#expatimbruttito

Caro Cervello, io ti perdono

incomprensioni linguistiche
Written by Amiche di fuso

Passano gli anni e con loro aumenta anche la mia tolleranza, o meglio: aumenta la mia gratitudine e di conseguenza cerco di tenere alta la tolleranza durante le visite dei miei genitori.
Non vivendo vicini, quando vengono per aiutarmi e godersi un po’ l’unica nipotina, non stanno certo pochi giorni… bensì rimangono per quasi 3 mesi (comprendo il vostro sgomento, ma ora ripigliatevi e continuate la lettura).

Sono molto fortunata perché il mio compagno non soffre di sindrome della suocera, anche perché lavora fuori e dei 90 giorni di convivenza ne vive sì e no 30, questo però non significa che io abbia vita facile, anzi!
Infatti, seguendo la legge della conservazione della massa, l’astio che normalmente si accumula tra genero e suocera, non si annulla e, nel mio caso, si trasforma e diventa petulanza e costante ricerca di attenzioni nei miei confronti.
Il mio cervello va letteralmente in cortocircuito. Già normalmente non godo di molto tempo libero in cui penso solo a me stessa, avendo una duenne che non va all’asilo e due cani giganti bisognosissimi di attenzioni, ma durante i tre mesi di convivenza con i genitori/nonni e compagno, perdo addirittura il diritto di poter usare il mio cervello a piacimento.

Infatti, essendo circondata da 3 adulti che non possono comunicare causa barriere linguistiche, mi trovo a dover tradurre tutto, anche quello che non sarebbero nemmeno tenuti a sapere perché non fanno parte della conversazione.
Così non posso nemmeno più masticare durante i pasti perché si innesca il meccanismo “tellyourmomthat/diaZacche” oppure “Whatdidshesay?/Cosahadetto?”, e così passo il tempo a fare da traduttore simultaneo e, se mi azzardo a ribellarmi, vengo cazziata da entrambe le parti e in entrambe le lingue, come fossi una rompiscatole egoista.
Chiaramente la cosa non si ferma alla traduzione simultanea a casa, ma si espande in ogni campo, tipo l’improvvisa perdita di competenze base come trovare i pigiami nel cassetto dei pigiami o attaccare il phon alla presa della corrente.

Osservando le mie amiche che vivono all’estero noto che c’è un pattern seguito da quasi tutte le madri che sono sulla sessantina e cerco di consolarmi, anche se è molto difficile rimanere calme in alcuni momenti.
Ad esempio quando vengo chiamata incessantemente mentre sto cercando di lavorare o quando devo rispondere ad un fiume di domane molto banali che manco un bambino di 4 anni farebbe così a raffica.
Sarà una vendetta o il karma che ci punisce perché da piccoli chiamavamo sempre “mamma” e facevamo mille domande?! Non so spiegarmi il fenomeno visto che mio padre (che pure lui mi fa andare in corto, ma per altri motivi) non mi chiama praticamente MAI. Lui si attiene strettamente al copione maschile classico tipo: “Questo dove va messo?”, “Dove hai messo quella cosa che non la trovo?”,  “Cosa hai detto che non ti ho sentito le prime 3 volte?” e il mio preferito che trascende età e nazionalità: “Lo devo fare proprio ora?!”. E poi, per lui, io devo tradurre solo alcune parole che poi lui mette insieme come frasi-Frankenstein, possibilmente con intraducibile sottofondo umoristico, che poi nessuno capisce e che mi tocca ritradurre da capo con tanto di simultanea per il botta e risposta. Tutto questo accade quasi sempre mentre mangiamo, chissà perché.

Però poi, quando la visita finisce, sono molto triste, perché è sì difficile gestire e convivere con i proprio genitori dopo tanti anni lontana da casa, ma è anche facile abituarsi a poterli vedere tutti i giorni ed ad avere vicino qualcuno che ti vuole aiutare incondizionatamente.

Voi vivete mai questi drammi da cervello in pericolo di fusione? Come li superate?

Alessia, Louisiana

Alessia ha collaborato con Amiche di Fuso da luglio 2014 a gennaio 2020.

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Amiche di fuso

Amiche di fuso è un progetto editoriale nato per dare voce alle storie di diverse donne, e non solo, alle prese con la vita all'estero. Vengono messi in luce gli aspetti pratici, reali ed emotivi che questa esperienza comporta e nei quali è facile identificarsi. I comuni denominatori sono la curiosità, l'amicizia e l'appoggio reciproco.

1 Comment

  • Ti capisco perfettamente. Eccome!
    Traducevo in simultanea proprio come te, tutto. Andavo in automatico. Con il fantomatico risultato che parlavo 4 volte più di quanto farei (e io non sono una che sta zitta). Stanca. E tanto.
    Pensa che ero talmente abituata che fino a qualche tempo fa lo facevo ancora – mentre mia sorella è da anni ormai che parla italiano. Ma mi “partiva” il traduttore automatico.
    Capisco anche la convivenza con i genitori con l’eterno dilemma “non c’è la faccio più/poi se ne vanno e mi dispiace”.
    Che dire….se io dovessi dare un consiglio a me stessa di tanti anni fa tradurrei molto meno. Lascerei che si arrangiassero. Lascerei che mio marito si sforzasse di parlare la mia lingua come ho imparato la sua. Altrimenti, pazienza. Lascerei che ognuno si adeguasse.
    Ma con il senno del poi tutto è facile. Io avevo la smania di aiutare, di essere sempre super disponibile a tutti, quasi come se fosse colpevole delle differenze dialettiche perché avevo scelto di sposare uno straniero.
    Per ciò ti capisco anche tra le righe. Anche i miei genitori venivano per 3 mesi…
    Un grande abbraccio

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