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Espatriare da sola: Marilena in Giappone

Espatriare in Giappone
Written by Nadja Australia

La conosco da tanti anni Marilena, siamo cresciute insieme nel paesino che tanto amiamo (e odiamo). Entrambe siamo espatriate lontano ma non ci siamo mai perse di vista. Ci sentiamo spesso anche ora che lei è in Giappone! Ogni rientro ci vediamo e ci ritroviamo come se il tempo non fosse mai passato. E ne abbiamo passate tante. Io le donne forti le ammiro. Lei come Simona viaggiano sole per lavoro e per crearsi la vita che hanno scelto. Lascio la parola alla mia cara amica. Eccola qui:

Io non sono mai stata una persona avventurosa, mai una di quelle che voleva scappare dal suo paesino e andare più lontano possibile. Piuttosto sono sempre stata guidata dalle aspirazioni, e la consapevolezza di non poterle realizzare nel mio paesino mi ha portato lontano, sempre più lontano.

Ogni volta che ho trovato una situazione che mi consentisse di fare più o meno quel che volevo non ho mai sentito l’esigenza di andare via, di vedere altro. Magari di viaggiare sì, ma sempre per tornare al mio nido.

Non sempre si ottiene quel che si vuole però. Vuoi per l’essere nata in una generazione piuttosto sventurata, vuoi per sfiga personale, di quello che volevo nel posto in cui stavo non se parlava proprio.

E sì che io ero anche disposta a dei compromessi. Mi bastava avere un lavoro decente che mi consentisse di fare davvero il chimico ed utilizzare i miei titoli di studio per cui tanto ho lavorato e sofferto, di avere una casa ed una vita dignitosa. Invece, dopo la crisi, l’unica possibilità sembrava essere l’insegnamento, tra l’altro neanche della mia materia.

Per un paio d’anni ho provato a reinventarmi e mentre insegnavo cercavo di prendere dei nuovi titoli che consentissero alla mia carriera di cambiare direzione. Ma in Italia ero sempre troppo poco qualificata in nuovi campi, o troppo qualificata (leggi troppo cara) nel mio campo.

Non che io considerassi l’insegnamento qualcosa da disdegnare, solo che lo trovavo troppo emotivamente impegnativo e il sistema scuola in Italia è mancante da troppi punti di vista. Ma soprattutto era un enorme Ripiego, con la R maiuscola, qualcosa che io non avevo MAI voluto o pensato di dover fare. Per quanto io abbia la tendenza a chinare la testa e farmi andare bene le cose pur di poter rimanere nel mio nido, non riuscivo davvero ad accettare di rinunciare alle mie aspirazioni in questo modo e rassegnarmi ad un lavoro che non volevo fare.

Avrei continuato a lottare per cercare di trovare il mio angolino nel mio settore, ma le tante porte in faccia da un lato e il logorio costante di tutti quelli che avevo intorno  (incluso in parte anche il mio allora marito) che mi chiedevano “ma perché non te ne vai all’estero?” dall’altra, mi hanno convinta a partire.

Alla prima possibilità che mi è stata data ho preso armi e bagagli e sono partita, inizialmente da sola, in Polonia.

Sia ben chiaro che io ho subito questo espatrio come una imposizione, qualcosa che non volevo ma che dovevo fare, che tutti volevano che facessi. Sono arrivata a Cracovia con l’autostima azzerata, terrorizzata e se devo dirla tutta un po’ incazzata arrabbiata.

Non avevo nessun pregiudizio nei confronti della città e del paese e non era il mio primo espatrio: ero stata già in UK due volte (6 mesi ogni volta) prima  a Sheffield nel 2003 e poi ad Aberdeen nel 2012. In entrambi i casi però c’era un biglietto di ritorno, era qualcosa di programmato all’interno di una attività più vasta a casa (università nel primo caso, lavoro nel secondo). Io sono sempre stata una che fa di necessità virtù, che se accetta di fare qualcosa cerca di farla bene e di trarne il massimo e che non ha difficoltà nel fare amicizie. Nei primi due casi mi trovavo in contesti semplici, circondata quasi esclusivamente da persone nella mia stessa situazione, quindi creare una rete amicale è stato facile come bere un bicchier d’acqua.

Il mio espatrio in Polonia è stato diverso, difficile. Mi accompagnava la consapevolezza di passare un ideologico Rubicone, e che io a casa non sarei tornata più. E’ stato un trasferimento che ha richiesto un grande sforzo sul piano fisico ed emotivo e che ha letteralmente rimesso in discussione tutta la mia vita.

Ho avuto aiuto da una cara amica per trovare casa e conoscevo qualcuno che viveva lì che mi ha dato qualche consiglio, ma prevalentemente ero da sola e da sola mi sono mossa praticamente per tutto. Ho iniziato a lavorare dopo due anni di assenza dal laboratorio ad un progetto importante ed impegnativo con ritmi da  fiato corto, cercando nel contempo di adeguarmi a procedure diverse sotto molti aspetti. Il senso di inadeguatezza era soffocante e la paura di non farcela mi teneva sveglia la notte. Da sola.

Credo che quando si espatri, soprattutto da soli, ci sia la necessità di grande estrospezione  per potersi velocemente adeguare al contesto in cui ci si viene a trovare. Allo stesso tempo io mi trovo sempre in una fase di intensa introspezione, perché divento il mio unico punto fermo. Bisogna chiaramente individuare se stessi per evitare di perdersi nel marasma di  cambiamenti a cui si è forzati dalla situazione. Di stabilire il proprio io reale e non quello indotto dalla società. Il desiderio di capire gli altri a tratti si scontra con “andate a cagare, ma chi ha bisogno di capirvi? Io sto bene con me stessa!”.

Quando dopo un paio di mesi mio marito mi ha raggiunta io ero profondamente cambiata: venivo da una quasi ininterrotta seduta di autoanalisi che durava dal mio arrivo e quello che avevo scoperto mi aveva terrorizzato e destabilizzato. Come temevo, in poco tempo, le problematiche nel nostro rapporto sono state per me innegabili e  le dinamiche che le attenuavano nel nostro quotidiano a casa non esistevano più. Tutto si è manifestato nella sua devastante interezza.

Credo che gli espatri possano essere catalizzatori di eventi ed amplifichino certamente le risposte emotive. Il cambiamento che si vive e le conseguenze indotte sono difficili da capire per gli altri. Perciò ho deciso di interrompere una relazione durata 12 anni e di proseguire da sola.

Cracovia è stata il mio rifugio e la mia prigione per due anni. È stato un posto di grande sofferenza e di un devastante senso di colpa, ma anche di rinascita. Ho piano piano ricostruito me stessa, ritrovato fiducia sul piano professionale e stabilità dal punto di vista emotivo.

Al lavoro ero molto apprezzata ed avevo delle amicizie sincere, ma alla fine mi sentivo sempre sola ed in trappola. In Polonia poi, la coppia ha una funzione ancora più centrale che da noi in Italia, la pressione per trovare un partner è piuttosto percepibile e le polacche sono bellissime dolci e amorevoli e io no, che ci posso fare?

Comunque per un po’ sono stata combattuta tra il dolore di lasciare il mio nuovo nido e il malessere che non passava. Cracovia è una città affascinante (con un clima atroce per carità!) che anche negli inverni più rigidi mantiene una malinconica bellezza. Però dal punto di vista dei trasporti la Polonia lascia molto a desiderare. Vuoi per questo, vuoi per il clima (andare a passeggio a -12 non è una buona idea…) vuoi per la barriera linguistica o per la mancanza di compagnia, non riuscivo mai ad andare da nessuna parte. Mi sentivo chiusa a chiave in una stanza. Aggiungiamoci l’inquinamento e la mia asma e il fatto che ogni volta che mi ammalavo il medico ripeteva che la mia condizione non era compatibile con Cracovia e il quadro è completo.

E’ vero che sono abitudinaria (e un po’ ossessivo compulsiva) e che tendo a farmi andare bene le cose pur di conservare la mia routine, però credo anche profondamente che se si avverte un disagio si debba fare attivamente qualcosa per cambiare, che si è artefici della propria vita. Quindi ho deciso di andarmene e ho iniziato attivamente a cercare un nuovo impiego.

Ho provato di nuovo in Italia (che vi devo dire? La bresaola mi manca!) ma lasciamo perdere. Tra le varie offerte ne ho notato una in Giappone, paese che adoro e forse unico luogo al di fuori dell’Europa in cui ho mai pensato di poter vivere. Ho riso tra me e me e pensando “tanto non mi prenderanno mai” ho fatto l’application. Beh sapete cosa? Mi hanno preso!

Dopo un lungo processo di selezione durato più di tre mesi mi hanno offerto una posizione di due anni.

Dimissioni, trasferimento Cracovia-Fujisawa et voilà: adesso sono qui. L’aria è così pulita! E anche se c’è spesso vento non mi disturba, perché porta il profumo del mare.

Non è facile neanche qui, ed è presto per fare grandi considerazioni. La lingua è un ostacolo sì, ma la barriera culturale lo è di più.

Non sono venuta con alcun preconcetto neanche questa volta, non volevo essere né troppo entusiasta né disfattista. Andrà come andrà. Per ora cerco di affrontare un problema alla volta e di non cagarmi sotto al primo terremoto. Cerco di viaggiare il più possibile e di scoprire questo paese meraviglioso. Non mi sento ancora a casa ma non mi sento più in gabbia e mi accompagna la consapevolezza che, se non andasse bene, ho una casa in cui tornare e troverò il mio posto nel mondo con una magnifica esperienza in più.

Ho imparato che ho radici forti e uno spirito più coraggioso di quanto potessi immaginare. Adesso posso avere anche delle belle ali e stare a vedere dove mi porteranno.

 

Grazie Marilena,
Nadja, Argentina

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Nadja Australia

Espatriata per lavoro ormai più di 15 anni fa, con mio marito abbiamo vissuto in Serbia, Romania, Bulgaria, Arabia Saudita,Peru, Argentina e adesso Australia! Con noi due bimbi globetrotter che ci accompagnano nella nostra pazza vita girovaga!Il nostro mantra? Home is not a place, it's a feeling! Con la Sardegna nel cuore, viviamo dove ci porta il lavoro e ci godiamo ogni piccola cosa che i paesi ospitanti ci offrono con l'entusiasmo della prima volta!

5 Comments

  • Benvenuta in Giappone Marilena!
    Il tuo racconto mi ha toccato molto, e sebbene non posso dire che il mio espatrio sia stato altrettanto doloroso, come è emerso da alcune tue righe della vita in Polonia, penso che un po’ tutte noi abbiamo provato, o proviamo tuttora, un forte stress psicologico. I cambiamenti di paese ci impongono una serie di riconsiderazione su noi stesse talmente stravolgenti, che credo sia impossibile immaginare per chiunque abbia deciso di rimanere in Italia.
    Ma dopotutto questo, se riusciamo ad uscirne vincitrici, non è forse un enorme traguardo? Soprattuto per chi, come te, lo ha fatto da sola senza il supporto (prezioso) di un compagno.
    Quindi complimenti, e soprattuto un grosso in bocca al lupo per la nuova esperienza in Giappone! 🙂

    Valentina da Yokohama

    • Grazie mille. Devo dire che nonostante tutto questa esperienza mi ha dato molta fiducia in me stessa. Tutto il resto si aggiusterà. Per la prima volta da anni esco per strada e mi viene da sorridere.

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