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Stessa città, diversa esperienza, parte I : Federica a Houston

Intervista aFederica
Written by Amiche di fuso

Un po’ di tempo e un po’ di traslochi fa, mi sono resa conto di come i posti possano certamente essere più o meno facili da vivere, ma che quello che fa veramente la differenza nell’esperienza di ogni expat non sia una città di per sè, ma la fase della vita in cui ci si trova. Tanto è vero che nessuno nel mondo si è mai lamentato del posto dove ha fatto l’Erasmus, fosse Londra, Liegi, Heildeberg o Lodz.

In una sera di desperate parenting nel primaverile gennaio houstoniano, ci siamo ritrovate intorno a una bottiglia di ottimo Malbec, io, la Fede e la Marta. Intorno a noi rotolavano ridendo le nostre creature in mille costumi, mentre dalle nostre chiacchere sono nate queste due interviste, per dimostrare come questa stessa Houston, da cui io non vedo l’ora di andarmene, per altre persone sia una città vissuta positivamente.

Federica Pisaneschi e’ radiochimico e ricercatrice scientifica presso l’ MD Anderson Cancer Center , nominato nel 2015 il miglior centro di cura per il cancro negli Stati Uniti. 735 milioni di dollari di investimento nella ricerca contro il cancro solo nell’anno fiscale 2014. 735 milioni di dollari, più di 640 milioni di euro, in un solo anno.

Fede, cosa  facevi prima di venire a Houston?

Lavoravo  all’Imperial College a Londra come radiochimico. Il contratto era in scadenza e, anche se si parlava di rinnovarlo per altri cinque anni, non ero particolarmente contenta del lavoro perchè non c’era possibilità di crescere. Non ero nemmeno più contenta dell’ambiente perchè anche se può sembrare un po’ spocchioso, ero arrivata al punto in cui non c’era piu’ nulla da imparare. Quando John (il marito italoamericano) ha ricevuto un’offerta di lavoro per spostarsi qui, avevamo entrambi bisogno di un cambiamento professionale.

Quanto ci hai messo a trovare lavoro qui?

M’han trovato loro.

Che figata, racconta! (ecco, non e’ una buona idea cercare di darsi una parvenza di intervistatrice seria con il Malbec in corpo)

Sono stata fortunata. Però avevamo la possibilità, grazie al  suo lavoro, di scegliere tra Vancouver, Chicago e Houston, e abbiamo scelto Houston, nonostante fosse meno attraente come città, perchè era quella dove per quello che faccio io ci sarebbero state le migliori possibilità. Appena arrivata, incinta di Fabio (Federica e’ anche mamma di Bianca, nata 4 anni fa a Londra), si fece una cena col capo di John che mi disse di fargli avere il mio cv nel momento in cui mi fossi sentita di tornare a lavorare. Quando il bimbo fece sette mesi, glielo spedii e lui lo sparse tra i suoi contatti: dopo pochissimo tempo mi ha chiamato quello che è il mio attuale capo. La prima interview si trasformò subito in un’offerta, feci il secondo colloquio con tutti i capi e iniziai.

E a Londra come eri arrivata? Hai studiato lì?

No, mi sono laureata e ho fatto il dottorato a Firenze. E poi sono rimasta lì, con la promessa di diventare ricercatrice. A un certo punto capii che tanto non c’era trippa per gatti e dissi ‘Ragazzi io me ne vado’. Iniziai a cercare lavoro altrove, nonostante il mio professore mi dicesse ‘Ma no, ma aspetta, vedrai che l’anno prossimo..’

( in sottofondo grandi risate collettive). 

Rinunciai al rinnovo della borsa annuale e mi ritrovai abbastanza con l’acqua alla gola…. ma mandando a tappeto domande in tutta l’Inghilterra saltò fuori questo posto a Londra.

Come mai cercavi solo in Inghilterra?

Per l’inglese, che conoscevo. Poi certamente l’Inghilterra e la Germania erano i posti dove andare per il mio campo. Ero stata anche in Germania ma non m’ero trovata benissimo. La Francia è praticamente quasi come l’Italia perciò non valeva la pena fare un cambiamento per una situazione  simile. Così sono andata a Londra per un anno e ne sono rimasta otto.

Eri accompagnata o sola ai tempi?

Sola.

Senti, ti manca Londra ogni tanto?

Sì..ma non quanto m’è mancata Firenze quando ero a Londra. Penso di aver fatto quel salto, ormai. Quando sono partita da Firenze avevo lo zaino dell’Invicta, il trolley e ho chiuso la porta come se uscissi per il fine settimana. Ho spento la luce, lasciato in giro l’albero di Natale. E mi sono ritrovata a Londra senza volere starci. Anche se contemporaneamente era un momento di transizione e avevo bisogno di star sola. Mi ci sono voluti anni per abbandonare l’idea di tornare a Firenze.

Ma perchè eri legata  agli amici, avevi la famiglia vicino?

Soprattutto è che mi sentivo a casa lì. Come per te Varsavia che, aldilà delle persone, ti senti che è casa tua.

E senti, Houston, come ti trovi?

Io ci sto bene. Perchè..

(risate) ..non piove?

Non piove: d’estate è caldo! Senti, per il tipo di vita che si fa noi, è comoda. Noi eravamo veramente molto stanchi: Londra è meravigliosa, ma dopo tanti anni inizia a pesarti come tutto sia lontano, ci vuole sempre almeno un’ora per andare da qualsiasi parte, c’è sempre brutto tempo, non c’è mai l’estate. Dopo otto anni  senti davvero la mancanza del caldo sulla pelle.  Ti contrai tutto, sei sempre infreddolito e sull’umore si sente. Di Londra mi manca il senso di infinita possibilità che ti da camminare per le strade, quando ad ogni angolo c’è qualcosa di bello da scoprire. Ma la vita che vivevo era comunque solitaria: non sono mai riuscita ad avere una comunità di persone con cui puoi improvvisare un caffè a metà pomeriggio senza settimane di organizzazione in anticipo. Questa cosa l’ho ritrovata qua,  anche per questo ci sto bene.

Tu lavori in un ambiente prevalentemente di americani, come ti trovi con loro?

I miei colleghi sono ganzi, però è anche vero che parlare di americani è  una generalizzazione e che i miei colleghi sono anche poco rappresentativi della media americana. Sono tutte persone che hanno studiato molto, hanno lavorato girando tanti posti, per cui io al lavoro mi trovo in un ambiente che non offre uno spaccato della tipica realtà americana. Grazie ai miei colleghi  sicuramente mi sono fatta un’idea più ampia di quello che è questo paese, ho sentito tante opinioni anche su temi caldi e ho capito altri punti di vista. Lavorativamente parlando è un ambiente eccezionale.

Hai visto il discorso sullo stato dell’Unione l’altro giorno? Io ti ho pensato subito! (Obama ha menzionato esplicitamente lo stato della ricerca sul cancro nel suo discorso annuale alla nazione “Last year, Vice President Biden said that with a new moonshot, America can cure cancer.  Last month, he worked with this Congress to give scientists at the National Institutes of Health the strongest resources they’ve had in over a decade.  Tonight, I’m announcing a new national effort to get it done.  And because he’s gone to the mat for all of us, on so many issues over the past forty years, I’m putting Joe in charge of Mission Control.  For the loved ones we’ve all lost, for the family we can still save, let’s make America the country that cures cancer once and for all.”)

Mi ha fatto piacere, sì! Per la ricerca è davvero un buon momento, il moonshot tra l’altro è nostro,  è stato messo appunto nel nostro centro di ricerca, e mi fa piacere che ci sia questa enfasi. E questo è un altro lato positivo di qui,  mentre ne ho sofferto la mancanza in Inghilterra e in Italia, che là l’atmosfera e lo stato d’animo fossero sempre un po’ piatti. Qua è tutto al contrario, tutto è esagerato, awesome, ma è piu’ bello così.

Tre cose che ti garbano degli americani, anzi, dei texani?

Tre?? Dei texani?? E chi li conosce? (risate)

Oh almeno su questo siamo tutte d’accordo (risate). E l’open carry? (dal 1 gennaio 2016 e’ possibile mostrare in pubblico che si portano addosso le armi, mentre prima si potevano liberamente portare ma non visibili)

Eh, un post a parte per l’open carry. No, sinceramente texani veri non ne ho incontrati: dove lavoro io sono quasi tutti americani, ma non di qui.

Il texano non lo schiodi fuori dal suv, non si mescola. (risate)

Senti, io dico sempre che i posti dipende veramente molto in che fase della vita ci capiti. Io sono estremamente critica con Houston perchè ci sono arrivata quando non avevo più voglia di muovermi, ero finalmente felice dov’ero, per me è stato come aver scalato l’intera montagna, star lì a godermi il panorama e qualcuno arriva e mi dice: Giù, si ricomincia da capo!

Lo capisco perfettamente, quello è il discorso che facevo prima: ci sono voluti anni per mettermi il cuore in pace che a Firenze non sarei tornata, è stato un processo lunghissimo: dopo quattro anni finalmente ho accettato dentro di me che non sarei tornata a casa, punto. Se non chissà quando, ma non a breve tempo. Da quel momento in poi ho guardato tutto quel che è venuto dopo con occhi diversi.

Tre cose che ti piacciono della tua vita quotidiana qui?

Le piscine tutto l’anno, piacevole. Poter andare in bici dappertutto. Forse il tex mex...

Il cajun ?

Il cajun… Davvero, il  bel tempo, il fatto che finalmente posso vivere tanto tanto della mia giornata fuori,  all’aria aperta e non perdere tanto tempo nel commuting ogni giorno per poi stare al chiuso.

Senti, secondo te tutta questa retorica del sogno americana è esagerata o vera? E’ davvero la Land of Freedom and Opportunity?

Penso che ci sia del vero. In parte è atteggiamento, loro hanno genuinamente questo atteggiamento entusiasta nei confronti delle cose che li porta al successo

La self fulfilling prophecy..

Gli americani hanno questo atteggiamento positivo che noi non abbiamo, o che ci hanno rasato al suolo quando ci hanno mandato a scuola tutte quelle ore, seduti nel banco ore e ore, e zitti che il professore ha sempre ragione… questo metodo non esiste nelle scuole di qui, fin da piccoli  gli insegnanti ti spronano sempre a migliorare e contemporaneamente valorizzano quello che fai. Poi continua così nell’ambiente di lavoro. Il brainstorming, lo scambio di idee libero qua è costante e naturale, persino alla macchinetta del caffè,  nessuno ha paura di dire cavolate o di essere giudicato un cretino. Mi sembra che queste persone  siano cresciute tutte con più facilità a lanciarsi nel volo pindarico, rispetto ad altre incontrate in passato. Poi, questo sistema sanitario che ha tutta una serie di difetti di cui potremmo stare a parlare per ore, comporta però anche il fatto di avere davvero tantissimi quattrini da investire, per cui si possono sperimentare tutte le idee. Questo è un vantaggio enorme perchè nessuna delle grandi scoperte è venuta fuori provando la prima idea.

Senti, ma ti vedi qui per sempre ?( Federica ha la green card, il marito e’ cittadino americano per parte di madre e il secondo bambino e’ nato a Houston)

Penso che in futuro ci sposteremo ancora, probabilmente sempre negli Usa, vista la realtà della ricerca (il marito di Federica e’ un ricercatore in matematica), se mi viene voglia di spalare neve magari Wisconsin o New England.. Professionalmente non vedo futuro in Italia e siccome ormai ho superato l’homesickness  mi sta bene andare in Italia in vacanza. Perciò penso che lavorativamente parlando continueremo come abbiamo fatto finora: chi ha l’offerta migliore traina. Per la mia carriera, qui ho un’opportunità unica e varrebbe la pena solo trasferirsi  al Memorial Sloan Kettering di NYC. Dal punto di vista familiare, mi piacerebbe rimanere a Houston almeno finchè i bimbi sono piccoli e possono godere delle cose buone (parchi, bel tempo, piscina, scuole con un sacco di attività) e che da grandi tornassero a fare l’università in Europa, magari proprio in Inghilterra.

Gran finale: se incontrassi te stessa fresca di laurea  pensi che ti diresti ‘ Federica vai via, di corsa all’estero!’ O pensi che sia una scelta che bisogna sentirsi, elaborare e digerire coi propri tempi, raggiungendo un certo livello di disperazione o convinzione?

Guarda, sicuramente andar fuori e fare più esperienze solide prima possibile è importante… Se non avessi fatto tutta l’esperienza di Londra non avrei trovato questo lavoro così velocemente. Qua a Houston ero finalmente la persona giusta al momento giusto nel posto giusto, ma se uno vuole andare all’estero non per far l’Erasmus ma per un periodo lungo, va incontro ad un periodo che non sarà tutto rose e fiori, questo lo si deve tenere a mente e sentirsi psicologicamente preparati ad affrontare momenti non semplici, anche se compensati dal valore dell’esperienza.

Grazie Fede  per questa bella chiaccherata, siamo arrivati in fondo alle domande, ai bicchieri e alla pazienza dei nostri bambini!

Se volete seguire Federica, questo e’ il suo blog (in Italiano): The Storm and the Rainbow

Valentina, Houston

Ha collaborato con Amiche di Fuso da luglio 2014 a giugno 2018

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Amiche di fuso

Amiche di fuso è un progetto editoriale nato per dare voce alle storie di diverse donne, e non solo, alle prese con la vita all'estero. Vengono messi in luce gli aspetti pratici, reali ed emotivi che questa esperienza comporta e nei quali è facile identificarsi. I comuni denominatori sono la curiosità, l'amicizia e l'appoggio reciproco.

8 Comments

  • Ciao, che bella intervista, grazie! Sentire i racconti di chi ha più esperienza è sempre utile. Concordo sul fatto che ogni luogo può essere quello giusto in base alla fase della propria vita in cui ci si trova. Certo il futuro fa sempre un po’ paura, ma “think positive” 😉

  • Ecco lupus in fabula. Grazie Vale per questo post (e per la cena a suo tempo). Non posso che sottolineare ancora quello di cui tante volte abbiamo parlato e cioe’ nessun posto e’ bello o brutto, ma adatto o no al momento storico. Un abbraccio a tutte le italiane di ogni dove

  • Grazie ragazze per averci mostrato punti di vista diversi.
    Io sto vivendo all’ estero per la prima volta con un figlio di quasi 4 anni per motivi di lavoro di mio marito.
    Ero partita carica e con tantissima voglia di lasciare le brutture italiane, invece una volta in Germania , mi sono ritrovata triste con un gran dispiacere di aver lasciato la mia patria.
    Il nuovo paese non ci accoglie come credevo , i giorni sono tutti freddi e grigi, e noi siamo anche sempre malati, per giunta.
    Poco alla volta ho conosciuto delle persone meravigliose che ci stanno aiutando e ci stiamo aiutando a vicenda, e questo per me è la luce del sole che manca nel cielo .
    Ecco perché mi sento di aggiungere che, oltre il periodo storico vissuto, molto importanti sono le persone che incontriamo nel percorso.
    Vi leggo con piacere , grazie per queste letture che mi svagano e spronano a non mollare.
    In bocca al lupo ragazze e complimenti Federica per il tuo Lavoro così importante .

  • La tua frase sull’Erasmus mi ha fatta sorridere.
    Quando l’ho fatto io, in una piccola cittadina francese, sono stata forse l’unica contenta: ero au pair in una famiglia fantastica, che frequento ancora, e mi ero creata una mia dimensione. Gli altri hanno fatto molta fatica ad ambientarsi, molti sono tornati a casa prima, alcuni hanno avuto scontri pesanti con gli immigrati del luogo. Gli studenti francesi erano un muro chiuso, gli erasmus hanno fatto gruppo tra di loro e, a parte qualcuno che ha avuto storie affettive ma di breve durata, sono stata l’unica ad avere un vero contatto con i locali.
    Quant’è vero che le esperienze sono soggettive: quell’orrenda cittadina mi manca ancora!
    Slivia

  • Davvero una bella intervista (mi sembra chiaro che il Malbec ha degli effetti decisamente positivi).
    Mi piace moltissimo il concetto di moonshot, che si collega all’atteggiamento molto ben descritto tipico degli americani, di fare brainstorming in continuo. Deve essere una bella soddisfazione poter fare ricerca in un ambiente così vivace e volto al futuro.
    Mi piacerebbe che il nostro presidente facesse un discorso alla nazione come quello di Obama, ma credo che resterà soltanto un sogno…

      • Stefano… non ci dovrebbe essere bisogno di iscriversi, ma se quello che cerchi sono gli aggiornamenti in tempo reale, ho una meravigliosa pagina facebook, Pitu Dicelasua, dove metto il link ai nuovi post.

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