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6 cattive abitudini che ho preso vivendo in Africa

cattive abitudini dell'expat
Written by Amiche di fuso

Se vi dicessero ‘ho due notizie, una buona e una cattiva’, quale ascoltereste per prima? Io la cattiva, per cui comincio con questo post. Sei brutte abitudini che ho preso vivendo in Africa (da ormai quattro anni). Ne ho acquisite anche di buone eh, ma di quelle ve ne parlo il mese prossimo.

Prima… fuori gli scheletri dall’armadio!

*Prego di leggere questo post con l’ironia con cui è stato scritto: nessuno è perfetto, giusto?

Allora io comincio…

Vado in giro sciatta. Ma parecchio.
Immaginate la vita di una PR, prima a Londra e poi a Milano. Ok, non sono mai stata una da parrucchiere e manicure tutte le settimane e sui tacchi riesco a malapena a reggermi in piedi ma, insomma, ogni tanto mi conciavo per benino. Perché il lavoro lo richiedeva e poi… bhè, ma mica c’è bisogno di un perché! Da quando vivo in Africa invece, non solo il tacco non esiste più, ma non esiste più nemmeno il jeans attillato, la camicia carina, la borsa trendy. Il vestito bellino vede la luce una volta al mese (se la vede) e il mascara si secca nel tubetto. La mia tenuta giornaliera è costituita da [leggere con voce alla Fantozzi]: ricrescita di svariati centimetri (perchè dopo che mi han fatto i capelli arancioni a febbraio, vivo nella paura!), scarpa da ginnastica, leggings da palestra, top fosforescente (e sudato), zaino buttato su una spalla. Perché già che sono uscita per andare a correre faccio che sbrigare anche le altre commissioni, no?

Il fatto è che qui a nessuno importa come sei vestito (a me per prima), nè c’è un centro o un posto particolare in cui vieni guardato con aria di sufficienza se non ‘ti presenti bene’. C’è però da dire che, in questo modo, mantengo un profilo basso e quindi non do troppo nell’occhio pur essendo bianca e bionda (ricrescita a parte) e poi, diciamo la verità: sono stra-comoda. Alla facciazza dei tacchi che si incastravano nei sanpietrini di corso Vittorio.

Non faccio la raccolta differenziata
Questo per forza di cose. In Angola (figuriamoci poi in Congo) la differenziata non esiste, si butta tutto insieme – vetro con carta con plastica con cacche di cane – che sembra di essere tornati negli anni 80. Il guaio è che quando mi trovo in un paese dove invece la differenziata si fa, ho dei seri problemi. Sono però onesta nel dire che, a parte le macro-categorie-impossibili-da-sbagliare, nemmeno mi impegno troppo per capire dove va cosa. Ad esempio, se compro un pezzo di pizza dal fornaio, dove cavolo la butto la carta unta? Nel primo cestino disponibile.

Sono diventata intollerante ai vittimismi
Se per molte cose l’Africa mi ha fatto diventare una persona più aperta, su altre cose mi ha invece resa completamente intollerante. Me la meni tutto l’inverno che fa freddo, poi arrivano finalmente 28° e… il giorno dopo ti lagni che si muore di caldo? Oppure ti lamenti perché hai fatto un sacco di strada per andare in quel negozio e poi, ma guarda questi, hanno il coraggio di essere chiusi la domenica? Perché non ti hanno lucidato bene il parquet mentre alla tua vicina di casa sì? Perché il 2 giugno la tua azienda non ha fatto ponte e non riesci ad andare al mare tre giorni come volevi? Really?!? Cioè, basta. I problemi, credimi, sono altri. Non ho più voglia di sentire stupidaggini. Avete presente quel meme che gira su Facebook, quello con Batman e Robin? Ecco, so’ diventata Batman.

Non presto più occhio alla spesa
Se c’è una cosa su cui in Angola non risparmio è il cibo. Ho già la mia serie di grattacapi a vivere qui e quella volta che, magicamente, trovo sugli scaffali del supermercato qualcosa che non si vedeva da mesi, lo arraffo subito indipendentemente dal prezzo. Il problema è che una volta in Italia, l’Esselunga mi pare il Regno Del Piacere e quindi butto nel carrello la qualunque. Altro che scarpe e vestiti (vedi punto 1): culatello e burrate a me! Sono lontani i tempi in cui cercavo il RioMare in offerta e collezionavo i Punti Fragola: ora in economia domestica sarei irrimediabilmente bocciata. C’è di buono che, in Italia, la spesa la faccio solo due-tre volte l’anno, per cui, in fin dei conti, contengo i danni.

Patisco il freddo molto di più
Sono (ero) quella che, in gennaio, a Londra andava in giro non solo per niente sciatta ma con un cappottino leggero, poggiato su un vestitino leggero sopra collant – e che ve lo dico affà – ancor più leggeri. Cresciuta nella tagliente umidità invernale della pianura padana e fervente hater delle canottiere da che ho memoria, il freddo mi ha sempre fatto un baffo: oggi, però, se torno in Italia in aprile e ci sono, toh, 22°… un ciocco nella stufa lo butterei volentieri. Fortunatamente, passati i primi giorni di shock, mi acclimato nuovamente: una sciarpa di lana continua a essere uno dei regali più inutili che potete farmi.

Sono convinta di avere un sacco di anticorpi
E non è vero (forse). Quindi non lavo la verdura con l’Amuchina come ci è stato consigliato di fare, non mi immergo nel repellente anti-zanzare tutte le volte che dovrei e mangio cose strane quando sono in vacanza: lo yogurt semi rancido di Kathmandu e un’insalata di dubbio gusto ma di sicuro scarso igiene in un ostello boliviano rimarranno negli annali come i cibi più pericolosi (e ci siamo capiti in che senso) mai ingeriti. Perché io confido nel fatto che ‘tanto i batteri quando vedono gli anticorpi africani fuggono. MUHAHAHAHA [risata malefica]’. Finora mi è andata bene ma meglio che non faccio troppo la furba che la maledizione di Montezuma (per non dire di peggio) è sempre dietro l’angolo.

E questo è quanto. Volevo anche dirvi che, nonostante ciò, non sono una brutta persona. Del resto, chi è senza peccato scagli la prima pietra! In ogni caso, per riscattarmi, prossimamente vi parlerò delle buone abitudini che ho acquisito qui nel continente nero.

Ora però tocca a voi: non fate i timidi, tirate fuori i vostri scheletri dall’armadio e scrivetemeli qui sotto o sul nostro account Facebook!

Cristina, Angola

Cristina ha collaborato con Amiche di Fuso da marzo 2016 a novembre 2019

Potete leggere Cristina qui

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Amiche di fuso

Amiche di fuso è un progetto editoriale nato per dare voce alle storie di diverse donne, e non solo, alle prese con la vita all'estero. Vengono messi in luce gli aspetti pratici, reali ed emotivi che questa esperienza comporta e nei quali è facile identificarsi. I comuni denominatori sono la curiosità, l'amicizia e l'appoggio reciproco.

2 Comments

  • L’Esselunga mi pare il Regno Del Piacere…non avrei saputo esprimere meglio i miei sentimenti quando arrivo in Italia e ci vado. Per la cronaca, sono capace di imbarcare un bagaglio solo per avere il tonno nel barattoli di vetro

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