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Dall’Italia: MaryA

Written by Guest

Anche se ci capita di essere stanche e nostalgiche, a volte siamo stressate, ci sentiamo un po’ sole, lontano dagli affetti e dalle nostre abitudini e radici, noi tutte Amiche di Fuso siamo grate dell’esperienza che stiamo vivendo, per le opportunità che ci sono concesse e ci siamo prese andando a vivere all’estero. Per questo siamo felici di dar spazio alla voce di Marya, che probabilmente esprime un pensiero e dei sentimenti condivisi da tanti e tante connazionali che vorrebbero mollare tutto e ricominciare dall’altra parte del mondo.

Eccomi qui. E’ da diverso tempo che volevo scrivere e condividere questi miei pensieri con persone che avessero esperienza diretta del vivere all’estero, ma non avendo un blog tutto mio dove sproloquiare a piacere, prendo in prestito una pagina del vostro. Quindi, mi accomodo su questo sgabello virtuale gentilmente concessomi, sperando nella vostra benevola accoglienza.

Non sono una expat. Né, con molta probabilità, lo sarò mai, ma nell’animo mi sento una straniera… in patria. Nel senso che vivo dove sono nata (fortunata, penserà qualcuno) tra volti amici e luoghi conosciuti, e sono una rotellina che fa funzionare molto bene la macchina delle usanze e abitudini di questo mio paese. Un paese dove credo sia superfluo sottolineare quanto mi senta inutile, incompresa e inappropriata, un’aliena quasi!

Dove ogni piccolissimo sforzo per migliorare se stessi e ciò che ci circonda viene ridicolizzato, come se essere rozzi, maleducati, incavolati e incivili fossero il pretesto per dare sfogo a tutte le repressioni.
Frequento i blog-salotti di molte di voi, mamme, donne in carriera e mogli, che vivono in diverse parti del globo. Seguo con interesse le vostre quotidiane scoperte e, spesso, mi perdo nei racconti delle vostre giornate lasciando spesso commenti e pensieri sparsi qua e là. Provo, leggendovi, una sorta di (benevola) invidia/ammirazione perché avete avuto la forza di cambiare le vostre vite, le vostre abitudini, le vostre amicizie, e non deve essere stato, come da voi spesso sottolineato, una cosa facile e fatta a cuor leggero. Ne comprendo i sacrifici, le rinunce, la solitudine e ne colgo ogni sfumatura. Ma ne comprendo anche i tanti benefici, spesso velati dalla nostalgia per qualcosa che ci si è lasciati alle spalle.

A volte, in qualche commento lasciato da qualche parte, mi sono definita una “expat to be” illudendomi di poter sperare in un tempo migliore, per me e per il mio compagno. Fuori da questo Paese.

arcobaleno

Confesso che il pensiero di “scappare” c’è, è sempre presente, ogni volta che rimango schiacciata dal sistema, dalla burocrazia, dalla sanità, dalla totale assenza di senso civico. Praticamente sempre.

Leggo dei messaggi che tutte voi ricevete da chi chiede consigli su come espatriare, anche in maniera “clandestina”, credendo che nel resto del mondo funzioni come in casa propria. Io credo di sapere cosa voglia dire “espatriare” in termini legali e affettivi. I miei antenati erano “immigranti” (tanti anni fa li chiamavano così). Partiti per fame, voglia di riscatto e tante speranze, spesso allo sbaraglio, senza grandi competenze ma con tanta volontà e determinazione. Attraverso i loro racconti conosco le difficoltà e i sacrifici, ma sempre vissuti nel rispetto delle regole e delle istituzioni. È perché conosco bene le difficoltà che sono ancora qui. Solo questo direte? No, non solo…per mancanza di volontà? Forse. Di soldi? Sicuramente. Mancanza di competenze specifiche?Decisamente.
Per questi motivi e per tanti altri. Non ho titoli accademici, né tecnologie da esportare. Sia io che mio marito siamo delle persone normali, con anonimi titoli di studio, lavoratori da sempre e in più settori, volenterosi certo, ma come ce ne sono tanti. Non abbiamo più la “fresca gioventù” e non ci sono neanche capitali da investire in business interessanti. Espatriare con così pochi punti di forza è difficile da fare da giovani, figurarsi per chi ha 45 anni, che per carità non si è vecchi ma decisamente tutto diventa più rischioso sia sul piano professionale che sociale e sanitario.
Questa ultima cosa è un fattore importante e sicuramente da non trascurare, perché se le destinazioni sono europee la questione è un pochino più facile, ma se si guarda agli Stati Uniti tutto cambia perché diciamocelo pure, di sana e robusta costituzione lo eravamo 30 anni fa, adesso qualche acciacco ce lo abbiamo pure noi e le assicurazioni sanitarie sono severe. “No money, no pills”.

Spesso, parlandone (e sognando) a tavolino vediamo nella ristorazione, nell’accoglienza, nei servizi un nostro punto di forza, ed in effetti, l’unico sbocco sarebbe fare “business” (come ci hanno consigliato), ma dopo varie vicissitudini la nostra liquidità non è molto consistente e, la scarsa conoscenza dei sistemi commerciali stranieri (ma a questo si può rimediare), frena i nostri sogni. Sono spaventata dalla concorrenza, dalla non perfetta conoscenza del sistema, dalla paura di fallire e non avere risorse per ricominciare.
Trent’anni fa avrei sicuramente avuto meno freni e più sicurezza, ma adesso è tutta un’altra storia. Ebbene sì, lo ammetto: c’è anche una forte dose di paura. Di non farcela, di fallire miseramente, forse per la scarsa consapevolezza di quello che si è e che si vale veramente. Sono in quella età dove si tirano i remi in barca, con soddisfazione ci si sistema comodi e a una distanza accettabile tra quello che eravamo e quello che siamo, mentre io mi sento in alto mare ed in balia delle onde!

Negli anni passati, quando avevo un lavoro e una dignità, mi illudevo di vivere in un paese meraviglioso e bellissimo, che mi avrebbe potuto offrire e dare tanto, ma era solo un’illusione, quella dorata degli anni 90 e non ho intuito allora quello che in realtà si nascondeva dietro al sogno del “Bel Paese”.

Inoltre, per la mia anziana famiglia sono diventata indispensabile, sento la mia presenza un’obbligo, e questo senso del dovere e del sostenere che provo è un grandissimo freno a tutti i piccoli sogni. La consapevolezza che nostro malgrado, per un delicato stato di cose, non possiamo abbandonare tutto e tutti adesso, quando la presenza fisica diventa vitale.

Vivere in questo Paese non è facile, ma questo lo saprete già leggendo i giornali e guardando la tv, ma credetemi, viverci in pianta stabile è molto peggio se mancano quelle sicurezze basilari. Sono caratterialmente una persona con i piedi ben saldi per terra, sulla bilancia ci metto tutto, perché capisco che partire all’avventura non è il modo migliore per sperare di costruirsi un futuro, per giunta in luoghi e in situazioni totalmente diversi da quelli a cui si è abituati.

Proprio in virtù di quanto difficile sia mollare tutto, io provo per voi un sentimento di ammirazione sincera, per la forza e determinazione con cui avete preso in mano la vostra vita e quella delle vostre famiglie e avete girato la ruota.

Come non essere solidali con Renata (Wisconsin), Serena (Australia), Alessia (Lousiana) fra voi Amiche di Fuso. Con Lorena (Nevada) e Donatella (Florida) che seguo anche senza che abbiano un blog personale ma con storie di grande ispirazione. Storie diversissime ma tutte animate dalla stessa voglia di cambiare, di rimettersi in gioco e di crescere. E dai loro racconti mi pare ci stiano riuscendo alla grande.

A tutti manca qualcosa, che si viva oltreoceano o dietro l’angolo, e a volte bisogna saper rinunciare per poter realizzare il meglio per sé stessi e per la propria famiglia.
Mi piace pensare di essere anche io una expat, al contrario però, perché io ho nostalgia di quello che avete voi, mi mancano le cose che per voi sono diventate routine, le piccole migliorie di una vita semplice e qualitativamente migliore (avendone assaporato il gusto nei miei viaggi in terre straniere).

Per le vere expats, quelle che lo saranno per sempre e per quelle a tempo, un abbraccio fortissimo, a tutte! Grazie.

MaryA

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Se anche tu sei come noi una #adieffina per il mondo, alle prese con nuove abitudini, costumi, lingua e fusi sei la persona che fa per noi. Raccontaci la tua storia, chiacchiera con noi, allarga i nostri orizzonti. Questo spazio è tutto per te .

4 Comments

  • Cara MaryA, io credo che sia verissimo tutto quello che hai scritto ma che ci voglia coraggio e determinazione anche a vivere in Italia, a non andarsene e cercare di costruirlo qui, un futuro per i nostri figli.
    E poi, da quel che scrivi, non sei una persona “inutile” e nullafacente (ammesso che ne esistano) quindi tieniti stretta la tua dignità, sempre e comunque!!
    Mamma Avvocato, non expat (per ora).

  • Cara Marya, le tue considerazioni sull’espatrio sono considerazioni di vita. Ci vuole coraggio per fare i bagagli e coraggio per restare… La dualita’ e’ dentro di noi, credo, ovunque siamo. Una signora inglese recentemente, forse osservando la mia irrequietezza, mi ha chiesto come posso vivere senza in realta’ piantare radici ne’ in Italia ne’ in Galles. Cio’ mi ha fatto pensare e…. una risposta non l’ho ancora trovata… Ti ammiro per la tua onesta’ di pensiero e ti abbraccio

  • Grazie a tutte. Le vostre parole mi rincuorano.
    Condivido il pensiero che ci voglia (molto) coraggio anche a rimanere. Ovviamente dipende dalle situazioni, e la mia non è facile. Spesso mi sento ripetere che dovrei inseguire le mie ambizioni e la mia vita ovunque essa mi porterà ma essendo una persona responsabile e con i piedi ben saldi per terra, ne valuto sia i rischi che le opportunità. Ma comunque, a parte tutto, vivere in una sorta di limbo esistenziale, non è facile. Spero di tornare ad essere produttiva, positiva, soddisfatta e felice, anche qui in questo paese che di certo, ora come ora, non riconosco come il mio.
    Un abbraccio a voi ” commentatrici”, e a chi mi ha permesso questa riflessione da non-expact.

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