#expatimbruttito

Indovina chi viene a… pranzo

Written by Amiche di fuso

Ero in piedi da poco, appena passata da camicia da notte estiva a jeans e maglietta via doccia, nonostante mi stessi apprestando a cucinare il pranzo.

I bei tempi di quando non hai figli e non hai orari, per cui se ci si alza tardi, si  salta direttamente alla pasta senza passare dalla colazione.

Ho passato qualche istante a guardare la descrizione sull’incarto, in quella lingua a me nuova e complicatissima. Cercavo solo un numero, quello della cottura. Non c’era. Al diavolo, spaghetti will be spaghetti, assaggerò ogni due minuti e capirò quando sarà cotta, sperando non sia di grano troppo tenero.
La cucina era grande e spaziosa, ma così diversa da quella di mia mamma.

La cucina di casa dei miei era moderna, di legno laminato bianco con rifiniture grigio antracite, piena di attrezzi dai colori vivaci e dal design impeccabile in bella mostra. Questa era tutta di legno intermedio, né scuro né chiaro, anonima, non c’era un oggetto che andasse in pendant con il colore di un altro, non c’era nessun segno che per la padrona di casa una minima estetica potesse avere significato. Tranne le tendine che erano inamidatissime, bianchissime, tutte di trina traforata come quelle di mi’ nonna, pensai.

Iniziai ad aprire tutti gli sportelli per trovare quel che mi serviva. C’era uno strano mix di piatti belli di porcellana decorati con fiorellini, e di quei piatti trasparenti marroni che si trovavano sempre nelle case d’affitto per le vacanze. Bicchieri di boemia e bicchieri tutti scompagnati di provenienza nutellare. Tovaglie inamidate alla perfezione. Bianche pure quelle. Insomma se un interesse estetico c’era,  si rivelava probabilmente in un Pranzo della  Domenica in stile Bisavoli di Prussia, l’apparecchiatura quotidiana era decisamente Goodbye Lenin.

Recuperai la pentola grande per bollire l’acqua e soprattutto un coltellone per affettare la krakowska, un salume dall’odore affumicato che era quanto di piu’ simile alla consistenza della pancetta avessi potuto reperire in Slesia. Adesso sembra di ricordare il medioevo, eppure dieci anni fa trovare in Polonia i dadini di pancetta all’uopo per la carbonara era una impresa così come lo era comprare l’olio di oliva,che sì, c’era, ma costava il quadruplo rispetto all’Italia. Essendo io praticante squattrinata e lui borsista di studio, quella piccola bottiglietta di Goya extravergine era stato un piccolo lusso, ma se avevo elaborato la variazione krakowska al posto della pancetta, per cucinare mi serviva l’olio per forza.

Apparecchiai così la tavola di cucina, coi piatti di Arcopal e i fogli di scottex come tovagliolini, che di carta colorati non ce n’erano e di usare quelli di lino asburgico inamidato non me la sentivo, misi a soffriggere la cipolla e decisi di fare l’amatriciana perché l’abbinamento uovo – krakowska l’avrei digerito due anni dopo.

Mentre buttavo la pasta sentii la porta aprirsi e la sua voce di rientro annunciare: Amore, my parents are here.

E fu così che, avvolti nell’odore di cipolla e pomodoro, nella loro cucina di casa, incontrarono per la prima volta questa fidanzata italiana, materializzatasi nella vita del figlio tre mesi prima. Loro erano appena rientrati dalle vacanze, gli era stato annunciato il giorno prima che tornando a casa avrebbero trovato lì di passaggio il maggiore e la sottoscritta. Mi sorrisero timidi, io porsi avanti la mano e ripetei il mio nome, dicendo in polacco la frasetta imparata a memoria e ripetuta dal mattino: Barzomimiuo. (molto piacere)

Il momento di imbarazzo fu magistralmente interrotto dall’emergenza pratica: Pasta will be ready in a minute.

Lui prese le valigie, io scolai gli spaghetti quasi non scotti e cercai di assorbire la prima impressione. Erano più giovani dei miei ma mi sembravano più vecchi. Non parlavano che poche parole di inglese ( scoprii dopo che l’inglese lo capiscono e un po’ lo parlano, ma fanno i muti in presenza dei figli poliglotti) e il mio polacco era zero. Insomma fino ad allora mi era andata in scioltezza: i suoi amici, suo fratello, sua sorella, erano tutti giovani o più giovani e potendomi esprimere con tutti loro in inglese davo il mio meglio senza sforzo.

Il padre tornò per primo in cucina, osservò la tavola apparecchiata e aggiunse delle tazzine di vetro, poi mi chiese se volevo il tè. No, grazie, bevo acqua quando mangio.

Oddio ho detto di no.

Magari loro bevono il tè con la pasta.

Si, chiaramente stanno facendo il tè per berlo con la pasta.

Fin lì mi ero mantenuta zen, ma avevo clamorosamente ciccato alla prima occasione!

Arrivò il momento, si sedettero tutti a tavola, io cominciai a riempire i piatti.

Silenzio.

Questi mangiavano in silenzio.

Lui provò a lanciare un po’ di conversazione: allora,  com’era in vacanza.

Risposte a monosillabi.

E poi il padre disse al figlio: Finisco io tutto quello che c’è nella pentola, tanto a te la può cucinare quando vuoi.

Lui tradusse, io sorrisi e lui mi fece l’occhiolino.

Sono passati dieci anni, mio suocero mi chiede ancora se voglio il tè mentre ci apprestiamo a pranzare o cenare e tuttora fatico a mantere gli occhi nelle orbite mentre lo guardo spalmare l’insalata russa sul panettone durante i Pranzi Festivi Prussiani.

Ogni volta che mi sveglio a casa loro, mentre il suocero prepara la colazione tipica della Slesia, io visualizzo un macchiato e tre biscottini e non posso fare a meno di pensare al buon Pasquale Ametrano di Carloverdoniana memoria

D’altro canto, hanno imparato a far casino tintinnando i bicchieri tra loro anziché alzarli e basta quando si brinda, si sforzano di far conversazione perché sanno che a noi piace mangiare col sonoro e soprattutto è caduto il divieto di vino durante la cena di Vigilia: quando li ho conosciuti io, mio suocero aspettava il ritorno di noi giovini dalla Messa di Mezzanotte per aver la scusa di stappare la Pigwowka (vodka di mele cotogne) fatta in casa, e finalmente colmare la mancanza di alcool accumulata nelle ventiquattro ore precedenti.

E voi,  avete modificato qualche abitudine dei vostri suoceri?

Valentina, Houston

Ha collaborato con Amiche di Fuso da luglio 2014 a giugno 2018

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Amiche di fuso

Amiche di fuso è un progetto editoriale nato per dare voce alle storie di diverse donne, e non solo, alle prese con la vita all'estero. Vengono messi in luce gli aspetti pratici, reali ed emotivi che questa esperienza comporta e nei quali è facile identificarsi. I comuni denominatori sono la curiosità, l'amicizia e l'appoggio reciproco.

2 Comments

  • Divertente il tuo post sul primo incontro a tavola con la tua nuova famiglia e i pranzi festivi prussiani… Paese che vai usanze che trovi, alcune piu’ buffe di altre! Ci sarebbe molto da raccontare, troppo…!

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