Scrivo dal fuso UTC-4:00, -6 ore dall’Italia, 25 parallelo nord, dal cuore vibrante dello Sunshine State degli Stati Uniti. In una parola: Miami, the magic city!
Da qualche tempo vivo a Miami grazie ad un’entusiasmante esperienza professionale al Miami Children’s Museum, dedicato ai bambini, colorato e interattivo, dove tutto si può toccare e le risate dei bimbi risuonano tutti i giorni dalle 10 alle 18 per le sale del museo.
Si tratta di una realtà stimolante e avvincente, dove mi occupo di educazione museale e sto sviluppando le mie competenze soprattutto nell’ambito di progetti storico-artistici per l’Art Studio e delle sue attività connesse nel museo.
Non sono arrivata qui per caso, ho cercato questa esperienza di vita con determinazione e forza di volontà.
La mia formazione e la passione per l’arte, l’archeologia e la storia sono state determinanti in questo percorso lungo e non semplice. Chi opera nel mondo della cultura, soprattutto in Italia, lo sa bene.
Così è stato, oltre ad un pizzico di sana foolishness, che ogni tanto serve per affrontare gli imprevisti e i passi importanti della vita.
Spesso mi viene chiesto come sia arrivata fin qui: nel modo più lineare possibile, sebbene la mia vita non sia lineare o perfetta, è semplicemente come quella di tanti, vivendo di un lavoro che appassiona prima di tutto e di perseguire i propri obiettivi. Ho maturato esperienza nel cultural heritage tra Milano e New York, lavorando anche per una fiera d’arte contemporanea e fondando un’associazione culturale dedicata all’ambito Art and Education con Chiara Deidda (innovActioncult).
Ho inviato il mio cv direttamente allo staff del museo, ho sostenuto un lungo colloquio tramite Skype in una caldissima sera d’estate dal Salento, dove mi trovavo in vacanza essendo terra di origine di mio marito, e ho seguito una lunga procedura per ottenere il visto adeguato per gli Stati Uniti.
Quando ottieni il visto la soddisfazione è davvero impagabile, anche se sai benissimo che è solo l’inizio!
Sono così partita con mio marito a seguito e un museo ad aspettarmi alla volta di Miami.
Mentre lui si occupava del trasloco, io ero al museo, a pochi giorni dal nostro arrivo nella metropoli americana.
Sì avete letto bene, con marito a seguito e non il contrario…e qui sta il primo quadro a testa in giù! Sono convinta che alla base ci sia prima di tutto una vera comunanza di intenti e una scelta condivisa: sono stata io ad ottenere la prima opportunità qui.
Mio marito è stato coraggioso abbastanza da seguirmi, ha lasciato Milano, città che amiamo molto, una casa (che al momento abbiamo deciso di tenere per i ritorni) e il suo lavoro, in cerca di quell’occasione in più, cui entrambi aspiravamo. Qualche occasione in Italia c’è stata, l’abbiamo colta nei momenti opportuni, ma qualcosa mancava. Qualcosa che ora abbiamo trovato!
Poco dopo l’arrivo negli Stati Uniti, infatti, mio marito ha ottenuto l’autorizzazione al lavoro. Oggi lavora in una delle più importanti company statunitensi nella conservazione d’arte e d’architettura, con sede a Miami e Los Angeles. Per questo motivo ha cominciato anche a viaggiare per gli Stati Uniti.
Non è stato semplice. L’attesa e l’incertezza possono essere logoranti se non gestiti con la giusta pazienza, dote che mi appartiene tra tanti difetti, oltre alla speranza e alla voglia di riuscirci, da sola, con le mie gambe, in questo caso nel senso letterale dell’espressione. Mi reco al museo quasi tutti i giorni in bicicletta.
Il tempo gradevole di Miami fa spesso la sua parte, il nostro appartamento fortunatamente è a pochi minuti dal Miami Children’s Museum, ma per arrivarci devo percorrere la prima parte della ciclabile che corre sul McArthur Causeway Bridge: una salita non indifferente, per cui dai primi giorni mi sono armata di fiato e forza e in sella alla mia nuova bicicletta scalo il ponte, al culmine del quale ogni volta mi attende una vista mozzafiato, che mi ripaga lo sforzo.
Il museo ha apprezzato fin da subito il mio lato “ecologista”, dettato anche dal fatto che per ora abbiamo scelto di non avere un’auto a Miami e di muoverci solo con mezzi pubblici o Uber, definendolo subito molto european. Da quel giorno non solo ho trovato persino una manager del museo attraversare il ponte in bicicletta, ma ho ottenuto anche un posto riservato all’interno della struttura per parcheggiare la mia bicicletta in sicurezza! E forse questo è il secondo aspetto originale di questa storia italiana in America.
Soprattutto all’inizio il sacrificio non è stato indifferente e lavorare in una lingua, inglese (americano), diversa dalla lingua madre, non è una passeggiata, ma si tratta di un’esperienza di crescita unica.
Qui ho l’opportunità di apprendere anche la gestione di un museo americano, per metà finanziato da fondi pubblici e per metà da privati, quindi con un aspetto tipicamente corporate e un’attenzione all’audience development importanti.
A marzo ho scelto di partecipare all’evento annuale di fundraising organizzato dal museo: in un solo giorno sono stati raccolti 1 milione di dollari destinati ai progetti educativi del museo. Lo staff del museo è stato formato per l’iniziativa e ognuno di noi ha dato il proprio contributo in termini organizzativi, senza particolari distinzioni gerarchiche, perché per il bene comune gli americani fanno squadra e centrano l’obiettivo.
Altri due aspetti che mi hanno colpito positivamente sono la solidarietà e l’attenzione l’uno per l’altra, probabilmente accentuati nell’ambito Arts and Culture.
Ogni mese viene organizzato un meeting in cui lo staff si confronta sulla programmazione e condivide progetti e idee.
Chi come me progetta e svolge attività creative si confronta direttamente con i responsabili del dipartimento e propone laboratori specifici, testando i progetti con il team prima di proporre al pubblico. Lo staff è giovane e a maggioranza femminile, anche ai vertici, con senior di lunga esperienza a fare da guida: gli uomini sono ben integrati nel team.
E qui sta un’altra differenza rispetto al classico modello italiano, in ogni caso un modello americano a me non estraneo dal momento che sono cresciuta in una famiglia in cui a fare impresa è stata anche la donna, seppure in un ambito completamente diverso.
La cultura americana che sto conoscendo giorno per giorno meriterebbe un capitolo a sé. Il multiculturalismo, l’atteggiamento friendly al contempo serio del popolo americano, la meritocrazia, la separazione dei ruoli, lo scarso familismo/nepotismo e l’integrazione della donna nel tessuto formativo e lavorativo sono imparagonabili, tanto da non percepire spesso differenze.
Non è tutto perfetto, le maggiori possibilità economiche richiedono un impegno elevato, ma spesso il progresso compensa alcune mancanze.
Al primo sbarco negli USA, ricordo di aver respirato una libertà nuova, basata su regole condivise dalle persone nel quotidiano. Se ripercorro la mia strada verso gli Stati Uniti, cominciata tempo fa, sento la polvere delle miglia consumate sotto i miei piedi e percepisco la vastità del cielo sopra di me, insieme all’incommensurabile fonte di opportunità che offre questa terra.
L’America è una terra dura, ti ritrovi a darle tantissimo di te stessa, ma offre altrettanto e, se la rispetti, ti accoglie.
L’aspetto più difficile è la grande e prolungata distanza dagli affetti familiari e dagli amici, anche se la famiglia ha imparato ad attraversare l’oceano, gli amici organizzano le vacanze e io mi sono ormai allenata per affrontare voli intercontinentali anche da sola. In fondo sto semplicemente facendo il mio dovere ed è giusto così. Ho preso l’abitudine di salutare la mia terra e i miei cari con un messaggio: “Ci vediamo in una bella giornata di sole”, oltre ogni sacrificio, oltre tutto.
Amo l’Italia, è completamente dentro di me, gli americani impazziscono per l’Italia e molti giovani hanno già visitato gran parte delle nostre città, ma oggi la mia casa è anche l’America, almeno sino a fine anno.
Serve coraggio…”soprattutto ci vogliono buoni compagni di viaggio” canta Ligabue in Luci d’America.
E io non sono sola, ho accanto a me un grande compagno di viaggio.
Giulia, Miami
Interessantissimo quello che ho letto. Uno spaccato di vita americana di una italiana che ha fatto un grande salto per seguire i suoi interessi. Auguri sempre a te e tuo marito. Hai scritto: serve coraggio. E’ molto vero. Vai, anzi andate!
Grazie di cuore per le sue parole e per l’augurio!
Bellissimo post Giulia!
Dalle tue parole traspare tanto entusiasmo, intraprendenza e libertà. Mi è piaciuta moltissimo l’ immagine di te che affronti la salita in bicicletta per andare al museo. Mi ci sono rivista quando, a Friburgo, andavo al lavoro all’alba in bicicletta ascoltando Ligabue con le cuffiette.
Tante belle cose:)
Che bello! Grazie per la condivisione di questa tua esperienza vicina alla mia, piccole grandi affinità! Un abbraccio
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