E’ la stagione dei manghi, adesso. Ed è anche quella delle grandi piogge, acquazzoni che mangiano le strade e che creano pozze così grandi che ad attraversarle hai un po’ di paura, perché non sai quanto sono profonde. Per questo, in alcuni punti della città, ci sono energumeni pronti a caricarsi donne e bimbi sulle spalle e trasportarli in punti asciutti.
La cosa bella è che, paradossalmente, la stagione delle piogge più forti è anche quella del sole più rovente: dopo aver allagato la città a dovere, l’acqua lascia infatti il posto a raggi caldissimi, quelli che rendono i manghi così dolci. Mentre in Italia è ora di tirare fuori gli sci, qui andiamo incontro all’estate e le passeggiate lungo l’oceano si fanno più frequenti. E bada bene che ho detto passeggiate: ti sfido a nuotare tra le turbolente onde dell’Atlantico. Però puoi fare surf se vuoi, o leggerti un libro mentre tuo marito, lo sportivo della coppia, tenta di stare ritto sulla tavola. E se la tua lettura viene interrotta da due ragazzotti che vogliono venderti un serpentello, puoi limitarti a rispondere anche-no-grazie. Con calma e senza movimenti bruschi però, perché, chissà, il rettile potrebbe averne a male.
Dato che di nuotare non se ne parla, sulla spiaggia puoi fermarti in un ristorantino a mangiare pesce: aragoste a volontà! Qui le aragoste te le tirano praticamente dietro, non costano nulla. Se invece però hai in mente una semplice pasta con i broccoli allora… devi seriamente mettere mano al portafoglio. Fa troppo caldo per il povero broccolo e, quindi, l’agognato ortaggio viene importato e rivenduto – facendo un calcolo approssimativo – all’equivalente di 18 € al kg.
Ma veniamo al fatidico ‘qui’. La città in cui vivo da circa un anno e mezzo si chiama Pointe Noire e si trova in Congo Brazzaville, uno staterello nel cuore dell’Africa più nera, da non confondere con l’RDC (Repubblica Democratica del Congo), suo vicino più grande e bellicoso e sì, in Africa ci sono due Congo, no, nemmeno io lo sapevo prima di trasferirmici.
Mi ha portata qui il lavoro di mio marito e, i primi mesi, sono stati lo shock più totale. Da ‘voglio-la-mamma’ proprio. Perché da fare non c’è nulla: un solo supermercato, non un cinema, non un negozio, niente. La città – degna di questo appellativo – più ‘vicina’ è Johannesburg, a 4 ore di volo. E per me, con un passato da consulente di comunicazione prima a Londra, dove ho vissuto tre anni e mezzo, e poi a Milano… bhè, lascio immaginare. Ho provato a cercare lavoro inviando CV a destra e manca ma, come è facile immaginare, la realtà congolese non pullula di agenzie di comunicazione. La stragrande maggioranza delle imprese qui presenti si occupa di logistica, trasporti, oil&gas e la considerazione che ho avuto è stata pari a zero. Così ho cominciato a trascorrere giornate anonime, in bilico su un filo sospeso tra l’inedia e la futilità, con l’unica preoccupazione di scegliere se fare prima la spesa e poi un corso di zumba o di cucito o viceversa. Una vita piena di brividi insomma.
Poi, di colpo, più o meno quando ho finito di piangermi addosso, ho realizzato che Paesi come questi offrono due cose molto preziose. La prima è il tempo. Semplicemente. Quel tempo che un tragitto in metro e un lavoro alla scrivania ti portano sempre via. Invece, qui, di tempo – almeno nei primi mesi – ne avevo a palate e me lo sono preso tutto. L’ho usato per dare vita a due mie passioni: ho cominciato a studiare giapponese online e ho aperto un travel blog, dato che viaggiare è la cosa che più amo fare al mondo. Queste due attività mi hanno aiutata molto all’inizio del mio soggiorno africano: mi hanno fatta sorridere e incuriosire e, soprattutto, tra la stesura di un post e un po’ di hiragana, mi hanno permesso di ritrovare la tranquillità. Gradualmente, ho capito la seconda cosa che il Congo aveva da offrimi: un’occasione per ‘ricostruirmi’, per mettermi alla prova con qualcosa di nuovo.
Grazie ad un corso che stavo frequentando per rinfrescare il mio francese (lingua ufficiale qui in Congo Brazzaville), mi è stata data la possibilità di lavorare una settimana come interprete inglese/francese per un trombonista americano, ex band leader di James Brown. Accantonato dunque il mio lato PR, ho fatto prevalere quello della linguista (che, poi, è quello che preferisco). Mi sono buttata a capofitto in questa esperienza, lavorando con la band, partecipando a workshop e serate musicali, entrando nel vivo della realtà congolese. Ma soprattutto ho conosciuto persone, una delle quali mi ha messa in contatto con una scuola privata: attualmente insegno italiano ai dipendenti di un’azienda e inglese ai bambini da 2 anni in su.
Al mattino salto su un taxi (sono un disastro al volante) sgangherato e, di solito, pieno di polvere. Una vivace rumba congolese mi fa da sottofondo mentre la vita di Pointe Noire scivola via dietro al finestrino. Ogni giorno mi viene da pensare la stessa cosa: tutti portano un peso. E non metaforico: c’è chi spinge carrette straripanti di tubi, di legname, di non so cosa. Chi guida con una mano sul volante e l’altra fuori dal finestrino a reggere (!) un grosso involucro – sembra un materasso ma non ne sono certa – poggiato sul tetto dell’auto. Ci sono donne con bimbi legati sul dorso e, sul capo, bacinelle piene di oggetti per la casa, secchi di materiale arrugginito, ceste di frutta esotica. Una volta ne ho vista una con una bombola del gas. Vuota, spero. E mentre guardo queste immagini così vivide rifletto su di un peso più reale, quello della povertà, che da sempre piega un continente grande e bello come l’Africa.
Poi arrivo a scuola: invece del PC, accendo uno stereo che riempie la stanza di canzoncine per bambini, invece della collega svogliata e raccomandata, c’è un’americana sorridente piena di voglia di fare, invece di startupper presuntosi e pieni di sé, i miei ‘clienti’ sono bimbi paffuti, irruenti, timidi, ancora un po’ assonnati ma sempre sorridenti. E sorridente lo sono anch’io (pure assonnata a dir la verità) perché sono riuscita a trovare uno spazio, un progetto tutto mio che, in qualche modo, mi restituisce la mia identità, non mi imprigiona nello sterile ruolo di ‘moglie di’.
In questi momenti penso che sì, vivere in un Paese del terzo mondo non è facile, ci sono centinaia di posti migliori in cui sarei potuta capitare ma, in fondo, va bene così. Perchè questa esperienza mi sta insegnando tanto e quando, trascorsi due anni, lascerò il Congo, credo sarò una persona un pochino diversa, forse più positiva, più aperta, con meno pregiudizi. E, forse, saprò prendere la vita in modo più leggero perché, come dice un proverbio congolese:
MOKILI ESALAMA PO TOTAMBOLA NA YANGO, KASI TO TIYA NA MOTO TE
“Il mondo è stato creato per camminarci su, non per essere portato sulla testa”
Ossia, la vita è soltanto un passaggio, godi del momento presente e non pensarci troppo su.
Cristina, Congo.
Cristina ha collaborato con Amiche di Fuso da marzo 2016 a novembre 2019
Potete leggere Cristina qui
Grazie Cristina per averci raccontato questa tua realtà. In molti, quando pensano all’espatrio, pensano alla realtà patinata fatta di autisti, camerieri e cocktail a bordo piscina che solo pochissime fortunate possono permettersi. In realtà invece, ci sono anche storie bellissime e diverse come la tua che meritano di essere dette e lette!
Complimenti! E molto bello il proverbio finale 😉
Un bellissimo post e un bellissimo esempio di chi non si da per vinto nelle situazioni piu’ complicate!
Potete per favore pubblicare l’indirizzo del blog? mi farebbe piacere leggere altri post di Cristina
Grazie
Laura il blog di Cristina e’ https://babyucandrivemycar.wordpress.com/
Grande Cristina! Seguo sempre il tuo blog, e mi fa piacere leggere qualche dettaglio in più qui sulla tua vita e su come sia riuscita a far valere la tua identità e una delle tue passioni, brava! 🙂
Molto il bello il tuo racconto e l’esperienza che stai vivendo. Seguirò con molto piacere il tuo blog
Che esistessero due Congo in Africa l’ho ben memorizzato alle scuole medie grazie ad una sfiga assurda in geografia, ma vabbè …. 😀
Una storia bellissima, dall’unico angolo di Terra che manca in questo blog e che hai riempito lasciandoci guardare l’Africa con i tuoi occhi ….. davvero emozionante!!!
In bocca al lupo!!!!!
No no no.
Non sei autorizzata a ri-scoperchiare il padellone “Congo”. Che poi comincio a piangere a fontanella e ho quasi finito i fazzolettini.
Presente, ex-expat in Congo. RDC, però.
Sono stata a Lubumbashi (estremo sud, al confine con lo Zambia), per due lunghissimi e brevissimi anni. Io ero sola, senza famiglia, partita come cooperante per una piccola ONG lombarda, catapultata nella brousse e nei villaggi assolutamente impreparata a quello che avrei trovato…poca elettricità, strade allucinanti, difficoltà di comunicazione e gap culturali tremendi, miseria, polvere, superstizioni.
Ho vissuto senza europei a fianco per due anni, solo congolesi; niente italiano, solo francese o swahili.
Ho sperato di poter restare a vivere lì, ma problemi di salute miei (maledetto chinino e maledetta malaria, mi hanno devastato il fegato) e dei miei genitori mi hanno costretta a rientrare in Italia.
Eppure il mal d’Africa c’è, sempre presente, e cerco di curarlo cercando disperatamente un’occasione di rientro, una conversazione con una qualsiasi persona scura di pelle, nei pagnes che ancora indosso d’estate, nei negozietti di cibo etnico che frequento a Milano.
Ora lavoro a scuola, e capita che gli insegnanti di geografia mi chiamino per tenere lezioni sull’Africa, in terza media.
La cosa più bella che mi hanno mai detto? “Prof, si vede che sei innamorata dell’Africa, te lo si legge negli occhi quando ne parli”.
Ho imparato a vivere il tempo, laggiù, e a non farmi vivere dal tempo.
Ho imparato a ridere apertamente, senza nascondermi.
Ho imparato a vivere i colori che ho dentro, fregandomene di chi mi critica perchè “così colorata sembri un pugno in un occhio a Milano”.
Ormai ho marito, lavoro e casa qui, vicino a Milano, eppure ogni tanto uno sguardo ai voli per L’shi lo do e ci tornerei volentieri a vivere. Ho ancora contatti e amici che mi accoglierebbero a braccia aperte, e negli anni ho cercato occasioni lavorative laggiù.
Ma so che non è possibile, e mi accontento di sognare solo un po’.
Salutami Brazza, dove ho soggiornato solo un paio di giorni.
Salutami l’Africa.
Cristina ma che sorpresa leggerti qui! Ma ora che so del tuo Blog comincerò a seguirti anche io. Non posso che condividere la tua esperienza in questo paese che ormai ci ha un po’ adottato.
Baci
Grazie per questo punto di vista toccante e interessante…….immagino lo sconforto dei primi mesi….da expat in USA per 18 mesi mi sento al tuo opposto per le prime settimane…io invece ero sempre in giro per negozi….poi ho cominciato a lavorare e allora mi sono riscoperta anche io come persona.
Grazie e in bocca al lupo per tutto!
Grazie Cristina.
È tornato vivo in me quel sentimento che molti chiamano mal d’Africa, che è nato in me dopo alcuni soggiorni soprattutto in Kenya (non da turista al mare), ma in villaggi e città dove mi si è presentata la vita nella sua quotidianità. Mai stata in Congo, ma ciò nonostante mi sono tornati alla mente diversi episodi, vissuti con molto interesse altrove.
È proprio vero: la vita offre opportunità alle quali non penseremmo mai e tu sei stata molto brava a coglierle, reinventando una vita in un posto nel quale inizialmente non vedevi nulla, notando piuttosto quello “che non c’era”.
Visiterò il tuo blog con molto interesse. Ciao.
Grazie a tutte per i vostri commenti! Sono contentissima di essere riuscita a trasmettervi un pezzettino di quella che io chiamo l’Africa ‘vera’, quella che nulla ha a che fare con i safari in jeep. Credo che ogni espatrio racchiuda i suoi pro e i suoi contro: sta a noi trovare i pro e, come dice giustamente Renata nel commento qui sopra, sta a noi smettere di ‘vedere ciò che non c’è’, per poterci concentrare invece su tutta una serie di nuove opportunità.
Un buon proseguimento di avventura a tutte, ovunque voi siate!
cris
Sappi che mu hai fatto venire voglia di espatriare anche in Congo! 😀
hahahah, bon courage! 😉
Che post meraviglioso, denso di saggezza e di poesia, scritto con il cuore e con una voglia di rinascita degna davvero di stima: dell’Africa ho letto tanto, affascinata come non mai, dell’Africa me ne ha parlato una collega affetta da un vero e proprio mal d’Africa, dell’Africa me ne ha parlato una collega che ha dovuto lasciare il suo bellissimo paese e ogni giorno ci perde un pezzetto di cuore. E anche tu l’hai descritta con benevolenza e affetto. Bellissime righe….
Un caro saluto.
[…] “Dal Congo: Cristina” del blog “Amiche di Fuso […]
Vivo spesso col mal d’africa di mia figlia Congolese prima e italiana ora che lo chiama ancora “il mio mondo” doc. Io in Rcd ci ho passato 3 settimane difficili, ma ci tornerei proprio per riviverlo in serenita’ stavolta. Sono le persone a fare la differenza e anche i congolesi che ho conosciuto qui in italia mi hanno aiutato un po’ alla volta a conoscere il loro paese. Bello il tuo reportage, ho capito subito che non eri in rdc x via della foto in spiaggia!
[…] anni partiti molto molto in sordina, partiti nel peggiore dei modi. Ne ho fatto un pezzo per Amiche di Fuso e uno dei commenti che ho ricevuto mi ha colpita in modo particolare: diceva che solo quando ho […]