Espatrio Vivere all'estero

Bilancio di 10 anni di vita all’estero

Written by Elisa, Abu Dhabi

Sono passati esattamente 10 anni (e qualche giorno) da quel tre di settembre in cui, a diciannove anni, ho preso il treno Milano-Basilea che segnava l’inizio della mia vita di italiana all’estero. È tempo di guardarsi indietro e di vedere chi sono diventata attraverso quattro Paesi, due lingue e innumerevoli lezioni di vita.

2013-2016: Francia e Nomadismo

Nel settembre 2013 sono sbarcata in Alsazia, a Mulhouse, una cittadina triste al confine con Germania e Svizzera. Ci sono arrivata da sola, per studiare: sentendomi in qualche modo più affine alla culture e alla lingua francese, avevo scelto una doppia laurea in tandem con l’università locale. Poco importa se l’università era l’unica vera attrattiva della zona. In realtà, Mulhouse resterà sempre nel mio cuore per avermi permesso di cominciare a cercare me stessa. A posteriori, i tre elementi che hanno costituito la spina dorsale della mia identità nel decennio successivo hanno cominciato a germogliare li: a Mulhouse ho smesso di mangiare carne; a Mulhouse ho iniziato a praticare yoga; e a Mulhouse ho conosciuto l’Islam.

E poi ho visto la Francia, dalla terra al mare, come cantava la Mannoia. Ho preso i miei primi BlaBlaCar, in un’epoca in cui ancora internet sul telefono non era così diffuso. Con Noemi e Margaret, diventate poi amiche di una vita, ho guidato fino a Lione e fino alla Normandia, dormendo sui divani di sconosciuti tramite Couchsurfing e AirBnB. Ho preso treni per Parigi con lo sconto studentesco e mi sono persa nei quartieri poco turistici, ma anche nello slang locale, io che pensavo finalmente di aver padroneggiato la nostra lingua cugina. Ho esplorato i Vosgi, a piedi e sugli sci. Ho fatto il pieno di francesità, sentendomi però solo ricambiata in parte da questa cultura un po’ altezzosa.

In Francia ho anche imparato cosa significa essere lontani dalla famiglia in un momento difficile e traumatico. E complice un certo senso di spaesamento alla fine della triennale, ho passato i successivi due anni a chiedermi quale fosse il mio posto nel mondo, senza davvero impegnarmi a trovarlo.

Sono stata a Dubai, sono stata in Messico, in Australia, sono stata in varie parti della Spagna. Sognavo Berlino, avevo un lavoro nomade ma non troppo stabile. Nel frattempo si era aggiunto un ragazzo italiano che non sognava un’estero molto diverso dal mio: oltreoceano diceva, ma in fondo semplicemente più temporaneo.

2017-2019: Londra e la riscoperta di me stessa

In Londra abbiamo trovato un compromesso accettabile, ed qui siamo sbarcati insieme nel 2017. Ma insieme non ci siamo rimasti a lungo. Ricordo la fatica di mandare giù la delusione di un compromesso che non aveva dato il risultato sperato, e la promessa fatta a me stessa di non mettere più la felicità di qualcun altro davanti alla mia.

E a questo punto, nel 2018, inizia la mia vera vita londinese. Una serie di appartamenti condivisi con gente che credevo amica e si è rivelata altro, o con partner temporanei assurdi, fino al giorno in cui mi imbatto contemporaneamente nell’appartamento dei sogni e nel mio futuro ex. Ho vissuto i nove mesi più belli della mia vita, sospesa in una bolla di felicità condivisa: le cene tutti assieme, le notti a parlare, il giorno in cui uno di loro è riuscito a farne assumere altri due nella sua stessa azienda e con il bonus ci ha portati tutti in gita a Istanbul. E proprio a Istanbul ho iniziato a intravedere le prime crepe nel mio porto sicuro: cercavo in noi cinque una stabilità che non avevo da sola. Ho pregato perché arrivasse un segno, mi è arrivata un’offerta di lavoro in Macedonia che mi ha permesso di lasciare Londra sulla cresta dell’entusiasmo ma con una nostalgia pazzesca della vita che avevo lasciato. Forse anche per come l’avevo lasciata, scappando dalle ombre che erano emerse, illudendomi che la felicità stesse nel viaggiare sempre più veloci della nostalgia.

2020: Il Covid, i Balcani, l’amicizia

È la fine del 2019 quando atterro a Skopje, col cuore pieno e a pezzi contemporaneamente. Non ho grandi aspettative, anzi, ho già un volo di ritorno a Londra per il primo weekend di Marzo. Un volo che non prenderò mai, perché il 2020 ci sorprende chiudendoci in casa. E mi fa forse il regalo più bello: l’opportunità di scoprire la Macedonia, e di conoscere due degli amici più cari che ho. Quasi tutti gli europei prendono l’ultimo volo di rimpatrio: restiamo io, un mio collega francese e la ragazza che lavora all’ambasciata francese. Per la prima volta dopo anni rispolvero la mia identità francofona, che avevo sepolto sotto quella londinese: ed ecco che ritrovo un pezzo di me stessa che mi è mancato come l’aria. Vivo con francesi, vivo da francese, e questa volta è una comunione di amorosi sensi. E intanto fuori c’è la Macedonia, che è piccola ma densa di cose da scoprire, di laghi e fiumi in cui nuotare, di monasteri aggrappati alle rocce, di cibo delizioso e di gente gentilissima. Ricordo la fuga a Ohrid col terrore che la polizia ci rimandasse indietro, i quattro giorni di celebrazione per la fine del Ramadan passati coi piedi nell’acqua ad ascoltare i muezzin nelle moschee albanesi. E poi il giorno in cui hanno aperto le frontiere con gli altri Paesi dei Balcani, le cinque ore di macchina per Belgrado, il primo Pad Thai dopo sei mesi, la risata isterica davanti al familiare logo dell’IKEA. Le frontiere con l’Unione Europea sono chiuse, e quindi ad Agosto partiamo per un road trip in Albania, e ci prendiamo un aperitivo con vista su Corfù, senza poterla raggiungere.

E poi l’anno giunge al termine, e con esso il mio contratto, che ha difficoltà ad essere rinnovato a causa della situazione economica e geopolitica. La nostalgia di Londra, o meglio delle persone che ci avevo lasciato, non si è attenuata. Non aspetto nemmeno di trovare lavoro: prendo un volo, faccio la quarantena in quella che sento ancora come casa mia, riesco ad andare ad abbracciare la mia famiglia, a conoscere il nipotino nato nel frattempo.

2021-2023: tornare a Londra e ritrovarsi di nuovo

Londra è una città che ti accoglie con un bagno di realtà e il mio bagno di realtà di fine 2020 è stato brutale. Perché ero tornata con l’illusione di ricostruire la vita di prima, quando le persone erano andate avanti, o a volte indietro. Ho pagato il prezzo del mio orgoglio, e della mia uscita teatrale. Ho vissuto un anno difficile, doloroso, ma anche liberatorio, in cui ho trovato un lavoro adatto a me e ho finalmente affrontato le crepe e le ombre che non avevo voluto vedere prima. E ho scoperto la forza incredibile che scaturisce dall’ammettere i propri errori.

Nel 2022 ho ritrovato la felicità. Ma anche la tristezza, la rabbia e la paura, che lascio entrare e uscire come tutte le emozioni che transitano durante la nostra vita. È stato un anno di lutti importanti e di scelte altrettanto importanti: per la prima volta ho comprato casa e deciso di disfare le valigie emotive che mi sono portata dietro in questo decennio. La Londra che ho vissuto è diversissima da quella che immaginavo al mio ritorno, o quella di cui mi sono cibata a quattro palmenti cinque anni fa.

Sono diversa anche io: ho imparato di nuovo a fare compromessi, ma soprattutto ho imparato con chi farli. Ho accettato e coltivato la mia identità francese, e accettato che non ne ho una inglese o britannica, nonostante abbia vissuto gran parte della mia vita adulta in questa città. Ho fatto pace con la mia identità italiana, col contesto da cui provengo e coi viaggi frequenti per essere presente nella vita della mia famiglia di origine.

2023: i plot twist e l’arrivo nel Golfo

Nel 2023 pensavo di mettere radici: un appartamento nostro, un mutuo a 35 anni, due anni di lavoro in un’azienda e in un settore che mi interessavano, la prospettiva di sviluppare l’attività di insegnante di yoga. E invece la prima metà dell’anno ha scombinato tutte le carte: siamo stati licenziati entrambi e io ho avuto un’offerta di lavoro nel Golfo. E così la seconda metà si è delineata ben diversa da come la immaginavo: le radici, ancora per un po’, non le metteremo da nessuna parte.

Lo spirito con cui lascio Londra oggi non potrebbe essere più diverso da quattro anni fa, e prova ne è che ho bisogno di aggrapparmi a meno oggetti, meno biglietti di ritorno, meno feticci della mia vita precedente per ricordarmi chi sono e dove vado.

Credo che la vita all’estero mi abbia tolto vari strati, alcuni che non mi erano mai appartenuti, altri che erano la mia coperta di Linus, ma che mi impedivano di esplorare il mio potenziale.

E oggi, dopo dieci anni, quattro Paesi, tre lingue e due identità, con i piedi in una sabbia sconosciuta mi sento più me stessa di quando sono partita.

Elisa, Abu Dhabi

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Elisa, Abu Dhabi

Nata con i piedi nell’Adriatico e cresciuta sotto le Due Torri, una delle mie prime ricerche su Google è stata “come ci si trasferisce negli Stati Uniti”: i risultati mi hanno convinta dell’importanza fondamentale della libertà di movimento in Europa. Ho vissuto in Francia, a Londra, in Macedonia e ora faccio base ad Abu Dhabi. Mi occupo di sostenibilità, insegno yoga, sono ambasciatrice dello slang parigino di banlieue nei quartieri bene di Londra e della cucina vegana senza glutine in giro per il mondo.

2 Comments

  • Il tuo racconto è meraviglioso. Sembra un libro autobiografico ma allo stesso modo un libro che parla a tutti gli expat. Mi ci ritrovo moltissimo. Ti ringrazio per aver condiviso le tue emozioni. Mi auguro che dove sei adesso, si riveli per te un posto felice. Un abbraccio.

    • Grazie di cuore delle tue parole Eli. Nel cassetto ho proprio un romanzo corale sulla vita all’estero, che spero un giorno di tirare fuori. Chissà!

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