Espatrio

La valigia

Siamo tornati da un paio di giorni e non l’ho ancora aperta, la valigia di fine Agosto.
Sta lì in un angolo dello studio accanto agli accessori sparpagliati del passeggino, silenziosa, e mentre la osservo tiro un sospiro e mi accarezzo il braccio dolorante.

Ognuno di noi ha un insieme di cose che non vorrebbe mai tirare fuori, o riporre dalla/ nella propria cantina, e non avrei mai pensato che in qualche momento della mia vita potesse essere una valigia. Fino a pochi mesi fa “portare sù” la valigia e riporla nello studiolo era un vero preludio di festa e sia io che Alvaro calcolavamo bene quando fosse il momento giusto per farlo, mentre Leo era all’asilo, per non farlo entrare troppo presto nello spirito delle vacanze e sorbirci una settimana di domande assillanti e pianti isterici mattutini, alla delusione di dover aspettare ancora qualche ora in più alla partenza.

Un po’ di settimane fa, quando l’abbiamo liberata dalla polvere dei lockdown ed aperta in casa aveva ancora tra le cuciture la sabbia dell’estate 2020. Non ho mai dovuto spolverare la mia valigia: appena avesse iniziato ad ammuffirsi ecco che tornava attiva per una nuova destinazione, fosse stata anche a pochi chilometri da casa, e prepararla era sí sempre un lavoro, ma anche un piacere nel pregustarsi la partenza, l’inizio di una nuova avventura in famiglia.

Questa volta però prepararla è stata un’impresa, sarà che in quei giorni mi sentivo gravata da una stanchezza micidiale. Ma micidiale forte, quasi avessi corso una maratona fuori allenamento. E il problema è che al ritorno questo peso non mi ha abbandonata del tutto, quasi il mio corpo fosse rimasto ancora in apnea. Insomma, tutto quello che ho desiderato è poter chiudere gli occhi, schioccare le dita, riaprirli e trovarla fatta.

E lo stesso mi sta accadendo al ritorno; sarà stato sicuramente il meteo che ne so, tornare a Monaco con 14 gradi dopo un mese di giornate unte di crema 50 e serate al profumo di Autan. Ma sento che le batterie scariche sono la legittima eredità di un anno che mi ha visto affrontare oltre alla pandemia anche l’arrivo di una nuova vita e con lei di tante novità.

Piano piano prenderai il ritmo” mi dice mia madre “ci sono giorni in cui ti sembra di non farcela, poi poco a poco ci fai l’abitudine, come in un allenamento, e non ci pensi più’”
Mi rido un po’ addosso e cerco di spronarmi: sono una bi mamma che annaspa, forse è meglio che mi decida e che la apra questa valigia, ne è arrivato il momento.

La rovescio per terra e apro la cerniera. Si apre come un enorme libro e mi mostra le sue fodere verde scintillante; è zeppa di vestiti, scarpe, accessori, sabbia, costumi, tutto il nostro attesissimo ritorno in Italia sparpagliato tra stoffe, colori, consistenze ed odori.
Tra le t-shirts ho infilato qualche cambio di mezza stagione, tanto il clima è pazzo in questa città che nel giro di mezza giornata vieni catapultato da agosto a fine ottobre e l’abbronzatura ti scende sotto i talloni.

Ne avrò da fare per giorni, tra smistare e riporre tutto negli scaffali o in lavatrice. Mi ripeto di continuo “fai con calma”, “non correre” … “lascia che il viaggio si concluda anche un po’ qui, senza per forza premere sull’acceleratore”.

Che cos’è per te, preparare una valigia? Quando l’hai fatto l’ultima volta e come stavi nel prepararla, che cosa hai provato? E quanto ci hai messo, a capire cosa metterci dentro e a organizzare gli spazi, chiuderla, pesarla, riaprirla, ottimizzarla? Quand’è l’ultima volta che l’hai fatta correre per i corridoi e scivolare per i tapis roulant, saltare nei carrelli e nelle stive degli aerei? Quand’è stata l’ultima volta che io e lei ci siamo fatte trasportare da un aereo o un treno verso nuove destinazioni senza un minimo di peso in corpo?
Non lo so piu’, quando è stato, sembrano secoli fa. Eppure erano solo due anni fa.

Due anni in cui tutto è cambiato , anche nel fare le valigie, meno spesso e forse anche con uno spirito diverso. Si perché penso che prepararle sia un po’ come affrontare la prima parte di un viaggio. E meno spesso lo fai e più paradossalmente, entri in crisi: cosa mi serve cosa non mi serve, cosa prendo cosa lascio, cosa è realmente necessario, cosa no. In un certo senso, per ognuno di noi è una piccola prova: da quante cose sono realmente dipendente in questo momento della mia vita? Quanto posso rendere leggero, o pesante, il mio quotidiano al di fuori di una routine consolidata? Possiamo ancora permetterci di lasciare uno spazio vuoto, nella nostra valigia, a ciò che ci aspetterà, a ciò che di nuovo ci verrà incontro?

Ho due amici che hanno sempre viaggiato con quattro magliette e due paia di mutande. Quando andavo a casa da loro non c’era un quadro appeso, sembrava dovessero scappare da Monaco da un momento all’altro; alle escursioni comuni venivano sempre con uno zainetto striminzito e io li guardavo attoniti mentre caricavo il mio, di zaino, che sembrava avesse invece incollato il motto del “non si sa mai”. Mi portavo dietro di tutto, magari formato travel size, caso mai succedesse qualcosa. Ci mettevamo a ridere a crepapelle in treno e io, come sempre, mi prendevo per il culo. Spesso li ho pensati, durante questi due anni in cui anche loro hanno smesso di fare le valigie; avranno forse riempito le loro case con qualcosa in più? Riempiranno i loro zaini con la stessa agilità di prima?

Io, d’altro canto, non sono che peggiorata. Il “non si sa mai” è qualcosa che mi è rimasto incollato da un’educazione ansiosa e con cui lotto ancora, nel preparare una valigia.
Da quei miei amici ho cercato di imparare qualcosa ma, cavolo, liberarsi di alcuni retaggi comportamentali non è cosa facile, ci vuole un motivo forte. Soprattutto quando ad accompagnarti sono due fabbricatori seriali di macchie (i miei bambini) e vedi la lavatrice o il paio di mutande in eccesso come i messia salvatori della tua giornata.

Lo spazio per i souvenir è diventato inversamente proporzionale a quello dei cambi infantili e il tempo che dedico nel riempire o svuotare è definitivamente cambiato, come tutto il nostro stile di viaggiare e di spostarci. Prenderò mai il ritmo come dice mia madre? Farò poco a poco i muscoli, riuscirò a trasformare questo compito in qualcosa ancora, in un certo senso, di leggero, nonostante tanto sia cambiato, nonostante molto non sia più rimasto come prima?

Alessandra – Monaco di Baviera

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Author

Alessandra Monaco di Baviera

Italiana di nascita, cittadina europea, Alessandra vive dal 2012 nella bella citta’ di Monaco di Baviera in Germania. Qui lavora da otto anni come architetto e trascorre le sue giornate dividendosi tra ufficio e cantieri. Circa tre anni fa dice si ad un nuovo progetto, quello della sua famiglia, e diventa mamma di un piccolo terremoto che colora le sue giornate di miriadi di pasticci e risate argentine. Nel 2019, rispondendo a una personale necessita’ di mettere le proprie esperienze di emigrata nero su bianco, comincia a pubblicare i propri articoli sul web, inaugurando una nuova, lunga fase di racconti sulla propria quotidianita’. Per conoscerla ancora piu’ da vicino la trovate su theitalianpot.com.

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