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Come sono sopravvissuta al rientro in Italia (fin’ora)

Written by Monica Italia

Sono ormai due anni (compiuti proprio in questi giorni) che siamo tornati, ed è forse tempo di un primo bilancio su come sono sopravvissuta al rientro in Italia (finora).

Va detto che il nostro rientro non era pianificato e, se devo dirvela proprio tutta, nemmeno troppo desiderato. Ci saremmo visti all’estero almeno fino alla fine del ciclo scolastico dei primi due dei nostri tre figli.

Ma la vita spesso non segue il nostro immaginario ed i nostri piani.
Specie negli ultimi tre anni, so bene come le carte della vita si siano davvero rimescolate più volte per molti, certo non solo per noi.

E così, dopo due anni estenuanti in DAD, un’altalenante lockdown ed una serie di considerazioni che vi risparmio, abbiamo deciso di rientrare in Italia.

Appresa la notizia del nostro rientro, i commenti di amici, conoscenti e persino sconosciuti sono stati tanti, e per molti versi gratuiti.
Siamo passati dal classico “Io non tornerei mai in Italia!” all’altrettanto inflazionato “Beata te che torni in Italia!”. Questo giusto per darvi una sintesi dei commenti ai due antipodi, nel mezzo una varietà di considerazioni fantasiose.

Non abbiamo mai aperto il dibattito sulle nostre scelte. La notizia, specie dopo tanti anni passati all’estero, ha però immediatamente suscitato un po’ di radio moquette.

Ora che sono tornata in Italia la domanda che ricevo più spesso è…”Ma com’è rientrare in Italia?”.

Mi piacerebbe avere una risposta chiara, univoca e che sviasse molti dubbi. La verità è che una risposta semplice ed universale a questo quesito non c’è.
Ogni luogo per quanto familiare può essere giusto o sbagliato a seconda di chi sei in quel momento della tua vita, da dove arrivi, qual’è la tua storia personale e professionale, con chi sei e che cosa cerchi.
Le variabili sono tantissime ed in diversa combinazione fra loro formano inevitabilmente scenari diversi e personalissimi.

In India eravamo arrivati ad un punto di non ritorno. Il Covid ci aveva stremati con tutto quello che aveva comportato essere stati lì in questi tormentati anni.
L’età dei ragazzi più grandi richiedeva per noi particolare attenzione. La DAD è stata socialmente e didatticamente un buco nero da cui voler venir fuori senza ulteriori indugi.

I primi mesi del rientro, tralasciando il rocambolesco prelievo direttamente dall’aereo stile moglie del boss da parte della polizia, il soggiorno nell’orrido Covid Hotel e le quarantene varie, è stato caratterizzato da alti e bassi.
Molti alti e bassi.
Siamo passati dalla consueta esaltazione da rientro fatta di persone, luoghi e cibo ritrovati a circoli viziosi logistici e burocratici. Circoli conditi da una buona dose di inaspettata solitudine e spaesamento.

I “soliti noti” erano tutti presenti. Vivere solo con una valigia di vestiti sbagliati per mesi, non conoscere nessuno, trovare una casa, essere ammessi a scuola, trovare un mezzo di trasporto.

La burocrazia del passaggio da AIRE a Residenti in Italia è stato per noi lunga e faticosa.
Il fatto di essere rientrati in un momento storico (2021) in cui non avere un medico di base per certificati vari era una rottura di scatole senza precedenti. I circoli viziosi e vischiosi che si creavano tra utenze e residenza non si sono sbrogliati per mesi.
E per citare solo una banale odissea che mi è rimasta comunque impressa, non abbiamo avuto i nostri cassonetti dell’immondizia (qui funziona così) per almeno 3 settimane e non sapere cosa fare della propria spazzatura era un interrogativo che mi ponevo quotidianamente.

Confesso che la sensazione spesso è stata quella di esserci infilati in un varco spazio temporale che ci aveva fatti tornare indietro nel tempo ad un certo punto nella storia, in un luogo in apparenza familiare, ma che nei fatti era molto diverso da come ce lo ricordavamo.

In quei primi mesi di spaesamento abbiamo ripescato dal cilindro tutta l’esperienza fatta negli anni precedenti in contesti esteri .
Un giorno infatti realizzai all’improvviso che anche se mi trovavo nel mio Paese natio i meccanismi da utilizzare per riadattarmi erano nei fatti gli stessi che avevo utilizzato all’estero.

Rimuovere quel freno a mano mentale che avevo inconsapevolmente inserito, del “pretendere” di essere tornata a casa e chiedermi costantemente perché allora trovassi tutto così dannatamente complicato, mi ha poi fatto procedere più velocemente e senza zavorre inutili verso la meta.

Spirito d’avventura e apprendimento erano anche questa volta due compagni di viaggio preziosi su cui tutti avevamo contato per i passati sedici anni.

Questo semplice, ma potente click mentale mi ha fatto non solo cambiare il mio dialogo interno, ma di conseguenza anche il mio atteggiamento con le persone intorno a me, che partivano tutte dal presupposto che essere Italiana significava che certe cose le avrei dovute sapere.

Sta di fatto che oggi dopo tanta acqua sotto i ponti stiamo bene!

L’adattamento progressivo dei ragazzi, la logistica pratica e quella emotiva che si sono succedute con andamenti da montagna russa mi portano a dire che ad oggi il bilancio è comunque positivo.

I ragazzi si sono ambientati e nonostante siano uccelli migratori che hanno amato viaggiare di cielo in cielo per sedici anni, ora si gustano la dimensione del noto e del prevedibile.

Si sono inseriti in vite di altri ragazzi che si conoscevano da sempre e alternando tantissima a pochissima pazienza hanno trovato la loro dimensione sociale.

Io ho ripreso la mia vita professionale a pieno ritmo, arricchita da tutto il percorso umano che ho fatto in questi anni!
Ho avuto oggettivamente meno tempo da dedicare al lavoro durante questi anni all’estero, spostarsi di media ogni due anni non ti fa consolidare molto professionalmente.
Ma ho sfruttato questo tempo dal lato professionale per continuare ad intessere e coltivare relazioni, lavorare su progetti di qualità e studiare, ecco sì ho studiato tantissimo.
Ho preso certificazioni, due piccoli master, avuto conversazioni piene di significato con persone, professionisti e culture incredibili che mi hanno arricchito nel profondo anche in modi non immediatamente evidenti e magari subito spendibili.

Il mio bagaglio si è riempito inesorabilmente di esperienza, nuovi approcci, nuove idee, valori, competenze, conoscenze e oggi posso dire di poter attingere a questo prezioso tesoro a piene mani.

E poi aggiungo che questi brutti anni di pandemia qualcosa di buono lo hanno portato: la consapevolezza nelle persone che la propria salute mentale vale quanto la propria salute fisica.
Di conseguenza non solo la formazione di cui mi sono sempre occupata, ma anche il coaching democratico (non solo per l’élite) ora è diventato diffusissimo anche nelle Aziende.
Ho quindi avuto il privilegio di lavorare da sempre in un settore ora più che mai in forte espansione.


Un ultimo aspetto cruciale che va aggiunto in questo mio primo bilancio, è il luogo dove si torna. Noi siamo rientrati in un città piccolina. Una cittadina sicura che ci ha accolti e coccolati e che ha davvero una dimensione ottimale per chi siamo noi adesso.
So che se fossi tornata in una grande metropoli vi racconterei completamente un’altra storia.

La storia di mio marito sarebbe ancora più intensa e meriterebbe un articolo a sè, e magari con il suo permesso, me la tengo per il bilancio dei tre anni!

Ma ora mi piacerebbe ascoltare altri bilanci da rientro, i vostri…perché ogni storia è un affascinante libro a sé che magari non contiene soluzioni né consigli, ma che sicuramente arricchisce i nostri orizzonti.

Monica, Italia

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Author

Monica Italia

In giro per il mondo da 15 anni.
Mamma di 3 ragazzi, veri cittadini del mondo
Abbiamo vissuto in UK, USA e INDIA.
Mi occupo di consulenza HR, formazione manageriale e insegno in programmi MBA.
Sono un Executive Coach and Mentor certificato con ICF (Federazione Internazionale Coaching) e ho un master in Neuroscience.
Credo nel life long Learning…perchè la vita ci plasma con ció che viviamo e ciò che studiamo

11 Comments

  • Per me sono appena passati sei mesi, e la frase “(…) le persone intorno a me, che partivano tutte dal presupposto che essere Italiana significava che certe cose le avrei dovute sapere.” mi ha risuonato tantissimo e fatto ribollire di rabbia.

    L’Italia l’avevo lasciata subito dopo la laure magistrale, non ci avevo mai lavorato, mai pagato le tasse e anche quel poco di burocrazia che sapevo fare, 10 anni fa era diversa! Per non parlare dei servizi dipendenti dalle regioni, e in Liguria non ci avevo mai vissuto.

    Comunque sì, la rabbia è stata uno dei sentimenti dominanti del mio trasloco. Per i suddetti motivi ma anche:
    – per tutte le persone che mi dicevano “I heard you’re going home?/tu rentres chez toi!” . Maddechè ragazzi, maddechè. In Italia ho vissuto a Trieste e basta, non guardatemi come un’aliena, Genova mi è straniera.
    – “Almeno sarai più vicina alla famiglia”. La mia famiglia la raggiungevo più rapidamente da Londra, grazie. L’avete mai vista l’Italia sulla mappa? Come dice Monica, questo “rientro” va affrontato come un nuovo trasloco in terra ignota per non arenarsi, ma avere la presentazione da italiana scatena commenti che mi fanno notare quanto poco si muove tanta parte della popolazione. Poi, sono di presentazione italiana sui documenti, ma continuano a chiedermi a caso da dove vengo, o parlarmi in inglese. Non inquadro bene il perché. Saranno i capelli mezzi rosa, sarà che non ho più la cosa italiana di vestirmi come tutti gli altri e fare le facce di convenienza, sarà che fin che non conosco nessuno non mi fa né caldo né freddo andare al bar da sola e chiacchierare con i baristi (cosa che per gli uomini sembra normale), sarà che mi rifiuto di comprare una macchina e mi ostino ad andare in bici ovunque (no genovesi, non è più vero che Genova non è adatta alla bici, ci sono più infrastrutture di quanto i cittadini si rendono conto. Non pubblicizzate sul sito del Comune né da nessun’altra parte, devi trovare gente che pedala e praticamente estorcere informazioni. Però specie con la pedalata assistita vai ovunque), o che sotto i 20 gradi vado in giro in scarpe da trail e oltre i 20 gradi metto i sandali, anche se mi hanno detto che “fa foresto”. Flash news, i “foresti” in vacanza vi tengono a galla come città.
    – Sul lavoro valutano ancora tantissimo il presenzialismo, alcuni colleghi parlano come se fosse figo lamentarsi che si è lavorato tantissimo (continuando a lavorare più ore dell’orologio). In Giappone mi giocavo il fatto di essere straniera per andarmene dall’ufficio quando mi pareva. Qua sembro una bambina viziata, e nel mio gruppo l’unica che alle 7 di sera ha sport e attività e quindi se ne va presto.
    – Credo come conseguenza di sopra, sento un sacco di frustrazione nell’aria.

    ‘Nsomma, bello il mare, buona la focaccia, bello vedere il sole anche d’inverno… però ora che sto uscendo dal primissimo periodo, mi rendo conto che questo trasloco emotivamente mi è costato tanto.

    • Non ho idea del perché tu sia andata vivere a Genova, ma secondo me è una città difficile da vivere e per niente accogliente… Ci ho vissuto per un anno e me ne sono andata, non tornerei mai indietro. Zero accoglienza e popolazione locale che ha come sport preferiti la lamentela e i commenti sui “foresti”! Mi hanno davvero fatto sentire straniera in Italia, e vengo dalla provincia di Pavia, non da Palermo…

      • Mi dispiace per questa tua brutta esperienza!
        Dove ti trovi ora ti senti più accolta?
        Monica

      • Eh, sono una ricercatrice, sono arrivata qui perché c’è l’Istituto Italiano di Tecnologia. Per ogni altro aspetto, completamente alla cieca. Anch’io sono curiosa di sapere dove sei ora 🙂

    • Cara Celeste!
      Mi dispiace per tutte queste difficoltà
      E la rabbia e la frustrazione che arriva forte e chiara dalle tue parole.

      Sono nata a Genova e ci ho vissuto fino ai miei 24 anni e so che per molto versi non è affatto una città semplice da vivere

      • Ah caspita, ti leggo da anni e non avevo idea tu fossi di Genova (avevo avuto un dubbio con la ricetta dei canestrelli)!

        E dire che ci ero arrivata con molte speranze, perché sulla carta sembrava perfetta. Mare e colline come la mia città natale, ma grande il doppio. Prima di arrivare qui stavo a Londra e la amavo follemente, il suo casino mi energizzava un sacco, quindi avevo un requisito minimo di grandezza e casino…che mi sembrava essere rispecchiato, in teoria. Però non mi aspettavo proprio ti facesse sentire così straniera nel quotidiano, in modo così in-your-face. Però oh, persisto.

  • Rientrata nella provincia di Treviso a luglio 2020 con due bambine.
    Dal punto di vista burocratico il comune qui è
    stato molto virtuoso, ma dal punto di vista sociale ancora mi chiedono se siamo stranieri …
    Famiglie finte con casetta e macchinetta, poi ritrovo i padri sulle dating app ulin incognito…
    È molto faticoso, perfortuna anche noi un pochino alla volta ci riadattatiamo.

    Grazie per la condivisione!

  • Anche noi siamo in fase di rientro, dal lontano 2007 con un figlio di 8 anni che l’Italia la vede una volta l’anno quando andiamo in versilia per le ferie. Infatti ci spostiamo li’.
    Sto cercando di organizzarmi il meglio possibile ma sono gia’ in quello che gli inglesi chiamano il “catch 22”.
    – Primo step, iscrizione all’Anagrafe. Per fare cio’ serve casa ma l’unica soluzione e’ un AirBnb che taglia corto con scartoffie varie
    – Secondo step, tessera sanitaria, non so perche’ ma serve per qualsiasi cosa
    – Poi Conto in Banca e finalmente numero cellulare Italiano ed il famoso SPID per poter utilizzare le piattaforme online
    – Medico di famiglia e sul lungo termine acquisto casa

    Ho usato delle scorciatoie. La scuola andiamo di privata. Poche storie basta pagare la retta prendono tuo figlio anche il giorno prima di Natale.
    La casa parto da AirBnb cosi’ non devo dimostrare nulla al padrone di casa.

    Speriamo bene. Noi lo facciamo piu’ per noi che per il figlio. Dopo quasi 20 anni all’estero, vogliamo tornare, parlare la nostra lingua, mangiare le nostre cose e sentirci a casa, cosa che tra Svizzera, Olanda, Turchia ed Inghilterra non e’ mai successo.

    Vedremo, ma prevedo gia’ forti mal di testa 😀

  • Siamo rientrati in Italia da fine luglio, con due figli 11 e 8 anni…dopo diversi anni via( USA e Germania), avevo vissuto malissimo la partenza e pensavo di aver voglia di tornare. In pochi mesi, invece,sto perdendo tutta l’energia e “carica” che hanno contraddistinto questi anni via. I miei figli sono sereni, hanno ritrovato un po di “ famiglia allargata”. Io invece continuo a “scalpitare”.

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