Diventare mamma per la prima volta può essere uno shock enorme. Si apre un capitolo totalmente nuovo della nostra vita, si scopre una nuova identità che ci seguirà a vita, cambiano le priorità e le relazioni. Non importa quanto si pensi di essere preparate, da quando teniamo in braccio quel fagotto per la prima volta, la nostra vita cambierà per sempre in modi che fino a quel momento (ma anche dopo) non potremmo mai immaginare.
Quando tutto questo avviene durante un espatrio, in un paese diverso e magari anche lontano, con usi e costumi diversi, magari una lingua che non si mastica molto bene e nessuna rete di sostegno intorno… beh, lo shock può essere mille volte più grande. E traumatizzante. La depressione post partum infatti è una triste realtà di cui purtroppo si parla ancora troppo poco e solo quando “è troppo tardi” e la tragedia è già avvenuta.
Diventare mamme è uno step enorme e spesso alienante. Non per niente si dice che “per crescere un bambino ci vuole un villaggio”. Perché in passato questo succedeva: la neo mamma non era sola, poteva contare su mamma, zie, nonne, sorelle, cugine, vicine, e amiche. Poteva contare sull’intera comunità per aiutarla a diventare mamma e a crescere il pargolo nel miglior modo possibile.
Oggi tutto questo raramente avviene. E se non succede neanche senza lasciare il proprio paese o città d’origine, immaginatevi quanto alienante possa essere diventare mamma (soprattutto per la prima volta) all’estero.
L’Australia è un paese fantastico dove diventare genitori. L’assistenza che ho ricevuto in gravidanza e durante il mio parto complicato è stata assolutamente perfetta per le mie necessità . Ma l’Australia è un paese maledettamente lontano e non tutte hanno la fortuna di poter contare su genitori o amiche che vengano a darti una mano nei primi tempi. E anche coloro che lo sono, cosa fanno nel momento in cui, inevitabilmente, l’ospite-aiutante riparte?
In Australia ci si affida – tra le altre figure, servizi e istituzioni disponibili – ai mothers’ group. Sicuramente ci sono anche in molti altri paesi.
Si tratta essenzialmente di un gruppo di mamme che si trovano, insieme ai bimbi, in giorni, orari e luogo stabiliti. A volte questi incontri sono guidati da una persona esterna – che può essere un’infermiera, un’ostetrica, una psicologa, una social worker o altre figure simili – mentre altri sono autogestiti.
Quello che secondo me fa la differenza nel sistema australiano, è che qui il sistema sanitario iscrive automaticamente le first time mums al gruppo della loro zona. Gli incontri sono organizzati per un periodo limitato. Qui a Sydney per 4 settimane, ma ad Adelaide mi sembra si tengano per 6 settimane. Sono “presieduti” da un’infermiera che tratta ogni volta un tema specifico: dal sonno all’allattamento, dal pianto allo svezzamento e così via. Finito il periodo ufficiale, le mamme sono libere di continuare a vedersi – nella maniera che preferiscono – o meno.
Nel mio caso, ho frequentato il mothers’ group ufficiale da quando Baby C aveva 8 settimane per 4 settimane. Da allora abbiamo continuato a vederci almeno una o due volte la settimana. A volte per un caffè e una chiacchierata, altre per far prendere il sole ai bimbi al parco oppure in biblioteca se il tempo era brutto. Alcune volte siamo andate al cinema e altre siamo andate a classi di benessere per mamme e bimbi. Ogni settimana è diversa, decidiamo in base al tempo, all’umore e ai bisogni dei bimbi che nel frattempo crescono.
Ho avuto la fortuna di trovare un gruppo di mamme fantastico, che mi ha veramente aiutata nei momenti più bui di questi primi mesi da mamma. Con alcune forse non sarei mai diventata amica, con altre non ci sarebbe mai stata l’occasione di incrociarsi, perché le nostre vite non potrebbero essere più diverse. Ma nella neo-maternità abbiamo tutte trovato un punto in comune.
C’è chi in questi 5 mesi si è separata e chi invece si è sposata. Chi è caduta in una depressione profonda e chi invece cammina sempre tre metri sopra il cielo. C’è chi ha comprato casa e chi invece è finita in un rifugio per donne e mamme. Chi ha provato amore incondizionato per il proprio bimbo fin dal primo giorno e chi invece lo sta ancora cercando. Veniamo tutte da situazioni diverse, ma per tutte noi potersi confrontare l’un l’altra è stato cruciale. Ed è per questo che quest’iniziativa funziona e dovrebbe essere implementata ovunque.
Perché di playgroup ce ne sono mille: c’è quello per papà , quello per expat, quello per surfisti e quello per nuotatori, quello in italiano e quello solo di lettura. Ce ne sono per ogni gusto e necessità ma solitamente questi entrano in gioco in un secondo momento, tant’è che la maggior parte dei playgroup che ho trovato sono per bimbi dai 6 mesi in su. L’enorme vantaggio di quello “assegnato” alla nascita è di rispondere a un bisogno che la neo mamma non sa (ancora) di avere. Quello di una rete di sostegno forte e disponibile, che – almeno all’inizio – non richieda alla mamma niente se non la sua presenza fisica.
Ripeto, per me è stato e continua ad essere un aiuto essenziale, soprattutto in assenza di qualsiasi altro aiuto. Il mothers’ group c’era quando mia mamma è ripartita e ho dovuto (re)imparare a essere mamma senza il suo sostegno. C’era quando Baby C ha smesso di dormire e ha cominciato a svegliarsi ogni ora della notte. Il mothers’ group c’era quando arrivavo a mattina in lacrime, dubitando delle mie doti come mamma. Ma c’era anche quando Baby C ha imparato a rotolare prima e a semi gattonare dopo. Con il mothers’ group ho condiviso i dubbi, le gioie e le frustrazioni dello svezzamento. Con questo fantastico gruppo di mamme vedo crescere Baby C e i suoi amichetti settimana dopo settimana e non c’è emozione più bella.
Insomma, quando non c’era la mia famiglia e non c’erano le mie “amiche”, le mamme del mothers’ group c’erano ed è stato un sostegno incredibile!
Claudia, Australia
Claudia ha collaborato con Amiche di Fuso da dicembre 2014 a novembre 2019.
Potete leggere Claudia qui
Iniziativa davvero encomiabile, aver avuto un sostegno simile nei primi mesi da mamma mi avrebbe aiutato moltissimo sia praticamente che moralmente. Purtroppo non è stato così per me, ho riscontrato solo indifferenza e fastidio (“tutti abbiamo avuto figli, tu non sei speciale”), per non parlare del mobbing subito al lavoro, con minacce, sfuriate e ricatti. Capisco bene che donne più fragili possano perdere completamente il filo. Ho trovato sostegno almeno virtuale nella rete, leggendo di tante che avevano vissuto la mia stessa esperienza, quello è stato davvero fondamentale per non sprofondare.