Family&Kids

Diventare mamma in Asia: la mia esperienza a Taiwan

Written by Veronica Marocco

Il 6 Dicembre 2016, alle 14.25 ora di Taipei, Taiwan ROC, è arrivata la nostra piccola Beatrice, nata sotto il segno della Scimmia di Fuoco. Inizialmente, il mio parto era previsto a Tokyo, ma il nostro trasferimento è arrivato proprio nel mezzo della gravidanza, dunque ci siamo dovuti riorganizzare.

Sono arrivata a Taipei al settimo mese, ma avevo avuto la possibilità già a Luglio di visitare l’ospedale e prendere appuntamento con la mia ginecologa, in un breve viaggio insieme a mio marito, venuto per meeting nella sede del suo nuovo incarico. Inizialmente ero un po’ preoccupata: ero ormai inserita nel sistema giapponese, avevo una buona ginecologa e stavo scegliendo in quale ospedale di Tokyo avrei dovuto partorire (anche se la scelta era ridotta a due soltanto!), ma alla fine mi è andata davvero bene. Qui a Taiwan l’approccio medico è molto più “Occidentale” rispetto a quello Giapponese (chi l’avrebbe detto, eh?), tanto è vero che la tanto desiderata anestesia peridurale ad esempio non ha avuto neppure bisogno di discussioni, mentre in Giappone era stato davvero difficile trovare un ospedale che la praticasse (ma soprattutto aveva prezzi a dir poco folli, probabilmente in quanto “stranezza” da donna expat debole e paurosa).

Insomma, ho un bel ricordo del mio parto, nonostante qualche difficoltà in dirittura d’arrivo, e sono stata davvero contenta dello staff medico che mi ha assistito, nonostante qualche incomprensione linguistica con le infermiere.

Sono rimasta in ospedale tre giorni, durante i quali si è cercato invano di nutrirmi con zuppe cinesi dagli ingredienti più disperati per curare il mio corpo e favorire la montata lattea.

Per quanto riguarda la copertura sanitaria, io ho usufruito dell’assicurazione privata, ma Taiwan ha un ottimo sistema sanitario pubblico per tutti i residenti, cittadini o meno (attenzione! per i cosiddetti dependant, cioè mogli/mariti e figli della persona che è qui con il working visa, il diritto all’assistenza sanitaria pubblica scatta solo dopo sei mesi di residenza nel paese).

Tutti, colleghi di mio marito compresi, si sono stupiti che io andassi a casa dopo le dimissioni. Le donne taiwanesi sono solite infatti ricoverarsi in cliniche specializzate in cura del post partum insieme al loro bambino per almeno un mese. Qui vengono assistite, massaggiate, nutrite con le famose zuppe di cui sopra, passano il tempo nel riposo totale. Inizialmente mi sembrava una stranezza, ma oggi, a qualche mese di distanza da quelle settimane cosí intense, penso che forse tanto male non sia; proprio io, che solo pochi giorni dopo il parto ero già in giro (sbagliando!).

Sono uscita con Beatrice quando lei aveva una decina di giorni, come è normale per noi in Europa, suscitando lo stupore di chi ci vedeva con una carrozzina in giro (qui si vedono per lo più passeggini con bimbi già più grandicelli) con dentro una neonata cosí piccina, perché qui proprio non si usa. I neonati escono dopo solo un mese, e comunque durante il primo semestre (almeno) di vita vengono portati in giro in caso di visite mediche o effettiva necessità.

Quello che non mi aspettavo, dopo l’ultimo mese sonnolento e faticoso di gravidanza e il parto era… il dopo. Sapevo che sarei stata stanca, ovviamente, che il primissimo mese di vita di un neonato non è affatto semplice, e difatti non credevo certo sarei stata fresca e riposata ogni mattina, però pensavo sarebbe stato un qualcosa tipo…stanca ma felice, ecco. E invece sono state delle settimane durissime, al limite, in preda ad un down colossale persino per me, abituata a fronteggiare periodi non proprio luminosi nel passato. È stato solo più o meno quando Beatrice ha compiuto il primo mese che mi è sembrato di riemergere, boccheggiante, da quell’apnea insopportabile.

Direte, e allora? capita a tante. Certamente, ma io ero a migliaia di chilometri da casa, a quasi due decine di ore di volo. Per la prima volta l’espatrio mi è sembrato insopportabile, per la prima volta mi sono maledetta per aver scelto la vita all’estero, per non essere rientrata a partorire a casa. Durante le ore di angoscia, con una neonata che dovevo imparare a conoscere nonostante tutti i libri, gli articoli letti durante la gravidanza, non facevo che ripetermi “Se fossi a casa non starei male. Se fossi a casa la mamma, la nonna verrebbero tutti i giorni, potrei lasciare la piccola qualche ora a loro, respirare un po’…potrei prendere la carrozzina e andare a prendere un caffé con loro o con un’amica, camminare lungo il mare, invece di essere sola, in questa brutta città…”.

Io non so se lo slancio mi sia stato dato dall’affetto di chi era intorno a me, da me stessa, dai miei ormoni che a poco a poco si stavano stabilizzando, ma se oggi dovessi dare dei consigli a qualcuna nella mia stessa situazione, ad una ragazza o donna che si trova a passare la gravidanza o il parto in espatrio, ecco cosa direi. Forse non sono originale, non ho soluzioni geniali, ma questo é quello che ha aiutato me.

1- Ditelo. Dite che non va bene, non vergognatevi, non abbiate paura di passare per piagnona: una volta esternato il mio malessere, mio marito ad esempio ha subito proposto di aumentare gli aiuti in casa, di trovare una nanny che tenesse Bea per permettermi qualche ora di palestra, una spesa tranquilla o semplicemente sdraiata a leggere o sonnecchiare.

2- Organizzatevi gli aiuti anche prima, per quanto possibile. Io ho avuto la fortuna di avere qui i miei genitori un mese, e non so come avrei fatto senza. Mia mamma si è occupata della spesa e dei pasti e mi ha alleggerito tantissimo il lavoro quotidiano, permettendomi di pensare solo a Beatrice. Entrambi hanno saputo consigliarmi e confortarmi nei momenti più difficili. Se possibile, confermate la presenza di qualcuno da casa con largo anticipo. Qui in Asia i congedi di paternità non esistono o durano solo qualche giorno, e mio marito è tornato a lavoro suo malgrado quando la piccola aveva solo dieci giorni. Senza la mia famiglia qui, sarei rimasta sola fino a sera (circa le 22).

3- Parlate. Rompete le scatole a tutti quelli cui potete romperle, amiche, famiglia rimasta a casa, chiunque. Non rimanete zitte a piangere sul divano (o meglio, fatelo, ma poi parlate). Nel mio caso oltre ai miei e al marito, un grande aiuto me lo hanno dato proprio le chat su Whatsapp con le altre Amiche di Fuso, molte delle quali già mamme (alcune bis o tris!). È anche grazie a loro che ho gettato i libri alle ortiche e seguito il mio istinto, che ho creduto di potercela fare (“perché Vero, guarda che è normale“), che mi sono convinta di non essere una pessima mamma, ma solo una mamma che aveva tanta paura ma che cercava di fare il suo meglio. Che ho capito che quelle voci e quelle parole che arrivavano da tanto lontano erano in realtá più vicine che mai, e hanno salvato tanti pomeriggi. Grazie, Amiche di Fuso!

4- Appena potete, stalkerizzate. Una volta che i punti non tirano più e l’allattamento (nel mio caso, i biberon) si é un po’ stabilizzato, trovate altre mamme, altra gente, altre amiche. Cercate corsi, morning coffee, giardinetti, associazioni, posti qualsiasi dove ci siano e si riuniscano altre mamme. Attaccatevi a tutte, cercate di fare amicizia, invitate a casa o fuori, sbattetevi. Io sono una persona introversa, e non amo attaccare bottone o espormi troppo, detesto inserirmi da sola nei gruppi dove non conosco nessuno, adoro andare in giro per fatti miei e stare a casa sola a leggere, ma mi sono autoimposta che dovevo farcela, dovevo costruire una rete, dovevo parlare con qualcuno durante la giornata. La prima volta che una ragazza francese e la sua bambina sono venute a casa per un caffè, quando mi sono richiusa la porta alle spalle ho sorriso e ho pensato che in fondo, non era cosí male essere socievoli. Non sono diventata la regina della festa, sono l’orsa di sempre, ma ho abbattuto qualche muro, diciamo.

5- Assumete qualcuno. A seconda del paese dove vi trovate, aiuti in casa e baby sitter possono essere più o meno economici, dunque potrà cambiare il numero di ore che potete permettervi, ma anche solo qualche volta alla settimana vi cambiano la vita, se ne avete bisogno davvero. Piuttosto risparmiate su qualcos’altro, su qualche vestito o uscita, su quello che volete, ma credetemi, sono i soldi meglio spesi.

6- Non colpevolizzatevi, e scegliete bene il pater familias, l’uomo con cui concepirete la creatura. Qui sono un po’ ironica e… un po’ no. Sono stata fortunata, e ho ricevuto un dono grande: mio marito mi ha sempre aiutato durante la gravidanza, e dopo. È sempre stato attento, paziente, presente. Mi ha sempre incoraggiata, rincuorata e spronata ad andare avanti, e, quando non è a lavoro, si occupa della piccola con una cura e un amore che mi continuano a commuovere. Ma tanti papà, pur amando i loro piccoli, hanno bisogno di essere “spinti”: coinvolgeteli il più possibile per quel che possono fare, fossero anche solo un bagnetto o l’ultimo biberon prima della nanna.

Non sentitevi in colpa come ho fatto io se non siete di quelle mamme che si sono accarezzate la pancia con gli occhi a forma di cuore dal primo minuto della gravidanza, o che passano 24 ore su 24 con il loro piccolo, dormendoci insieme e tenendolo addosso ogni momento. Io amo la mia bimba più di me stessa, ma ho capito che devo anche farmi la doccia, mangiare, avere qualche ora per liberare il cervello solo per me. Per poi tornare da lei più forte di prima a mangiarla di baci.

Veronica, Taiwan

Loading...

Author

Veronica Marocco

Amante dei viaggi e dei libri, con la mia laurea in Lingue e il mio lavoro in hotel, quando pensavo alla possibilita' di partire dall"Italia la mia immaginazione si fermava a Londra...e invece dopo due anni in Francia, nel 2011 scendo dalla scaletta di un aereo che mi porta dritta a Hong Kong, per quasi quattro anni. Nel 2014 la seconda tappa del tour asiatico: Tokyo, immensa, calma e caotica al tempo stesso. Dopo due anni nella megalopoli giapponese, nuova destinazione è Taipei, capitale dell'isola di Taiwan, che rimarrà nei nostri cuori: qui è nata Beatrice, la nostra bambina. Nel 2019 siamo arrivati a Shanghai, per poi tornare in Europa, in Francia, nell'estate del 2020. Per l'inizio del 2022, quando ormai credevo sarei rimasta europea, e dopo essere diventati quattro, accogliendo Francesco (nato a Nizza), un nuovo biglietto aereo diceva Doha, Qatar. Un bel giro del mondo del quale proverò a raccontare.

9 Comments

  • Grazie Veronica per aver condiviso i tuoi pensieri con tutte noi, sono sicura che sara` uno spunto di riflessione e conforto per tante mamme expat italiane 🙂
    Quindi alla fine il parto e’ avvenuto ai Taipei! In effetti ho sempre avuto pensato che i taiwanesi siano molto piu’ “occidentali” dei loro vicini Giapponesi. Fra le persone con cui ho legato di piu’ qui sono proprio amiche taiwanesi, il cui loro modo di fare molto aperto e sincero si concilia decisamente meglio con noi italiani. In bocca al lupo per la tua nuova vita in Taiwan, e un saluto alla piccolina di casa ^^

    • Grazie a te! alla fine si, come amiamo dire, la pupa e’ made in Japan but born in Taiwan :-)))

  • Il tuo post mi ha fatto ripensare al mio post partum, proprio ora che sono di nuovo in dolce attesa. Hai ragione su tutti i consigli che, credimi, valgono anche per chi rimane nel suo paese di origine perché le sensazioni di fatica, straniamento e soffocamento sono le stesse, anche se per le expat penso siano amplificate e, come scrivi, acuite dalla mancanza di familiari e amici vicini.
    Vedrai che, passati i primi tempi, sarà tutto in discesa!

  • Bhe ti capisco molto..e anche mia figlia si chiama Beatrice Lei è nata il 31 gennaio ma io sono rientrata in Italia a partorire e sono rimasta il primo mese a casa dei miei genitori. Il suo 31esimo giorno di vita siamo partite e abbiamo raggiunto il papà, mi sono ritrovata sola completamente a pensare a lei, a me, a mio marito e alla casa. Ci sono giorni durissimi in cui scapperei ma in generale va sempre meglio, piano piano.
    Mio marito è fantastico e collabora per quanto sia possibile, e nelle prossime settimane l’obiettivo è quello di tornare in palestra (o almeno fare esercizi in casa) e uscire di più. Anche io non sono una di quelle mamme che si accarezzavano sognanti la pancia, amo mia figlia da morire ma non vedo l’ora sia sabato per lasciarla col papi e andare finalmente dal parrucchiere

    • Coraggio!!! Il mio mantra continua ad essere “non sarà sempre cosi'”, e penso sempre alle parole di mia mamma: “vedrai, ti giri e ti volti e starai uscendo di casa con lei mano nella mano, per andare a prendere un gelato”. E d’accordo sul parrucchiere :-)))))

  • Ciao Veronica!
    Nel leggere il tuo post ho rivissuto in parte il mio post partum a Mosca, eccezion fatta per le passeggiate (mia figlia è nata a novembre e la pediatra mi disse di passeggiare tutti i giorni oppure un giorno sì e uno no solo se la temperatura scendeva a oltre -20°!) ed egoisticamente sono contenta di sapere che non sono state difficoltà solo mie, ma un po’ comuni, forse anche per la distanza da casa. Ma dai tempi universitari ti ricordo come una donna forte e determinata, e ora lo sarai ancora di più da mamma, quindi non ho dubbi che il periodo “tosto” sia già alle spalle e che il meglio debba ancora venire.
    Ti abbraccio e ti faccio tanti auguri per la nuova arrivata.
    Claudia

    • Ciao Claudia, che piacere mi fa il tuo commento 🙂 comunque io sono piu’ per il metodo russo – passeggiate che temprano a -20, danno una rinfrescata anche al cervello della mamma… e sono contenta (anche se forse non si dovrebbe, come dici tu) che tante altre siano passate attraverso la stessa tempesta. Un abbraccio forte!

  • il post partum è il post partum, in qualunque angolo del mondo ti trovi, ovunque sei, e con chiunque sei. per alcune lo è più amplificato per altre meno. Io ero vicino a casa ma ricordo con ansia i primi mesi/primo anno e a volte certe paturnie tornano ancora dopo 5 anni. sei stata brava e la sarai sempre di più. Anna

Dicci cosa ne pensi!

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.