ci ha permesso di digerire la notizia e salutare la nostra vecchia vita, dall’altro abbiamo vissuto perennemente in una dimensione precaria.
Culla per bebè? No che poi dobbiamo venderla. Non serve nemmeno fargli una stanza, tanto quella degli ospiti è dall’altra parte della casa e figurati se vogliamo alzarci nel cuore della notte. Non abbiamo stampato foto, non abbiamo ridipinto. Il nostro fare il nido è stato riparare il lavandino del bagno e lavare qualche tutina 0-3 mesi presa usata su Vinted.
Quando ha compiuto sette settimane sono cominciati i viaggi. Parigi, le Alpi, la Sicilia e infine una tappa negli Emirati per rinnovare il visto a tutta la famiglia. Tutte le energie erano proiettate a far conoscere il nuovo arrivo alla famiglia allargata prima di allontanarci di parecchie ore di aereo, e anche ad organizzare la partenza: in che quartiere vogliamo vivere? Quando viene a trovarci la famiglia? Torniamo a Natale o no?
Intanto alla porta della nostra vita londinese bussavano una serie di ultime possibilità. Ci vediamo prima dell’estate? Dobbiamo trovare un modo, perché a Settembre non saremo qui. Facciamo l’iscrizione al corso di piscina? Si, ma ricordiamoci di disdirla a luglio prima che ci facciano pagare anche l’ultimo trimestre. Non riesco ad andare a questo workshop di yoga che mi interessa, peccato che il prossimo sia ad Ottobre e questa volta non posso proprio fare avanti e indietro per il weekend. E a proposito di weekend: abbiamo organizzato gli ultimi con gli amici, godendoci il fatto di poter raggiungere le nostre amate montagne in poche ore di viaggio.
Per ogni acquisto, per ogni scelta, ci siamo chiesti per dodici mesi: lo facciamo a Londra o ad Abu Dhabi? Lo spediamo o lo vendiamo? Ci abboniamo o lasciamo perdere?
Questo ponderare ogni scelta è la quintessenza del limbo expat, caratterizzato da una domanda sotterranea e costante: siamo sicuri che investire le mie risorse monetarie e mentali in questo ne valga la pena?
Non siamo riusciti a vedere la Cornovaglia, non siamo riusciti a fare un weekend fuori porta a Cambridge, non siamo riusciti a vedere il Cirque du Soleil e sono tutte opportunità che non è facile rimandare a un generico anno prossimo come abbiamo sempre fatto. Ci siamo accorti che abbiamo passato più tempo a goderci l’oltremanica che l’Isola che abbiamo chiamato casa per anni, e ci siamo detti che non ripeteremo questo errore nel Golfo.
Avevamo una lista lunghissima di cose da spuntare prima di poterci trasferire: completare il progetto lavorativo di mio marito a Londra; celebrare il nostro matrimonio online con le nostre famiglie e gli amici; affittare la nostra casa a qualcuno che ci ispirasse fiducia; prendere la cittadinanza britannica con mio marito, e far prendere a nostra figlia quella italiana e quella francese.
Man mano che spuntavamo voci dalla lista vedevamo la luce in fondo al tunnel: non perché gli Emirati siano necessariamente un posto migliore, ma perché significavano smettere di vivere col piede in due scarpe, smettere di passare le serate davanti a un file excel, avere di nuovo lo spazio mentale per programmare gite, esplorare la citta attorno, o anche solo riposarci con un libro in mano sul divano.
Finisco questo post sul pavimento dell’appartamento temporaneo che lasceremo tra qualche giorno per quello che spero sarà casa nostra per un po’. Non amo gli Emirati, molti dei vantaggi che le persone elencano della vita qui non sono per me prioritari. Accolgo, però, questo ritrovato spazio mentale con gioia e sollievo.
Mi guardo attorno su questa riva del fiume: dietro di me Londra, l’Europa e la vita di una giovane donna single con la valigia in mano. Davanti a me il sole tramonta sul Golfo, e un cucciolo umano di otto mesi muove malfermo i primi passi attaccato al divano.
Siamo fuori dal limbo, e dentro a un nuovo capitolo.
Elisa, Abu Dhabi