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Reverse Cultural Shock

Written by Guest

Dal 2009 al 2019 la mia vita ha avuto un’evoluzione tale che ogni volta che mi fermo a guardarla nel dettaglio quasi mi gira la testa, mi ci perdo dentro e alla fine non riesco mai ad analizzarne veramente il contenuto.

In questi ultimi 10 anni ho vissuto in cittá con oltre 10 milioni di abitanti come Hanoi, Saigon, e Bangkok, per poi passare ad isole esotiche come Phuket, e Mallorca, per poi tornare nel mio nido d’origine a Monastir, un paesino di meno di 5,000 abitanti situato nel basso campidano in Sardegna.

Quante cose sono successe in questi anni?

Quante persone ho conosciuto?

Quante volte mi sono interrogato su quello che mi succedeva dinnanzi agli occhi, e magari senza capirlo?

Quante volte mi sono chiesto cosa stessi facendo, dove stessi veramente andando, qualche fosse il fine di tutto ciò?

Innumerevoli volte!

Ed é forse anche per questo motivo che è facile perdersi nei ricordi che in qualche modo si confondono, e piano piano sbiadiscono.

Vivere all’estero non è sempre facile. Le complicazioni che possono verificarsi sono enormi.

Si passa da banali gestualità quotidiane talvolta distorte, a complessità comunicative dovute a diversità linguistiche, fino ad enormi conflitti interiori o morali dovuti spesso alle vaste differenze culturali che, se non capiti e affrontati nel modo adeguato possono facilmente trasformarsi in frustrazione, e portare all’isolamento.

Ripensando ai miei momenti di transizione tra un Paese e l’atro ricordo tanti episodi, alcuni alquanto bruschi altri più leggeri e divertenti.

Ad ogni modo la costante che li accompagna è sempre la stessa. La voglia di scoperta, la voglia di aprirsi al mondo, la voglia di mettersi in gioco, la voglia di sfidarsi e la consapevolezza che ciascuna esperienza porterà un enorme contributo alla propria crescita personale, e spirituale.

Tra i vari cambi forse per me il più traumatico, è stato il passaggio da Phuket a Palma de Mallorca nell’inverno 2017.

Nonostante avessi già vissuto in Spagna tra il 2000 ed il 2001, nonostante parlassi fluentemente in Castillano e nonostante abbia sempre avuto a che fare con Spagnoli all’estero, l’impatto è stato fortissimo.

Dopo 8 anni di Sud-Est Asiatico, dove il conflitto verbale e la perdita del proprio controllo emozionale sono considerate cose imbarazzanti e ai limiti della maleducazione, dove lasciar parlare ed ascoltare (magari anche senza necessariamente capire) fanno parte di una solida base culturale, e dopo aver sposato una donna Thailandese, che sicuramente ha contribuito al mio arricchimento culturale, anche io sono cambiato profondamente, soprattutto nel mio modo di comunicare.

I primi mesi in Spagna sono stati durissimi.

La comunicazione così diretta, verace, conflittiva, mi rendeva insicuro, spaesato, vulnerabile soprattutto all’interno di contesti lavorativi.

Quando ero in Asia capitava spesso che un nuovo manager magari recentemente arrivato e senza un adeguata preparazione culturale si lasciasse trasportare dalla verve europea magari indirizzando commenti duri o facendo osservazioni molto dirette su impiegati o perfino infuriandosi ad un ristorante, o sbraitando contro un tassista.

Certo sono situazioni estreme, cose che imbarazzerebbero chiunque, eppure i primi mesi in Spagna per me sono stati proprio cosí, dove io mi sentivo un Asiatico costantemente sovrastato dal costante parlare, “Europeo”.

Mi sentivo imbarazzato, e trovavo la circostanza imbarazzante.

Ora che sono nuovamente in Italia, anzi in Sardegna, mi rendo conto che effettivamente le cose non sono poi così diverse. Forse l’avevo semplicemente dimenticato.

È come se le persone parlassero, ma senza ascoltarsi.

Tutti pronti a dispensare consigli su tutto e su tutti, a voler in qualche modo imporre i propri punti di vista, ma senza veramente fermarsi, o quanto meno rallentare, per capire cosa ci si stia veramente dicendo.

Ecco, è come se le persone avessero perso quella naturale capacità di fare domande. Come se si fosse persa la curiosità. La curiosità di conoscere le persone che abbiamo di fronte.

È solo il mio punto di vista, o c’è del vero in quello che dico?

 

Riccardo

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