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Da San Francisco: Giulietta

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Oggi ospitiamo Giulietta, un’expat veterana oramai che ha visto e vissuto in tanti Paesi: ora la troviamo in California, a San Francisco,  e per noi parla di  un argomento molto interessante che tocca tutte le mamme expat, i figli. Lei ha tre ragazze che hanno vissuto tutta la loro vita da cittadine del mondo e con questo post fa delle riflessioni molto profonde, nel prossimo post invece daremo loro la parola direttamente a loro, quindi non perdetevelo.

Giulietta si racconta nel suo blog I Cerruti in India.

Una delle domande senza risposta, con la quale i genitori expat si confrontano per tutta la vita, è sapere se la scelta che abbiamo fatto di vivere così in giro per il mondo sia quella giusta anche per i nostri figli.

La chiamo domanda senza risposta perché è difficile trovarne una che calzi a pennello per tutti e soprattutto perché non riusciamo mai a capire fino in fondo i veri sentimenti dei nostri marmocchi.

I bambini non chiedono certo di essere sballottati da una parte all’atra dell’oceano, di spazzare sicurezze e affetti, per trovarsi di fronte alla necessità di ricostruire tutto diecimila chilometri più lontano. Questi ragazzi spontaneamente non prenderebbero armi e bagagli, salutando tutti, per balzare sulla prima occasione interessante. Seguono semplicemente le nostre scelte di adulti pensate e valutate fino all’ultima notte insonne, ma delle quali, seppure loro sono coinvolti, restano giustamente testimoni passivi.

La scelta di trasferirsi a vivere altrove e di farlo più volte è una scelta nostra di genitori. I nostri figli ci seguiranno volenti o nolenti e saranno felici se noi saremo capaci di coinvolgerli con il nostro entusiasmo. Sempre che ci sia entusiasmo. Se non c’è negli adulti tutto si complica: come si può chiedere ai bambini di sorridere di fronte ad un nuovo spostamento se noi stessi non siamo capaci di farlo?

Se partiamo dal presupposto che tutti, papà, mamma e anche i nonni e gli zii rimasti a casa, siano contenti, di coseguenza i nostri bambini avranno intorno un mondo sereno che muove i primi passi in terreno sconosciuto. Tutto sarà più semplice. Quando si vive all’estero, la famiglia è il solo e unico punto di riferimento per questi bambini e ragazzi e se è serena e felice sarà più facile affrontare le incognite del nuovo che ci sta intorno.

Le mie figlie all’estero ci sono nate quindi abbiamo saltato a pié pari senza alcun trauma la prima partenza con i saluti di rito. All’estero hanno mosso i primi passi e intrecciato le prime amicizie e dal primo giorno l’immersione in lingue diverse è stata totale. Noi genitori siamo stati da sempre i soli veri punti di riferimento quotidiani, il resto della famiglia c’era e c’è ma troppo lontano per dare sicurezza. Così quando ci siamo spostati per la prima volta dall’Europa all’Asia è stato tutto più semplice perché la lontananza era già integrata nella nostra quotidianità, oltre al fatto di vedere che, benchè lontani, riuscivamo a mantenere rapporti con tutti, amici e parenti. Noi eravamo fiduciosi e loro si sono affidate a noi e senza paura sono sbarcate in Giappone…

Certo mi rendo conto adesso che ci sono cose che io ho avuto da bambina, crescendo nello stesso quartiere, che loro non avranno. Come quegli amici che crescono con te, che conosci alla scuola materna e che ritrovi all’Università, i nonni a portata di mano sempre, i cugini con i quali fare e disfare il mondo tutti i pomeriggi. Ci sono cose però che loro hanno e hanno avuto che la bambina stanziale che ero io non avrà mai: ad esempio la capacità di tuffarsi in lingue e culture diverse, come se fosse assolutamente normale. E l’apertura verso il mondo e verso gli altri che va al di là dell’essere semplicemente socievoli: quando sei il nuovo a scuola  e il tuo vecchio mondo è lontano migliaia di chilometri, devi tirarne fuori di energie per chiedere agli altri bambini di giocare a palla con loro. Poi la capacità di creare relazioni forti in fretta perché c’è poco tempo e non lo si perde in preliminari, ma ci si tuffa nell’amicizia a capofitto dando il meglio di sé. L’abilità nel gestire la sofferenza  nella separazioni, sapendo che all’atterraggio dall’altra parte del mondo ci sarà qualcosa di eccitante ad aspettarti.

E adesso, con una figlia alle soglie dell’Università, con le sue fragilità di fine adolescenza e allo stesso tempo le sicurezze legate ai suoi 17 anni che le danno la forza di sentirsi un leone vincente contro tutto e tutti, beh mi rendo conto che a queste nostre ragazze abbiamo chiesto tanto: abbiamo chiesto di crescere lontani dalle nostre famiglie, quando ben sappiamo che le relazioni con i nonni sono fondamentali. Abbiamo chiesto loro di salutare amichetti e di farsene altri, come se tutto fosse facile. Abbiamo chiesto loro di impacchettare le loro piccole vite e spacchettarle in un altrove sconosciuto. Abbiamo chiesto loro di cambiare casa, scuola, lingua come se fosse assolutamente normale. E invece non lo è.

Devo dire che sono particolarmente fiera delle adolescenti che sono: aperte, solari, curiose, indipendenti. Avevo un po’ paura di far loro le fatidiche domande sul come si sentono, cosa provano e cosa ci rimproverano…

Dalle risposte mi dico che alla fine hanno pianto, sofferto, e ogni tanto devono anche averci odiato, ma tutto sommato non cambierebbero questa vita itinerante con un’altra perché a loro questo modus vivendi è entrato nel sangue, fa parte del loro essere.

Grazie ad amiche di fuso ho dialogato con loro  sul loro essere ragazzi expat, sballottati, sradicati, spinti a vincere paure, nuovi a scuola, a ginnastica, al parco e nel prossimo post sentirete le loro risposte.

-To be continued-

Giulietta, San Francisco.

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3 Comments

  • Bellissima testimonianza Giulietta!
    Mi ritrovo nelle tue parole e mi piace leggere delle tue ragazze, perche’ mi permette un po’ di immaginare i miei bimbi tra qualche anno.
    Anche i miei tre figli sono nati all’estero ed abbiamo saltato a piedi pari anche noi la fase di “distacco” e saluto alle famiglie, il lasciare una propria casa (non abbiamo una “nostra” casa in Italia, io e mio marito ci siamo innamorati all’estero!) e questo ci ha aiutato ad affrontare con piu’ facilita’ i vari spostamenti.
    Loro assorbono le nostre energie e se noi partiamo con il piede giusto loro ci seguiranno a ruota.
    L’ho vissuto sulla mia pelle, negli anni un po’ difficili che abbiamo avuto in Francia. Io e mio marito non stavamo bene li’ al 100% e loro ne risentivano. Ovviamente ogni esperienza di espatrio ti fa crescere, io non sono la stessa di quando ho salutato la mia famiglia nel 2004 e non affronto l’espatrio nello stesso modo.
    Il vivere all’estero ci fa essere ancora piu’ unita’, siamo il punto di riferimento per questi piccoli cittadini del mondo, non senza il supporto e l’appoggio delle nostre famiglie lontane che riescono comunque ad essere presenti nei momenti importanti.
    In bocca al lupo alle tue adolescenti per la loro vita!

  • Ciao Giulietta, che bella testimonianza. Mi chiedevo ma quale lingua usate in casa? Solo una curiosità personale, vivo anche io all’estero e devo dire purtroppo che abbiamo creato una nostra lingua che è un miscuglio 🙂 Voi come avete fatto? Ne avete scelta solo una da usare in casa?

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