Vivere all'estero

Il Bhutan, un libro e un’idea di felicità

Viaggio in Bhutan - Amiche di Fuso -
Written by Amiche di fuso

Prima di tornare in Africa ho fatto un viaggio. Ho scelto una meta speciale: un articolo che ho letto prima di partire lo definiva il viaggio dell’anima. Non sapevo cosa aspettarmi da questo Paese, ma sembrava bello perché non può non esserlo un luogo dove si misura la felicità. Così, con le cime innevate dell’Himalaya fuori dal finestrino, sono finita in Bhutan.

Sul volo di ritorno ho letto un libercolo, uno di quelli senza troppe pretese, un centinaio di pagine, dal titolo accattivante per un viaggiatore: Solo bagaglio a mano di G. Romagnoli. L’ho letto un po’ per ridere, proprio io che, nonostante uno spirito di adattamento piuttosto buono, in Congo mi portavo di tutto.
In questo post vi parlerò di entrambi, del Bhutan e del libercolo. Cosa c’entrano gli expat? C’entrano, poi c’arrivo.

Del Bhutan ne hanno sentito parlare più o meno tutti per un motivo: è l’unica nazione al mondo a rilevare la felicità interna lorda dei suoi abitanti. La felicità. Noi Amiche di Fuso ci chiediamo spesso in quale luogo si viva meglio: Dubai, Londra, Sydney, l’Italia… Ho chiesto a Sonam, la nostra guida, qual è il segreto del suo Paese: davvero non ci si cura del PIL ma del FIL? “Non è che il PIL non sia importante, ovviamente. Solo che il benessere dei cittadini lo è di più”, risponde, mentre sotto i baffetti radi non riesce a trattenere un sorriso d’orgoglio.

Mi spiega che la felicità interna lorda è un concetto che poggia su quattro pilastri: un modello di sviluppo economico sostenibile, il rispetto dell’ambiente, un governo illuminato e la conservazione della propria cultura. Ognuno di essi è indispensabile per la vita felice della nazione. Inoltre, ciascuna area è a sua volta frammentata in svariati indicatori di benessere tra cui, ad esempio, le ore di sonno, la salute del cittadino, l’utilizzo che fa del tempo libero, il contatto con la natura. Per dire, il Bhutan è un Paese interamente smoke-free (per caso voi ne conoscete altri?): l’aria delle montagne è troppo preziosa per sporcarla con il puzzo del tabacco.

Bandiere votive sullo Yutong-la Pass

Bandiere votive sullo Yutong-la Pass (3400m)

Ad alimentare il benessere del singolo è certo complice anche il buddismo, religione (o filosofia che dir si voglia) di stato, che porta i suoi adepti a sviluppare un atteggiamento se non più positivo verso la vita, sicuramente meno negativo nei confronti della morte: l’esistenza come passaggio, l’importanza del lasciare andare.

Quello in Bhutan è stato un viaggio diverso da ogni altro: ricco di significati e di esperienze nuove ma allo stesso tempo molto semplici, quasi naturali. Ci è sembrato di guadagnarcelo un po’ il Paradiso, mentre salivamo al Nido della Tigre, il famoso monastero scavato nella roccia, meta di pellegrinaggio di tutta la nazione. Ci siamo sempre trovati bene in quelle terre alte, avvolti dai buoni auspici di variopinte bandiere di preghiera, con l’aria frizzante che ci pungeva le guance e l’altitudine che ci mozzava un po’ il respiro.

Ci siamo sentiti a nostro agio anche quando, seduti sul freddo pavimento di pietra di uno dzong, abbiamo assistito alle vorticose danze di monaci e laici, insieme a una piccola folla di bhutanesi. Loro si erano portati stuoie, rosari ma anche riso, aranciate e patatine per smorzare la fame. Noi non ci eravamo portati nulla, ma siamo andati via con uno splendido spaccato di vita, dal quale è risultata evidente un’altra cosa: che il Bhutan non è un Paese ricco, no. Ma sempre in nome di quella tanto sospirata happiness, c’è da dire che i giovani regnanti non conducono uno stile di vita sopra le righe e che anche il più povero ha comunque un tetto sopra la testa e di che mangiare. Niente estremi insomma, il giusto mezzo.

Verso il Nido della Tigre: il monastero di Taktsang

Verso il Nido della Tigre: il monastero di Taktsang

I colori dello Jakar Tsechu

I colori dello Jakar Tsechu

Leggere Solo Bagaglio a Mano sul volo che mi riportava a Milano, è stato un po’ come proseguire, quasi senza interruzione, una riflessione cominciata appena messo piede in Bhutan. L’autore, Romagnoli, è, come me e come voi che leggete, un expat. Dopo una vita trascorsa in giro per il mondo cercando, come tutti, la felicità, giunge alla conclusione che il segreto consista nell’essere leggeri. Ossia, viaggiare – che per un expat spesso significa vivere – con il solo bagaglio a mano.

Semplice? Niente affatto: il problema è riempirlo, questo bagaglio. Il problema è capire cosa è superfluo e cosa no. Inutile portarsi dietro certezze e supponenze: la vita ti offrirà sempre un muro contro cui scontrarti ma anche un mondo di cui stupirti. Inutile stiparlo di cose – tazze, mozziconi di matita, libri – accumulare è una malattia e, in fin dei conti, se qualcosa è importante, te ne ricorderai comunque senza il bisogno di un suppellettile a rammentartelo. Porta solo cosa, ma soprattutto chi, conta veramente. Altrimenti dimentica e volta pagina.

Una bimba nomade in Bhutan... e il suo yak.

Una bimba nomade in Bhutan… e il suo yak.

Tu per primo non devi essere una zavorra. Quindi controlla di che materiale sei fatto, quanto ingombri, se hai troppe pretese, debiti, aspettative, problemi irrisolti”. Lascia a casa le tue vite di scorta, quelle che hai vissuto per un po’ e poi abbandonato per strada. Inutile cercare, che so, in Mali quello che eri a New York, a Singapore quello che eri a Busto Arsizio. Per non diventare un 40enne imbolsito che ogni volta ti racconta episodi dell’Erasmus in Spagna di 20 anni prima. Perchè è vero che il passato ha fatto parte di noi e ci ha resi ciò che siamo. Ed è vero che il futuro è lì che aspetta. Ma il presente – continua Romagnoli – dona inevitabilmente nuove gioie, nuove passioni, nuove fortune. E ogni espatrio – aggiungo io – regala in un certo senso una nuova vita, un’occasione per ricominciare, se si è pronti a farlo.

Non sono tornata dal Bhutan con delle risposte e non credo ci sia una ricetta della felicità. E nemmeno sono pronta a viaggiare leggera, ancora troppo attaccata ai miei libri, al mio frullatore, a quel vestitino giallo che metto due volte l’anno ma-lo-metto. E con la mente torno sempre con molta (troppa) nostalgia alla mia Londra.

Però sono una persona positiva e mi piace pensare che ci sia al mondo un Paese che, quella ricetta, la stia mettendo a punto, che stia dosando gli ingredienti per miscelare con successo le necessità economiche, spirituali e culturali dei suoi abitanti. E soprattutto mi piace pensare che, a noi expat dalle tante vite di scorta, venga più facile riempirlo quel bagaglio a mano, uno spostamento dopo l’altro.

Cristina, Angola

Cristina ha collaborato con Amiche di Fuso da marzo 2016 a novembre 2019

Potete leggere Cristina qui

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Amiche di fuso

Amiche di fuso è un progetto editoriale nato per dare voce alle storie di diverse donne, e non solo, alle prese con la vita all'estero. Vengono messi in luce gli aspetti pratici, reali ed emotivi che questa esperienza comporta e nei quali è facile identificarsi. I comuni denominatori sono la curiosità, l'amicizia e l'appoggio reciproco.

5 Comments

  • Post meraviglioso Cristina! E’ proprio vero che quando si espatria più che gli oggetti inutili e/o superflui, dovremmo lasciare le nostre convinzioni, i pregiudizi o i rimpianti. Alla fine sono quelli i pesi più importanti e che si fa fatica a smaltire.

  • Mi rispecchio molto in te, anche io capisco l’importanza di vivere leggeri ma mi si spezza il cuore quando guardo gli occhi di mio nonno riempirsi di lacrime all’idea che io butti i libri e i dischi di quando era expat in Russia. Non ho ancora trovato il giusto equilibrio per me…

    • Ti dirò, personalmente non sono contraria al conservare le cose – vorrei cercare di ridurne il numero, questo sì – ma credo che alcuni ‘beni materiali’ non possano e non debbano essere buttati, soprattutto quando appartengono a un passato non nostro ma a noi indissolubilmente legato.
      E i nonni sono preziosissimi per cui vogliamo vederli soltanto sorridere! 🙂

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