Novità dal mondo

Gli aborigeni d’Australia

Written by Manuela Sydney

Non è semplice scrivere un articolo sugli aborigeni d’Australia.

Qui downunder continua ad essere un tema molto delicato, oggetto di dibattiti complessi che si svolgono su vari piani: politico, sociale, economico, umano.

Si tratta di una storia articolata, ancora troppo attuale, dove le parti coinvolte stanno tutte facendo uno sforzo per superare il passato e costruire un futuro condiviso.

Gli aborigeni d’Australia non sono solo l’etnia più antica del continente, sono anche l’etnia più antica del pianeta. Geneticamente parlando, sono dei veri e propri tesori viventi.

Nei secoli hanno subito soprusi e razzie di ogni genere. E li hanno subiti per mano di noi europei.

Quando il valente Capitano Cook, alla fine del ‘700, approdò con la sua flotta in Terra Australis, tutto cambiò per loro. Per ben 5.000 anni gli aborigeni erano vissuti in un isolamento completo dal resto del mondo. Non avevano idea di cosa fosse lo stile di vita occidentale. Non concepivano la proprietà privata, né il loro corpo era pronto a far fronte alle malattie in arrivo da oltre oceano.

Probabilmente nulla poteva preparare gli occidentali all’incontro con gli abitanti dell’Australia, e viceversa.

Gli Aborigeni australiani possiedono una cultura vasta e articolata, che si esprime, però, in maniera del tutto diversa da come un occidentale medio è abituato a recepirla.

Considerano sacro e vivo tutto ciò che fa parte della natura. Ogni cosa del cielo e della terra, possiede uno spirito. Centrale, nel loro modo di concepire il mondo, è il Dreamtime, il tempo del sogno. Tutto viene percepito come un fluire continuo dall’inizio della creazione. Passato, presente e futuro, coesistono. I creatori si muovono attraverso sentieri che vengono chiamati Le vie dei canti. Tutto parla lungo queste vie. Ogni cespuglio è sacro, è un simbolo e racconta di qualcosa. Tutti noi, sempre, da svegli o dormendo, possiamo accedere a quello che la Terra ha da raccontarci. Ma dobbiamo volerlo ascoltare. Dobbiamo aprire i nostri sensi alla percezione. La conoscenza è lì, e aspetta di essere attinta. Ma per coglierla, è necessario zittire tutto il rumore di fondo.

Per gli aborigeni d’Australia è estremamente difficile abituarsi all’idea del possesso. La loro è una cultura nomade, il loro sistema di vita è basato sulle cerimonie, una delle loro attività principali è interpretare e rappresentare i sogni. Non hanno una scrittura, la loro tradizione si trasmette per via orale. Non credono nel domani. Esiste solo il presente, fluidamente unito a passato e futuro.
Uno dei loro detti più famosi recita:

Non è la terra che appartiene a noi, siamo noi che apparteniamo alla terra.

Sono attenti conoscitori del territorio che li ospita e sono certi che la Terra si prenda cura dell’uomo e dei suoi bisogni. Per questo non coltivano. Vivono solo il presente e assecondano solo il bisogno di questo preciso istante: è molto raro trovare un canguro nel deserto. Quando ne trovano uno, hanno il pranzo assicurato, e per loro è un grande evento. Ma dopo aver ucciso e cucinato il canguro, non lo finiscono mai: avanzano sempre molta carne. E dato che sono sempre in movimento, quando si svegliano la mattina dopo, non portano la carne con loro: lasciano lì tutto. Perché domani è un altro giorno (Marina Abramović, Attraversare i muri).

L’incontro con gli occidentali fu ovviamente disastroso.
Gli inglesi occuparono subito i territori dove, fino a quel momento, erano vissuti indisturbati. Venne applicato il principio terra nullius, secondo il quale una terra non rivendicata da nessuno è vuota e occupabile.

Questo principio è rimasto in vigore in Australia fino al 1992.

Fin dalle prime colonizzazioni gli aborigeni vennero spinti verso l’outback, la parte più interna e aspra del Paese e vennero allontanati dalle coste. Molti vennero massacrati, moltissimi morirono a causa delle epidemie. Trascorso un solo secolo dall’arrivo europeo, la popolazione aborigena si era ridotta a soli 60.000 individui. Si presume che fossero almeno un milione.

La politica del ventesimo secolo non fu meno brutale. Non più lo sterminio diretto, ma gli anni della Stolen Generation, la generazione rubata.
Fino alle soglie del 1970 fu pratica usuale togliere i bambini aborigeni ai loro genitori, per affidarli alle famiglie dei bianchi o ai missionari. Questo avveniva in base al principio ‘etico’ di confinare in riserve apposite gli aborigeni purosangue ma di avviare a una vita ‘civile’ i figli di unioni miste, madre indigena e padre bianco. Ancora oggi molti australiani di origine mista ignorano il nome dei loro veri genitori.
Sradicati dalla loro famiglia, dalla loro lingua, dalle loro tradizioni e con l’impossibilità di portare avanti la loro cultura, solo orale, e quindi dissolta nel salto generazionale dei bambini rubati.

La Stolen Generation è una ferita aperta nel cuore di tutto il popolo aborigeno.
In un’inchiesta commissionata dal governo, la pratica venne descritta come un crimine contro l’umanità e venne collegata direttamente alla violenza, all’abuso di alcol e droghe, e alle tendenze suicide che affliggono ancora oggi le comunità aborigene.

Il 26 gennaio si celebra l’Australia Day. Si ricorda il giorno del 1788 in cui il Capitano Arthur Philip prese formalmente possesso della colonia del Nuovo Galles del Sud. Gli aborigeni chiamano questo giorno Invasion Day per ricordare le stragi subite, oppure celebrano la festa come Survival Day, ringraziando per non essersi estinti.
Ogni anno ci sono manifestazioni e proteste. Molti aborigeni si sentono ormai parte della cultura moderna australiana e chiedono a gran voce di cambiare questa data. Vorrebbero che il 26 gennaio venisse celebrato come un giorno della memoria, per onorare i loro antenati che hanno perso la vita durante la colonizzazione. Chiedono che l’Australia Day possa essere celebrato da tutti, loro inclusi, in una giornata diversa.

Nel 2008 (se ci pensate si tratta davvero di pochissimi anni fa) il premier laburista Kevin Rudd, compie un gesto storico e importantissimo: chiede scusa.

Oggi onoriamo i popoli indigeni di questa terra, le più antiche culture ininterrotte nella storia umana. Riflettiamo sui passati maltrattamenti. Riflettiamo in particolare sui maltrattamenti di coloro che erano le generazioni rubate, questo capitolo vergognoso nella storia della nostra nazione. È venuto il tempo che la nazione volti pagina nella storia d’Australia, correggendo i torti del passato e avanzando così con fiducia nel futuro. Chiediamo scusa per le leggi e le politiche di successivi parlamenti e governi, che hanno inflitto profondo dolore, sofferenze e perdite a questi nostri fratelli australiani. Chiediamo scusa in modo speciale per la sottrazione di bambini aborigeni e isolani dello stretto di Torres dalle loro famiglie, dalle loro comunità e le loro terre. Per il dolore, le sofferenze e le ferite di queste generazioni rubate, per i loro discendenti e per le famiglie lasciate indietro, chiediamo scusa. Alle madri e ai padri, fratelli e sorelle, per la distruzione di famiglie e di comunità chiediamo scusa. E per le sofferenze e le umiliazioni così inflitte su un popolo orgoglioso e una cultura orgogliosa chiediamo scusa.
Noi parlamento d’Australia rispettosamente chiediamo che queste scuse siano ricevute nello spirito in cui sono offerte come contributo alla guarigione della nazione. Per il futuro ci sentiamo incoraggiati nel decidere che ora può essere scritta questa nuova pagina nella storia del nostro grande continente. Noi oggi compiamo il primo passo nel riconoscere il passato e nel rivendicare un futuro che abbracci tutti gli australiani. Un futuro in cui questo parlamento decide che le ingiustizie del passato non debbano accadere mai, mai più. Un futuro in cui si uniscano la determinazione di tutti gli australiani, indigeni e non indigeni, a chiudere il divario fra di noi in aspettativa di vita, educazione e opportunità economiche. Un futuro in cui abbracciamo la possibilità di nuove soluzioni per problemi duraturi, dove i vecchi approcci hanno fallito. Un futuro basato su mutuo rispetto, comune determinazione e responsabilità. Un futuro in cui tutti gli australiani, di qualsiasi origine, siano partner veramente alla pari, con pari opportunità e con un pari ruolo nel dare forma al prossimo capitolo nella storia di questo grande paese, l’Australia
.”

Uluru, la grande roccia che potete ammirare nell’immagine di copertina, è un monolite sacro per i popoli aborigeni. Si trova al centro del continente, circondato da terra rossa. Secondo le credenze degli aborigeni è stato creato ed è abitato da creature ancestrali.
Gli inglesi hanno cambiato il nome per molti anni in Ayers Rock e ne hanno fatto un luogo di turismo.
Per molto tempo hanno permesso che il massiccio roccioso venisse scalato e che i turisti girassero indisturbati per i sentieri sacri.
Solo nel 2019 la montagna è stata formalmente restituita agli aborigeni.

Oggi l’Australia è un Paese che sta crescendo con una nuova consapevolezza. È un Paese che sta integrando le due culture e sta provando a farne una ricchezza.
Prima di ogni evento pubblico si onorano i popoli aborigeni, custodi della terra, e si ricorda il passato. A scuola si studia la loro storia. La ferita resta aperta e la guarigione richiede tempo.

È solo dal 1984 che gli aborigeni hanno, in tutti gli stati, gli stessi diritti e doveri di voto degli altri cittadini: It wasn’t until 1984 that Indigenous people were finally trated like other voters and required to enrol and vote at election.

Il 2023 è l’anno in cui il governo di Anthony Albanese si è impegnato a indire un referendum per la creazione di una Voce Indigena in Parlamento (Indigenous Voice to Parliament). Già 20 anni fa, il governo guidato da John Howard, stava dibattendo su una possibile riforma costituzionale, ma finì con il decidere di non procedere. A distanza di due decenni gli australiani saranno chiamati a votare per decidere.

Tutte le storie di colonizzazione si assomigliano.
Questa colpisce forse perché è molto vicina nel tempo.
L’Australia è moderna e avanzata da molti punti di vista, ma ha ancora tanta strada da fare nel processo di integrazione di tutte le culture che la compongono e questo dipende in parte dal fatto che è un Paese ancora molto giovane.
Si stanno facendo molti passi avanti nel processo di guarigione e, al di là di tutte le cose accadute, trovo che questo sia un grandissimo valore. Non recriminare, ma costruire insieme nel reciproco rispetto.

Manuela, Sydney

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Author

Manuela Sydney

Sono una persona curiosa. Spesso i dettagli mi attraggono più dell’insieme. Amo viaggiare (e anche tornare). La mia passione più grande è il teatro. Ho due figli, sono calabrese, ma anche romana. Sono laureata in lettere con indirizzo teatrale e a Roma organizzavo eventi culturali. Ho fatto per 2 anni la spola tra Nigeria e Italia e per 4 anni tra Namibia e Italia.
Da qualche tempo vivo a Sydney con tutta la mia famiglia, studio naturopatia e lavoro in una radio!

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